Per essere una leader politica con la vittoria elettorale in tasca, Giorgia Meloni ha parecchi problemi da risolvere: tranquillizzare i partner internazionali, tenere a bada gli impresentabili nel suo partito e trovare nomi per il suo futuro governo che siano almeno accettabili.

La lista che gira in questi giorni mostra la dimensione di quest’ultimo problema. Il presidente della lobby dei produttori di armi Guido Crosetto, indicato per la Difesa, si porterebbe dietro una lunga lista di potenziali conflitti di interessi. Vittorio Sgarbi alla Cultura è già tutto un programma, mentre l’indicazione di un magistrato come Carlo Nordio alla Giustizia rischia di andare a sbattere contro il veto del presidente della Repubblica. Ma il nome e la casella potenzialmente più problematici potrebbero in realtà rivelarsi una delle scelte più facili.

Un ministro che vale doppio

Sembra probabile che, in caso di vittoria del centrodestra, Matteo Salvini tornerà al ministero dell’Interno. Lui stesso non ha mai nascosto che, dopo la guida del governo, questa è la sua seconda scelta. Le ragioni sono evidenti: è da ministro dell’Interno tra il 2018 e il 2019 che Salvini è riuscito a portare la Lega dal 17 per cento preso alle politiche 2018 al 34 delle europee 2019. L’incarico è perfetto per un politico “legge e ordine” che ama farsi vedere in giro con le divise dei corpi di polizia.

È anche uno degli incarichi più prestigiosi e influenti dell’intero governo. Durante il Regno d’Italia, il capo del governo ricopriva quasi sempre anche l’incarico di ministro dell’Interno (lo fecero sia Giolitti sia Mussolini). Ai tempi della Prima Repubblica e del mitologico manuale Cencelli, l’Interno, con Esteri, Tesoro e Difesa, era classificato tra i ministeri “grossissimi” che valevano come un paio degli altri dicasteri.

Perché Meloni dovrebbe essere contenta di avere il suo rivale-alleato Salvini in uno dei posti più influenti del governo? La risposta è piuttosto semplice: le alternative sono molto peggio.

Poche alternative

Per questioni di affinità, il ministero della Giustizia sembra una scelta alternativa naturale per Salvini: meno ordine, ma comunque legge. La Giustizia però è un dicastero con un profilo ben diverso dal Viminale. I suoi corridoi si incrociano con quelli della magistratura e per tramite del Csm arrivano fino al presidente della Repubblica.

Nella patria del diritto è quasi un ministero tecnico, più adatto a ex giudici della Corte costituzionale che a politici politicanti. Di certo Meloni, che ha lavorato così duramente per darsi un’immagine rispettabile, non vuole rischiare di avere un Salvini in felpa a turbare gli ermellini degli alti ranghi della magistratura. Senza contare il ginepraio destinato a scoppiare se i molti scandali che lo circondano avessero nuovi risvolti processuali.

L’imbarazzo di avere un ministro della Giustizia sul banco degli imputati – intento magari a monopolizzare l’attenzione facendo la vittima dell’ennesima persecuzione giudiziaria – è certamente uno scenario che Meloni si risparmierebbe.

Restando invece tra i ministeri “grossissimi” (la Giustizia per Cencelli era solo “grossa”), l’Economia va esclusa a priori: persino il centrodestra ha accettato la tradizione non scritta di assegnare un tecnico (o quasi) a questo dicastero. Difesa ed Esteri sono altrettanto delicati: in mezzo alla guerra in Ucraina è semplicemente impensabile destinare uno come Salvini ai tavoli in cui dovrebbe misurarsi con alleati Nato e alleati russofobi, come baltici e polacchi.

Scendendo di livello arriviamo ad altri due dicasteri che Meloni ha tutto l’interesse a proteggere da Salvini. Il primo è quello del Lavoro. Di nuovo confinato elettoralmente al nord, Salvini potrebbe decidere di cannoneggiare il reddito di cittadinanza senza timore di perdere voti a sud. Potrebbe tornare a fare battaglia sulla riforma delle pensioni e la cancellazione della Fornero: un intervento che Meloni condivide, almeno in teoria, ma che visti gli immensi costi di certo vuole tenere ben lontano dall’agenda del suo futuro governo.

Resta l’Istruzione, un ministero che Salvini potrebbe usare per cercare visibilità alzando polemiche sull’educazione sessuale a scuola o intervenendo sull’accesso alle mense da parte dei figli di cittadini stranieri. Sono battaglie su cui Meloni e Salvini sono allineati, ma il problema è la risposta che con ogni probabilità arriverebbe da una mobilitazione di studenti e insegnanti. Salvini all’Istruzione rischia di fare anche troppo “bene” e oscurare con le sue polemiche il resto dell’azione di governo di Meloni.

Il male minore

Il ministero dell’Interno sembra la scelta più sicura. Tutti i sondaggi indicano che l’immigrazione è diventata una delle ultime priorità per gli italiani e questo depotenzia il principale vantaggio che Salvini avrebbe occupando quella casella.

Con un potenziale autunno di proteste di piazza per via del caro vita, Salvini diventerebbe l’uomo simbolo dell’eventuale risposta delle forze dell’ordine. Una risposta che si può immaginare dura e che non necessariamente dispiacerà a Meloni.

Se poi Salvini dovesse esagerare, per la leader di Fratelli d’Italia potrebbe essere ancora meglio. Potrà far ricadere il biasimo per l’uso eccessivo di manganelli sul suo scomodo alleato, invece che su uno dei suoi.

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