Il governo ha deciso di sospendere i lavori sulla commissione di Inchiesta sul caso Emanuela Orlandi, che si ripromette di indagare sul mistero della sparizione della cittadina vaticana avvenuto nel 1983. A quarant’anni da allora l’esecutivo si preoccupa per l’avvio dei lavori e ha chiesto al presidente della commissione Affari costituzionali, Nazario Pagano, di prendere tempo per l’esame del disegno di legge istitutivo della bicamerale per «ulteriori approfondimenti».

Dietro la scelta raccontano in parlamento ci sarebbe il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano, fortemente legato agli ambienti cattolici. Mantovano in passato ha presieduto la fondazione pontificia “Aiuto alla chiesa che soffre”, che si occupa di dare sostegno ai cattolici perseguitati. Un legame di cui non fa mistero, visto che ancora oggi dispensa solidarietà alla sua vecchia associazione con note ufficiali di Palazzo Chigi.

Dopo qualche ora è arrivata la risposta da parte di Palazzo Chigi: «In relazione ad indiscrezioni circolate su alcune testate riguardanti il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano, e un suo presunto ruolo nella sospensione dell’esame del disegno di legge istitutivo della bicamerale per procedere a ulteriori approfondimenti sul caso Orlandi, si sottolinea che queste sono prive di ogni fondamento». Al contrario, prosegue la nota, «il sottosegretario di recente ha incontrato il fratello di Emanuela Orlandi manifestando la piena disponibilità del governo per tutto ciò che può fare piena luce sulla vicenda».

In serata è intervenuto anche Pagano: «Ho posticipato la votazione per una semplice questione tecnica: mancavano i pareri del ministero della Giustizia sugli emendamenti presentati», motivazione non emersa durante la riunione. Riguardo l’esponente di palazzo Chigi «non c'è stata alcuna sollecitazione da parte di esponenti del Governo, men che meno del sottosegretario». I lavori, garantisce, proseguiranno in modo da rispettare i tempi previsti dalla conferenza dei capigruppo per l'approdo in Aula del provvedimento, cioè il 20 marzo. 

Il caso

In vista dei 40 anni dalla sparizione di Emanuela Orlandi il prossimo 22 giugno, e dopo il dibattuto documentario su Netflix pubblicato nel 2022, il caso mai risolto è tornato al centro dell’attenzione.

Le piste che si sono susseguite nel tempo sono state le più svariate, dal rapimento a opera della Banda della Magliana per ricattare il Vaticano, al legame con una storia di pedofilia che come raccontato da un ex sodale della banda arriverebbe a coinvolgere anche il papa santo Giovanni Paolo II.

A gennaio, per la prima volta in assoluto, il Vaticano ha deciso di aprire un’inchiesta sulla sparizione dell’allora quindicenne. Una decisione che, come molti commentatori hanno notato, è arrivata a pochi giorni dalla morte del papa emerito Benedetto XVI. La famiglia, seguita dall’avvocata Laura Sgrò, aveva presentato un esposto alla procura vaticana nel 2019. Il promotore di giustizia Alessandro Diddi si è mosso a quasi quattro anni da allora, non prima che papa Francesco desse il suo via libera.

Lo stato

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L’avvocata, insieme al fratello di Emanuela, Pietro Orlandi, ha chiesto più volte che anche lo stato italiano agisca in maniera indipendente, per dare forza a un’indagine che, viste le forze ridotte del Vaticano, e dopo tutti questi anni dai fatti, rischierebbe di finire ancora una volta nel nulla.

Le proposte in parlamento sono state presentate dal deputato Pd, Roberto Morassut e dal pentastellato Francesco Silvestri già alla fine dell’anno scorso, per la pubblicazione dei testi ci sono volute settimane, e la commissione Affari Costituzionali ha cominciato a lavorarci da febbraio. Da allora però tutto sembrava procedere, e i parlamentari erano concordi nell’esaminare i fatti insieme al caso di sparizione di un’altra ragazza nel medesimo periodo, Mirella Gregori. Il provvedimento dovrebbe arrivare in Aula per l’approvazione a marzo e oggi sarebbe dovuto partire il voto degli emendamenti.

L’ipotesi che circola in ambienti parlamentari è che dietro la scelta di rinviare ci sia direttamente il Vaticano. Mantovano mantiene ancora forte il legame con gli ambienti pontifici, come dimostra la nota di sabato scorso: «Palazzo Chigi aderisce all’iniziativa della Fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che Soffre volta a commemorare il primo anniversario dell’invasione dell’Ucraina da parte della Federazione Russa. Le luci della facciata di Palazzo Chigi resteranno spente dalle ore 20:00 della giornata odierna alle ore 1:00 di domani 26 febbraio».

Morassut aveva chiesto spiegazioni sullo stop: «L’iniziativa è sorprendente, perché l'iter era già stato condiviso da tutti i gruppi parlamentari e gli stessi presidenti di Camera e Senato (dunque Lorenzo Fontana e Ignazio La Russa, ndr) avevano assicurato alle famiglie la massima celerità, cosa che effettivamente è avvenuta. Chiediamo all'esecutivo il motivo di questa decisione». Dello stesso tenore l’intervento di Silvestri: «Il governo non si nasconda e spieghi con urgenza quanto sta accedendo. Farlo è un suo dovere». A fine giornata, dopo che sono emerse le perplessità, sono arrivate le rassicurazioni. Il disegno di legge andrà avanti.

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