Dopo il complicato inizio di legislatura, il centrodestra si ricompatta. Come nella fase pre-elettorale di costruzione dell’alleanza, ha prevalso la logica dell’unità per vincere, anche davanti alle evidenti divisioni interne sia di metodo che di merito. Il premio del governo e l’interesse dei molti posti da distribuire è rimasto il vero collante per rimettere insieme i pezzi. La maggioranza che ha vinto le elezioni, infatti, si presenterà insieme al Quirinale per l’inizio delle consultazioni con il capo dello Stato, Sergio Mattarella.

Forza Italia dovrebbe aver ottenuto cinque mè dpinisteri, ma tra questi non dovrebbero rientrare i due dicasteri da sempre considerati chiave nel mondo azzurro: la Giustizia sarebbe definitivamente esclusa e anche lo Sviluppo economico, che comprende la delega alle telecomunicazioni.

Le ipotesi di serata sono di Elisabetta Casellati al ministero delle Riforme, Gilberto Picchetto Fratin alla Transazione ecologica e Antonio Tajani agli Esteri e vicepremier. Agli azzurri andrebbero anche L’Università, probabilmente a Bernini, e Pubblica amministrazione.

Dovrebbe invece essere stato superato il veto sui senatori ribelli che non hanno votato per La Russa. In giornata, poi, si è definitivamente conclusa anche la polemica su Licia Ronzulli, che ha fatto un passo indietro con una nota molto chiara, spinta anche dalle pressioni di buona parte del gruppo parlamentare di FI e dei figli del Cavaliere. La fedelissima starebbe puntando a diventare la capogruppo a palazzo Madama al posto della uscente Anna Maria Berinini, proiettata verso un ministero.

In questo quadro, la leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, ha ottenuto una vittoria strategica che riguarda soprattutto il metodo che lei spera di non dover più ribadire agli alleati.

Sul piano simbolico, l’incontro che ha sancito la pace tra lei e Silvio Berlusconi si è svolto a via della Scrofa, nella storica sede che fu del Movimento Sociale, poi di Alleanza nazionale e ora di Fratelli d’Italia. Il Cavaliere è arrivato in una berlina nera che lo ha portato fino a dentro il portone, dove ad accoglierlo gli è andata incontro la premier in pectore.

Via della Scrofa

Il vertice in una sede di partito è un evento più unico che raro nella storia del centrodestra: Berlusconi, anche quando non è più stato leader del partito di maggioranza, ha sempre ricevuto gli alleati in casa propria, durante pranzi di cui veniva divulgato con puntiglio anche il menù. Prima ad Arcore, poi a palazzo Grazioli e oggi villa Grande, la nuova residenza romana del Cavaliere. Tutte le volte in cui si è mosso, è stato il segno di passaggi politici rilevanti, l’ultimo dei quali il cosiddetto patto del Nazareno, siglato nella sede del Partito democratico nel 2014, con l’allora segretario Matteo Renzi.

Ieri, dunque, per la prima volta Berlusconi ha varcato la soglia di via della Scrofa in veste di politico: l’ultima volta, da capo della Fininvest, ci era entrato alla fine degli anni Ottanta, per parlare con l’allora segretario dell’Msi Gianfranco Fini.

Anche questo è il simbolo del cambio di stile imposto da Meloni, che è riuscita a riportare la politica dentro la sede di un partito. Non ha mai fatto mistero che fosse il suo obiettivo da tempo: proprio nelle settimane che hanno preceduto le elezioni si era lamentata dei vertici organizzati a pranzo nella villa di Berlusconi, che poco si adattavano al suo stile politico e alla necessità di ridurre i convenevoli per aumentare l’operatività delle discussioni.

Al faccia a faccia di ottanta minuti erano presenti solo Meloni e Berlusconi e nessun comprimario che potesse poi far trapelare veline o soffiate alla stampa. Un modo per evitare di alimentare speculazioni sullo scontro ma anche per chiarirsi senza intermediari.

Alla fine, tutto si è concluso con una stringata nota congiunta che ha parlato di «clima di massima collaborazione, il centrodestra si presenterà unito alle consultazioni. Al lavoro per dare all'Italia un governo forte e coeso», con allegata foto di rito.

Il silenzio

Altra regola richiesta da Meloni è quella del silenzio: nessun bagno di telecamere con dichiarazioni a mezza bocca nè prima nè dopo il vertice. Le uniche informazioni filtrano attraverso fonti controllatissime, che hanno fatto sapere che «Quello che è accaduto consideriamolo come passato, una cosa superata. Non torniamoci più, ora pensiamo a dare un governo al Paese», avrebbe detto Meloni a Berlusconi, riferendosi allo scontro per i foglietti scritti dal Cavaliere e l’affermazione sul «non sono ricattabile» pronunciata dalla leader di FdI.

Berlusconi, invece, ha scritto sui social che «Durante l'incontro, abbiamo fatto il punto sulle priorità che il nuovo governo dovrà affrontare, a partire dal caro energia».

Il vertice dovrebbe avere quindi chiuso, almeno per quanto riguarda le caselle principali, la partita dei ministeri. Fratelli d’Italia dovrebbe tenere per sè ma con ministri d’area non formalmente organici al partito la Giustizia con l’ex magistrato Carlo Nordio, il Lavoro con la consulente del lavoro, Marina Calderone, mentre andrebbero a uomini di FdI la Difesa, con Adolfo Urso; gli Affari europei con Raffaele Fitto e lo Sport e Giovani con Chiara Colosimo. Guido Crosetto, infine, dovrebbe trovare posto allo Sviluppo economico.

A Matteo Salvini dovrebbero andare le Infrastrutture, che gestisce una buona parte dei fondi Pnrr, e il ruolo di vicepremier. Alla Lega spetterebbero poi l’Economia con Giancarlo Giorgetti, Simona Baldassarre alla Famiglia e natalità; Roberto Calderoli alle Riforme; Gian Marco Centinaio alle Politiche agricole ed Erika Stefani agli Affari regionali.

Affidati a tecnici, invece, dovrebbero essere il ministero dell’Interno, per cui in testa c’è il prefetto Matteo Piantedosi; la Sanità e il Tesoro, per cui si è alla ricerca di un economista il cui profilo convinca Mattarella. La squadra di governo, però, ormai è ai ritocchi finali e l’aspirazione di Meloni è quella di arrivare al Colle e ricevere subito un mandato pieno.

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