Come ho scritto qui, a proposito del ruolo dell’industria culturale nel Giorno della Memoria, la grande questione dei tempi attuali è come le tecnologie digitali hanno modificato istituti e forme della comunicazione politica nelle società di massa governate dagli algoritmi.

La politica tra le due guerre mondiali, in particolare nei sistemi fascisti, utilizzò l’industria culturale – fotografia, cinema, radio – per rituali e forme di comunicazione di massa, volti a fabbricare il mito dell’identificazione tra popolo-nazione e Capo-Duce.

Ma i sistemi fascisti italiano e tedesco, o quelli genericamente autoritari dell’Europa centrorientale (Ungheria, Polonia, Austria, Regni di Jugoslavia e di Bulgaria, ecc.), nacquero da una serie di catastrofi: la Grande guerra, le conseguenze economiche della “pace” di Versailles e la crisi finanziaria del 1929.

I governi nazionalisti e populisti europei che sin dal primo decennio di questo secolo si sono affermati, ancora una volta in Europa centrorientale, ma non solo, – Kaczynski Duda Mazowiecki in Polonia, Orbàn in Ungheria, Kurtz in Austria, Putin in Russia, Lukashenko in Bielorussia ecc., sino a Conte-Salvini e oggi Meloni – sono nati invece dalla trasformazione geopolitica del 1989, dalla reazione sociale alle scelte di liberalizzazione e privatizzazione imposte dagli istituti di governo globale dell’economia (Wto, Fmi, Banca mondiale), infine dal blocco della crescita economica innescato dalla crisi del 2008.

Est-Ovest a confronto

A Est hanno pesato anche le eredità negative dei sistemi socialisti di pianificazione centralizzata, a Ovest la caduta del primato tecnologico e industriale, il declino demografico, le prospettive negative delle generazioni giovani, la disaffezione per le istituzioni e il voto.

A Est come a Ovest i sovranisti godono di investiture maggioritarie legittime – le elezioni. Le usano però al fine di fabbricare il nuovo mito della cosiddetta “democrazia sovrana” (scelta dal popolo) e “autoritaria” (decisionista e ostile al dissenso e ai diritti); cioè: legittimata dal consenso ma ostile ai principi liberali e costituzionali, bollati come “liberalismo divisivo”. Questo ossimoro politico deve essere capito.

Le istanze del protezionismo economico e le critiche ai vincoli europei sono alle origini del loro successo, ma hanno ceduto il passo (ad esempio in Polonia e Ungheria) a derive antidemocratiche: il taglio dei sussidi alle agenzie di stampa indipendenti, il depotenziamento delle corti Costituzionali, gli attentati all’indipendenza della magistratura e all’autonomia dei corpi legislativi – così violando il Trattato dell’Unione.

La democrazia sovrana

La “democrazia sovrana” si vuole svincolata dalle regole dello Stato costituzionale di diritto e abbandona i principi di rappresentanza e mediazione parlamentare, a favore della “rappresentazione” immaginaria della “gente ordinaria e del popolo”, e per tale rappresentazione il controllo dei media è cruciale.

Anche Donald Trump, in ciò elogiato da Orbàn, oppose il majority rule alle prerogative del Congresso avviando quel processo di suffocation of democracy (così lo ha definito Cristopher Browning) sboccato nell’assalto eversivo a Capitol Hill. Sulla linea della disinformazione perseguita sino all’eversione lo ha seguito Bolsonaro.

La democrazia sovrana e autoritaria non presuppone l’abolizione delle elezioni ma il mito del popolo che sceglie il leader, e con esso s’identifica: anche simbolicamente, è diverso dall’identificazione tra popolo-razza e Duce e viene fabbricato da un’industria culturale diversa per le tecniche manipolatrici della psicologia di massa.

L’inconscio collettivo della audience è oggi costruito artificialmente dal web, grazie all’interazione virtuale tra i presunti liberi cittadini connessi in rete. La folla digitale crede di appartenere ad una comunità di partecipazione, ma è eterodiretta.

E la differenza con l’industria culturale dell’età dei fascismi non è solo nelle tecniche (sebbene esse puntino sempre al fine di costruire un mito politico): é il business model of social media creato dalle aziende di ricerca internet ad essere decisivo.

Sistemi mediatici

La continua connessione globale; la produzione di dati quali propellenti della produzione; l’uso di algoritmi per la creazione di software che mimano l’intelligenza umana e l’applicano a vari dispositivi meccatronici provvisti di computer, sensori, motori, contribuiscono a creare un sistema di sorveglianza: il consumatore-elettore che si connette alla Rete fornisce molte informazioni di cui perde la proprietà, che gli tornano indietro “profilate” in modo da condizionarne le scelte commerciali e politiche.

Il consumatore-elettore raggiunge una effimera sicurezza psicologica confermando la propria identità fissata dai social media e confluendo nella people majority. Tale sistema, che attiva una identità già data dal comportamento pregresso prefigurando la condotta futura sulla base delle preferenze passate, mette in crisi la democrazia come necessaria incertezza delle scelte.

Per sostenere la democrazia sovrana e autoritaria fondata sull’investitura popolare nel suo conflitto con l’ordine costituzionale, il controllo del sistema informativo (ed educativo) è cruciale, e dunque i media devono agire “nell’interesse nazionale” (come nella Turchia del presente disastro tellurico).

Ma la sfera dell’opinione pubblica non può che funzionare sulla base del primo dei diritti costituzionali – la libertà di informazione e di opinione – e dunque le procedure del suo controllo e della sua manipolazione, per mezzo delle tecnologie digitali proprie del capitalismo degli algoritmi, stanno gettando le basi del consenso alle restrizioni delle libertà costituzionali, e paradossalmente proprio  in nome della democrazia sovrana.

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