Certo non è un evento inatteso il ritiro del senatore Joe Manchin del West Virginia. Di sicuro però l’annuncio che il rappresentante dem centrista non si ricandiderà è una mazzata per le speranze del partito del presidente Joe Biden di mantenere una sia pur esile maggioranza nel Senato, ramo del Congresso che detiene il potere di nomina.

La situazione per Manchin non era certamente rosea, da ogni punto di vista: il fatto che sia stato il voto decisivo nell’approvazione dell’Inflation Reduction Act, il massiccio provvedimento varato nell’estate 2022 per affrontare la transizione ecologica, gli ha fatto subire un forte contraccolpo nel suo stato dal punto di vista della popolarità.

Un recente sondaggio di Morning Consult registra un 55 per cento di rispondenti che disapprovava il suo lavoro contro un 39 per cento che invece esprimeva parere positivo. Per fare un paragone, la sua collega repubblicana proveniente sempre dal West Virginia Shelley Moore Capito registra un 48 per cento di consensi favorevoli e un 36 per cento di persone che invece non apprezzano il suo lavoro.

Già nel 2018 però Manchin sfidò la corrente e i parametri sfavorevoli con successo, riuscendo a prevalere contro il procuratore generale del West Virginia Patrick Morrisey con soli tre punti di vantaggio, un risultato notevole in uno stato dove Trump avrebbe battuto Joe Biden con 39 punti di distacco. E anche adesso avrebbe avuto una chance, qualora a prevalere alla primarie repubblicane fosse stato l’estremista Alex Mooney, deputato al Congresso sostenuto da altri radicali come il senatore Rand Paul e il suo collega texano Ted Cruz, anche perché Mooney è sempre stato un grande difensore dei tagli alla spesa pubblica, argomento molto difficile da difendere in un territorio povero dove gli investimenti federali possono fare la differenza.

Invece quasi certamente prevarrà un membro dell’establishment come il governatore Jim Justice, appoggiato anche da Donald Trump, figura estremamente popolare eletto nel 2016 come democratico per poi passare con il trumpismo rampante nel corso del 2017. Justice, l’uomo più ricco del West Virginia è il perfetto soldato con cui il leader repubblicano al Senato Mitch McConnell spera di costruire la sua nuova maggioranza dopo le elezioni del 2024, dove auspica di avere nelle sue fila il minor numero di trumpiani possibili per non disturbare la sua agenda perenne, che rimane quella di occupare le corti federali con il maggior numero possibil di giudici conservatori, quale che sia il prossimo inquilino della Casa Bianca.

Qualora sia nuovamente un democratico, il piano è di fare ostruzionismo il più possibile. A dimostrazione che, per quanto McConnell stia fungendo da alleato della Casa Bianca per le questioni internazionali come il sostegno all’Ucraina e a Israele, non perde il suo spirito di fazione.

Prossimi passi

Manchin, invece, cosa farà in futuro? Ha subito messo in chiaro all’interno di un video pubblicato sulla piattaforma X (Ex Twitter) che nelle prossime settimane girerà l’America per «creare un movimento e mobilitare i moderati».

Segno che sta pensando seriamente di candidarsi alla presidenza per conto del misterioso gruppo politico chiamato No Labels, presieduto dall’ex governatore repubblicano moderato del Maryland Larry Hogan. Un piano che, qualora andasse in porto, toglierebbe dei voti alla candidatura già molto fragile di Biden.

Quindi non c’è soltanto una mappa difficilissima per i dem per difendere la loro esile maggioranza al Senato, con due uscenti come Jon Tester del Montana e Sherrod Brown dell’Ohio che dovranno difendersi in due territori che pendono fortemente verso il lato repubblicano, ma ci potrebbe essere una nuova candidatura che eroderebbe il blocco dei voti dem nel lato che finora il presidente ha maggiormente coccolato, quello dei centristi. Manchin però non ha detto, come nel suo stile, una parola definitiva e ha anzi affermato che nel caso decidesse di scendere in campo lo farebbe per vincere e non per consegnare la presidenza a un’altra persona.

Ad ogni modo l’uscita di scena di Manchin libera molte risorse dal piccolo stato del West Virginia che l’organizzazione dem verosimilmente destinerà altrove, così come faranno i repubblicani. Le uniche opportunità per il partito del presidente Biden di giocare all’attacco sono rappresentate dalle elezioni Florida e Texas due stati dove però il mercato degli spot elettorali è estremamente costoso e il risultato è tutt’altro che alla portata.

Una situazione da incubo che ancora di più dovrebbe far pensare l’inquilino della Casa Bianca: se le elezioni statali in Virginia, Kentucky e Mississippi sono andate discretamente bene per i dem e le presidenziali invece sono a serio rischio di sconfitta, chi rappresenta il maggior ostacolo alla vittoria? Una domanda a cui i democratici non vogliono per ora rispondere, ma che presto dovranno affrontare, anche per scongiurare che altri come Manchin decidano di danneggiare la loro causa.

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