Il sì in Commissione giustizia alla proposta di legge Meloni-Carfagna di rendere “reato universale” la gestazione per altri (basta col triviale “utero in affitto”) è la conferma di qualcosa che abbiamo già visto con l’affossamento ddl Zan: nel nostro paese la vera costituzione in vigore è quella degli sfondi tradizionali, dei presupposti irrazionali e idiosincratici che si iper-attivano soprattutto quando si
discute di questioni che hanno a che fare col corpo e i suoi destini, col sesso e le questioni legate alla vita e alla morte, ovvero quando si tenta di umanizzare la brutalità amorale del dato di natura.
Qualsiasi alterazione dello status quo in questi casi viene rigettata senza neanche avvicinarsi alla materia discussa: le grida di indignazione si levano a distanza, senza conoscere nulla o quasi della concretezza in causa, sulla spinta di un generico e generalizzato fastidio moralistico – e non morale – di “coscienze” nutrite da stereotipi di quel piccolo mondo antico che sempre piace e tiene al sicuro dal nuovo.

La famiglia biologica

Come società fatichiamo ancora moltissimo ad aprirci alle storie altre, alle possibilità di riscrittura della vicenda biologica, e la genitorialità non fa eccezione. Sarebbe ora invece di dire che il vero “crimine universale” – ovunque tollerato e anzi incoraggiato – è la legittimazione morale della famiglia su base biologica, il ritenere che la dinamica riproduttiva di per sé garantisca qualcosa, sia portatrice di un qualche valore fondativo irrinunciabile.

È questa la convinzione incisa nel nostro genoma sociale, che
inibisce il ragionamento e il giudizio razionale, trattenendolo al di qua della modernità. Avvalendosi di questo pregiudizio collettivo fondamentalisti religiosi e femministe a intermittenza pretendono di legiferare sul corpo delle donne e sulla società del futuro, sventagliando una manciata di feticci ideologici e scenari imbastiti ad hoc.

L’omofobia

Vengono evocate mamme del terzo mondo a cui
coppie di opulenti occidentali – solo in minima parte omosessuali, checché ne dicano gli omofobi – strapperebbero dal grembo i figli appena nati, occultando la realtà di rapporti diversi, certo nuovi rispetto a ciò a cui noi siamo abituati, ma non per questo scellerati.
È certo che le dinamiche di sfruttamento vadano scongiurate sempre e comunque (una regolamentazione in questo senso è doverosa), ma la gestazione per altri è un universo ricco e complesso di rapporti di cui ancora pochissimo si sa, rapporti che alterano l’immaginario collettivo e proprio per questo oggi chiedono di essere visti e compresi, anche nella loro realtà di reciproca autodeterminazione e supporto.

«Lasciate stare i bambini», gridano icultori dello standard riproduttivo, «ogni piccolo ha diritto alla sua mamma»: così si eccitano e confondono le coscienze fragili del nostro paese, che sempre scelgono e hanno scelto una gerarchia blindata in cui la retorica da presepe ha la meglio sulla ragione, e la dinamica familistico-tribale sulla dignità del singolo.

La verità è che le storie di quei bambini, dei singoli bambini, di quelle donne, di quelle coppie non importano a nessuno: non le conoscete, non vi interessano sul serio. Quelle vite sono materiale umano per nutrire le frenesie di contrapposizione politica. Nessuna famiglia è buona, né tantomeno sacra, di per sé: buone sono solo le famiglie basate sulla cura e il rispetto, a prescindere dalle combinazioni genitali e dagli antefatti procreativi, ma questo ancora troppo pochi lo riescono a dire, perché la responsabilità individuale è un abisso

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