Il cambio di regime a Tel Aviv e una nuova autorità legittimata in Palestina sono un traguardo irrinunciabile
«C’è solo la strada su cui puoi contare. La strada è l’unica salvezza. C’è solo la voglia e il bisogno di uscire, di esporsi nella strada e nella piazza», così cantava Giorgio Gaber. E sabato saremo nelle strade e nella piazza di Roma per dire basta al massacro di Gaza e chiedere la liberazione di tutti gli ostaggi.
Saremo lì per fermare la strage di innocenti compiuta da Netanyahu e da un governo già condannato dalla storia per aver riproposto l’apartheid dei palestinesi e indotto il rigurgito dell’antisemitismo. Istituzioni e governi dovrebbero agire con sanzioni mirate, il blocco all’invio di armi e il riconoscimento dello Stato palestinese. L’opposto del veto di Washington all’Onu anche sulla risoluzione per l’ingresso degli aiuti umanitari e intanto la Presidente del consiglio, «madre e cristiana», resta immobile di fronte alle atrocità.
Mi ero illusa che l’orrore del 7 ottobre potesse risvegliare un’intelligenza globale prima che devastazione e dolore allargassero i pozzi dell’odio. Col suo pogrom, Hamas aveva sacrificato bambini sgozzati, donne stuprate, persone rapite in un crescendo di crudeltà. I signori della guerra tagliano le radici a ogni barlume di accordo sulla reciproca sicurezza e la riapertura di uno spiraglio per due popoli in due Stati.
I cosiddetti “grandi” della terra sono dominati da interessi nazionalistici e bulimia del profitto. Cinismo e miopia li rendono indifferenti a ciò che Costituzioni e storia hanno insegnato: l’uso della forza, della tecnologia senza un’anima, alimenta mostri.
Il 6 agosto cadrà il 79° anniversario di Hiroshima. Toshiyuki Mimaky, il presidente dell’associazione dei sopravvissuti, ricordava che l’origine della pace è avere un cuore che comprenda il dolore dell’altro. Non ci sarà pace se il dolore di Alaa al-Najjar, la pediatra palestinese a cui la vendetta ha portato via 9 figli e il marito, non sarà un tormento per le coscienze. Se non si sentono vicine le donne che in Israele attendono il ritorno a casa di un figlio prigioniero. Né ci sarà pace senza il ritiro dei coloni da terre occupate da decenni violando il diritto. Il cambio di regime a Tel Aviv e una nuova autorità legittimata in Palestina sono un traguardo irrinunciabile.
Di mio resto legata alla profezia del Cardinale Martini quando ammoniva alla consapevolezza che solo la pace a Gerusalemme avrebbe significato la pace nel mondo. E pace non ci sarà se, credenti e non credenti, non ritroveremo la fede nella sorellanza e fratellanza. Se non puliremo dalla ruggine la chiave del dialogo tra religioni e lo spirito della laicità.
Insomma, se lo sguardo si alza al mondo quell’ostinatamente unitari di Elly Schlein è forse più difficile da tessere, ma anche più profondo e necessario.
Mentre manifesteremo per Gaza, non rimuoveremo le decine di altri conflitti, il Sudan, il dramma dell’Ucraina aggredita e quella tregua attesa che neanche la telefonata tra Leone XIV e Putin ha avvicinato. Siamo già in un’altra epoca, con la meraviglia di innovazioni e lo stupore di una intelligenza artificiale da decifrare. Eppure, la genialità e il lavoro si mescolano alle trincee, a corpi straziati, alle solitudini di un’adolescenza difficile, a povertà vergognose.
A scuola insegnavano una frase di Pascal, le coeur a des raisons que la raison ne connait pas, il cuore ha ragioni che la ragione non conosce. Contro ogni realismo e il potere della forza forse i sentimenti e l’indignazione possono aiutare la speranza. Una macchia resterà sull’Europa se non saprà mobilitare una piazza universale per la pace e l’umanità.
Le piazze sanno pensare e possono cambiare il corso delle cose. È accaduto con la gioia di quel 25 aprile e 2 giugno dove le donne hanno fatto la differenza e potrebbero farlo ancora, per i 5 Sì di domenica e lunedì. E allora, serve ancora quella canzone di Giorgio Gaber. «Perché il giudizio universale non passa per le case. Le case dove noi ci nascondiamo. Bisogna ritornare nella strada. Nella strada per conoscere chi siamo».
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