La grande rivoluzione della mixology e il profondo cambiamento che il mondo degli alcolici e degli spiriti ha vissuto negli ultimi dieci anni sono arrivati negli hotel. Mentre la cucina stellata è da tempo associata ai grandi hotel, la parte più elevata del bere no. E questo nonostante la storia del bere provenga proprio dagli hotel. In un’epoca in cui l’uso degli hotel era completamente diverso, quando erano luoghi in cui gli ospiti potevano soggiornare anche per mesi e in cui l’accoglienza turistica delle città non era quella di oggi, l’hotel includeva molte delle funzioni che ora si trovano sparse per la città. Era un punto di ritrovo per stranieri, un luogo dove assaporare cibi e bevande locali, uno spazio d’élite per la società cosmopolita, in cui riconoscersi. Molti dei più noti cocktail sono stati inventati da barman di hotel.

A differenza della rivoluzione gastronomica esplosa negli anni 2000, quella del bere è nata dal basso, da locali piccoli, da una nuova generazione di bartender, e poi dal ritorno degli speakeasy e, più recentemente, da realtà che, pur senza grandi credenziali iniziali, se le sono guadagnate influenzando anche i locali più importanti. Così, i bar degli hotel solo negli ultimi anni si sono adeguati al cambiamento, facendo leva sui loro mezzi.

Lo Stravisnkij bar del de Russie

L’esempio di ciò che è accaduto allo Stravinskij Bar dell’Hotel de Russie di Roma sintetizza tutto questo: hotel storico, progettato e costruito nel XIX secolo da Giuseppe Valadier nel centro di Roma, a Piazza del Popolo, ha sempre avuto un bar importante ma solo nell’ultimo anno ha deciso di rinnovarlo completamente, adeguandolo agli standard moderni. Un nuovo bancone, una nuova dislocazione e una nuova drink list preparata da una star come Salvatore Calabrese, insieme a un nuovo bar manager, Mattia Capezzuoli, che ha esperienza sia in hotel sia in bar di nuova generazione. Capezzuoli ad esempio è stato Bar Manager del bar del Camparino in Galleria, entrato nella classifica dei World’s 50 Best Bars nel 2021.

Il modello dello Stravinskij riflette ciò che sta accadendo anche altrove, ovvero la tendenza dei bar degli hotel ad attirare sempre più clienti esterni, non solo i residenti ma i cittadini, in questo caso i romani. Rientra nella generale sofisticazione della ricerca e dei gusti del pubblico: «Non abbiamo soltanto rivisto la collocazione del bar, ora situato in una sorta di piazza ricostruita nel cortile interno dell’hotel, ma anche la sua concezione» spiega Capezzuoli «È un po’ più tecnico di prima, così come il menù». Questo significa, ad esempio, che i drink cambiano spesso, almeno una volta all’anno, e, come accade nei bar di nuova generazione, nuove proposte vengono continuamente inserite. Per l’inverno, lo Stravinskij propone, ad esempio, una serie di punch caldi (adatti anche agli spazi esterni) come il Secret Garden Punch (Bourbon, tè verde, cannella, Oleo Saccharum e agrumi) o il de Russie Punch (Brandy, tè, frutti di bosco, Oleo Saccharum e agrumi). Inoltre, sempre seguendo l’approccio dei bar moderni: «Il bar di un hotel ha lo svantaggio di non avere un laboratorio e non poter, per esempio, produrre i propri spiriti come fanno molti, ma ha quasi sempre il vantaggio di poter collaborare con una cucina, magari anche stellata». Questo consente prima di tutto il confronto con dei professionisti del gusto e poi di curare nei dettagli abbinamenti, garnish, accompagnamenti e persino bicchieri e stoviglie di design.

Chiaramente si parla anche in questi casi di clientele abbienti. I cocktail hanno prezzi che spesso superano i già elevati 15-16€ di un bar di livello, arrivando fino a 25€ a bicchiere: «Mi rendo conto che forse a Milano questo tipo di situazione, in cui anche i residenti frequentano il ristorante o il bar di un hotel di lusso, sia più abituale. Ma sta prendendo piede anche a Roma». Questo è uno dei molti segnali di quanto stia cambiando la cultura del bere in Italia, un paese in cui il consumo di superalcolici non è diffuso come nel Nord Europa. Secondo Capezzuoli le cose sono cambiate con la pandemia e i lockdown, periodi in cui molte persone hanno avuto tempo di approfondire, guardare tutorial online e sperimentare i cocktail di nuova generazione (quelli più semplici) anche a casa, o hanno scoperto marchi di spiriti meno commerciali: «Capita molto più spesso che arrivino clienti con gusti precisi, che chiedono un certo gin assaggiato durante un viaggio in Giappone o un cocktail preparato in un modo specifico come l’hanno visto fare altrove. Anche il Manhattan, un drink classico, viene richiesto raramente nella sua versione originale, ma piuttosto in una delle tante varianti possibili, con una forte impronta personale. Che tutto sia cambiato lo si può vedere anche solo dalla varietà di bottiglie disponibili nei supermercati».

Bere all’italiana

Un bar in un hotel poi ha di suo una clientela internazionale e di tutte le età, motivo per cui la mixology è sempre più anche analcolica. Da miscelazione di alcolici e spiriti si evolve in miscelazione di liquidi in generale. La lista di punch dello Stravinskij Bar per esempio include una cioccolata calda. L’obiettivo è che «tutti possano avere accesso all’esperienza». Perché, in Italia soprattutto, è proprio l’esperienza ciò che si vende. Capezzuoli spiega che, mentre i clienti stranieri restano più legati al consumo di alcolici in purezza: «Un americano durante l’aperitivo tende a preferire un bicchiere di bourbon o vodka, al massimo con ghiaccio, raramente miscelati. I cocktail magari li prendono qui perché sono in vacanza e vogliono provare qualcosa di diverso. Gli inglesi, invece, preferiscono birra o vino. Gli italiani al contrario amano il bere miscelato e tutto il suo rituale. Vogliono sedersi al bancone, osservare il barman all’opera, apprezzare la componente artigianale e sapere di bere qualcosa preparato su misura, con competenza».

Resta comunque il fatto che, come da tradizione, anche nei bar degli hotel di lusso, pur con drink list raffinate e clientela selezionata, può capitare che qualcuno beva troppo: «La nostra politica è che, se percepiamo una situazione a rischio, smettiamo di servire alcol. Ovviamente lo comunichiamo in maniera elegante, e comunque succede davvero di rado, soprattutto con clienti stranieri. Gli italiani, in un ambiente come questo, si sentono generalmente a disagio a bere in eccesso. Gli stranieri invece vedono il bar più come un luogo di relax».

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