Il presidente francese Emmanuel Macron non gode di buona stampa a livello internazionale, e anche in Francia i suoi sostenitori si diradano sempre più. Il suo ultimo discorso alla Sorbona sul futuro dell’Europa è stato accolto con misto di perplessità e insofferenza. Cosa ha detto Macron per irritare tanti? Dopo aver fustigato l’Ue per la ritrosia con cui si muove di fronte alle attuali sfide per la sua sicurezza, ha dichiarato di essere disposto ad aiutare militarmente l’Ucraina inviando le proprie truppe sul terreno. Apriti cielo.

Eppure, se l’Europa vuole avere voce in capitolo nel mondo e non essere un vassallo degli Stati Uniti, come ha ripetuto Macron riecheggiando una vecchia ossessione gallica, deve prendere decisioni che riflettano in primo luogo i suoi interessi. Che, ovviamente, possono non coincidere con quelli di una potenza globale e tecnicamente imperiale come gli Usa.

Però, a volte, gli obiettivi sono comuni; del resto, la Francia è rientrata a pieno titolo nella Nato a fine negli anni 2000 chiudendo la paretesi bizzosa di De Gaulle, fuoriuscito nel 1966 dal coordinamento militare, ma non dall’Alleanza. Oggi, il contenimento dell’aggressività e dell’espansionismo russi è un obiettivo pienamente condiviso. Continuano a divergere però modi, tempi e approcci.

Mentre Joe Biden, in un momento di scarsa lucidità aveva definito Vladimir Putin un macellaio, Macron insisteva nella ricerca di un filo con cui recuperare Putin alla comunità internazionale arrivando a dire che non bisognava umiliarlo. Incontri e telefonate nelle prime settimane di guerra si sono succedute a ritmo incalzate, e lo steso Volodymyr Zelensky sembrava aderire ad un approccio possibilista; poi, di fronte al fallimento del blitzkrieg russo e alla efficace controffensiva ucraina (e alla fiducia nell’effetto delle sanzioni), la Nato si convinse che era possibile una sconfitta sul campo degli invasori, tanto da portare una Russia in ginocchio a restituire tutti i territori, Crimea compresa, e a pagare iperboliche riparazioni dei danni di guerra.

Questa retorica martellante ha prodotto danni giganteschi. All’Ucraina in primis e, a cascata, a tutto l’assetto internazionale. Perché la Russia, con i suoi tempi, come tanti analisti avevano predetto, si sarebbe attrezzata meglio per combattere questa guerra e avrebbe fatto prevalere la sua evidente superiorità.

Di fronte all’imminente rischio di un cedimento degli ucraini, Macron ha posto la questione dirimente: cosa devono fare i suoi alleati? Aspettare che le armi inviate con il contagocce siano utilizzabili in tempo e riescano a contenere l’avanzata dei russi? Oppure dimostrare che c’è una linea rossa, quella del Donbass implicitamente, che l’Europa non vuole venga oltrepassata e per la quale è disposta a mettersi direttamente in gioco? In sostanza basta con la proxy war. L’azzardo è alto ma con questa nuova linea, piaccia o meno agli atlantisti a 24 carati, la Francia riprende un ruolo di leadership in Europa, mettendosi alla testa di quanti hanno gridato che il destino del continente si giocava sul Dnepr.

Perché è immorale lasciare che la gioventù ucraina si immoli per noi. Se Kiev è la nuova Danzica bisogna essere conseguenti. Oppure dire che è meglio chiudere qui e trascinare i contendenti a un tavolo. Altro che nuova Monaco.

Macron ha scoperto il gioco della proxy war (tra l’altro, messa alla berlina dalla esibizione, a Mosca, dei carri della Nato conquistati dall’esercito russo). E si rivolge a tutto l’est europeo, fino a ieri diffidente dei transalpini, come garante primo della loro sicurezza, a fianco se non al posto, degli Stati Uniti. I recenti incontri del triangolo di Weimar tra Francia Germania e Polonia confermano la proiezione verso est dei transalpini.

L’accelerazione, o provocazione, del presidente francese può essere il primo passo per smuovere l’inerzia per andare a costruire finalmente quello che fallì nel 1954: una nuova, vera, comunità europea di difesa.

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