Mi aspettavo un musical, non una messa. La consegna di un Telegatto postumo. Una torta gigante da cui escono Angela Merkel, Michelle Obama e Martin Schulz in bikini. Un carro di Viareggio con una coppa dei campioni monumentale. Uno sfarfallio di cartine dorate dal cielo, il golden buzzer sparso da cento mongolfiere a forma di tetta. Tutto avrei detto, ma una messa no. Una messa era al di là delle mie fantasie più scalmanate.

Ci ho sperato fino all’ultimo momento. Piazza Duomo prometteva bene. Gran sventolare di bandiere milaniste e cori calcistici. La morte come gol al novantesimo minuto. E fra le corone di fiori ci sono anche quelle dell’Inter e della Roma. La parete di corone funebri più assurda che abbia mai visto: Avvocatura dello stato e Maria Belén Rodriguez; Milan Club di Parigi e Mediaset España; emiro del Qatar e Lapo Elkann; presidente regione Lazio e presidente Lega Serie B; residenti di Milano 2 e dipendenti delle sedi di Forza Italia.

Si sente nell’aria che stiamo vivendo una giornata storica, con il tipico eccesso autoriflessivo che contraddistingue i nostri tempi: l’euforia di sapere che “sta succedendo qualcosona!, sta succedendo qualcosona!”, e che mobilita fotografatori e videoclippatori, twittatori e instagrammatori, postatori e descrittori, me compreso. È come se la consapevolezza soverchiasse l’evento. Il commento viene prima della cosa in sé.

Caccia al personaggio

Sono arrivato in anticipo, mi sono messo a intercettare anch’io le celebrità che entrano da piazza Diaz, di fianco al Duomo. In un’ora ho avuto un assaggio della dura vita dei videocronisti. Si formano grumi di fotografi e giornalisti, corrono istericamente da un capannello all’altro, angosciati di perdere il Personaggione.

Ascolto da vicino le dichiarazioni epocali di Alba Parietti: «Al ristorante mi dicono “c’è Berlusconi, alzati e vai a salutarlo”, io sono una signora, non mi alzo, ma veniva sempre lui da me». Lele Mora: «trattava tutti bene, ti faceva sentire a tuo agio». Barbara D’Urso: «L’ultima volta mi ha chiamato per dirmi che mi aveva visto in trasmissione, e che però secondo lui stavo meglio nel promo con i capelli raccolti: sempre sul pezzo fino alla fine!». Iva Zanicchi: «Mi ha fatto i complimenti per come ho ballato in tv. Faceva tanta beneficenza senza dirlo a nessuno».

Mi sfilano a due passi Mariastella Gelmini, Lorella Cuccarini, Gianni Letta, Enrico Papi, Giulio Tremonti e altre personificazioni sparse della sua ricetta, la mistura di spettacolo e politica, gli ingredienti con cui ha costruito e mantenuto il suo potere.

La madornale decisione di proclamare il lutto nazionale, le bandiere a mezz’asta, i sette giorni di chiusura del parlamento e il megafunerale al Duomo mostrano quanto sia improbo per la destra compiere questo rito di sepoltura, e quanto ingombrante fosse la sua presenza. Sbarazzarsi di lui è stato il desiderio malcelato di tutte le ipocrite prosternazioni deferenti che gli sono state dedicate in questi ultimi anni. Ora bisogna dimostrare di avergli conferito i dovuti onori, con questa elaborazione del lutto sovradimensionata, per poter dire: “Il nostro dovere l’abbiamo fatto, finalmente se ne è andato, non pensiamoci più”.

Il pomeriggio lasciava sperare per il meglio, nonostante la facciata austera della cattedrale. «Magari dentro il Duomo ci sono gli addobbi», mi sono detto. «Statue colorate: ormai le hanno sdoganate anche gli archeologi. Avranno pittato qualche santa con l’ombretto, il rossetto e il tubino nero, che gli piacevano tanto».

Invece, delusione. Siamo proprio dentro una chiesa. Magari si è convertito in punto di morte. Si sa com’è, invecchiando. Tutto può essere. Prendo posto in una panchina libera. Mi ritrovo tra Francesco Storace, Flavio Tosi e Roberto Castelli. Penso con terrore a quando dovrò scambiare con loro un cattolico segno di pace.

In chiesa

LAPRESSE

Ci sono schermi disseminati nella chiesa, vediamo le immagini dell’auto che trasporta la bara in avvicinamento. La colonna sonora di canti eterei del coro nella cattedrale smaterializza quelle immagini, la macchina scorre sospesa su un asfalto metafisico. Segnerà una svolta negli spot automobilistici di prossima generazione.

Si spalanca il portale della chiesa, la luce dilaga, entrano i pennacchi rossi e blu dei carabinieri, parte l’applauso. La bara percorre la navata. Che cosa ci fa Berlusconi in una chiesa? In quella bara c’è la salma più materialista d’Italia. Non poteva entrarci neanche un soffio di spirito, in quel corpo. Era troppo stipato del suo io. Alla spiritualità aveva sostituito le spiritosaggini.

Che cosa c’entra lui con la messa? Non riesco a concepire due cose più distanti. E non perché fosse un grande peccatore. Figuriamoci, i preti vanno in solluchero proprio nei casi come questo. Quanto più ostinato è il peccato, tanto più si dimostra che c’è bisogno di loro per erogare benedizioni e perdono. Il motivo per cui sento questa incongruenza assoluta è un altro. È che lui le liturgie le inventava, non sopportava di entrare in quelle decise dagli altri.

Come hanno potuto fargli un torto così grande? Bisognava mettere in piedi una cerimonia alternativa. Qui c’è un settore enorme di posti riservati a funzionari e dipendenti Mediaset. E l’azienda, agli ingressi del Duomo, aveva disseminato buttafuori vestiti da ammiragli, torvi e sussiegosi: ho chiesto un’informazione a uno che mi ha rimbalzato scuro in volto, come se avessi importunato il segretario personale di Mattarella. Ma allora, con una rappresentanza così numerosa alle esequie, gli sceneggiatori e i programmisti Mediaset avrebbero dovuto darsi da fare, aizzando la fantasia in omaggio all’estrosità del loro padre fondatore. Che so, organizzare una partita di calcio funerario, magistrati contro politici, atei devoti contro cattolici divorziati: squadre indistinguibili, tutti in campo vestiti di nero, tutti contro tutti, tutti contemporaneamente giocatori e arbitri, come voleva essere lui.

Perché invece siamo qui a capo scoperto? Perché non ci hanno distribuito una bandana da metterci tutti quanti sulla testa?

Un inventore di riti

Silvio Berlusconi è stato un inventore di riti. Non è possibile che ora subisca questo vecchiume in extremis, lui che con le televisioni e le trasmissioni e gli inni di partito ha sfornato decine di rituali nuovi. Li ha dettati lui, alle sue condizioni. E adesso si ritrova nel solito cerimoniale buono per tutti, solo un tantino più affollato.

Fondava nuove liturgie ma era un irrituale, un sovvertitore di cerimonie; dalle frivolezze alle cose serie; dalle corna nelle foto istituzionali alla proclamazione di un partito salendo sul predellino dell’auto. Una volta però l’ho ammirato: quando è andato al cinema con la figlia a Vimercate la sera della prima della Scala, e un’altra volta, mi pare, in pizzeria. Mentre l’Italia che conta faceva sbrilluccicare orecchini e canini nel foyer del teatro, lui sgranocchiava un cornicione di capricciosa su una tovaglia a quadretti rossi. L’uomo più ricco d’Italia che riesce a passare per persona qualunque, con i gusti di tutti, lontano da mondanità e culturaglia. Colpo da maestro.

Mentre ricordo queste cose, mi rendo conto che è l’essere umano di cui so più cose, al di fuori della mia cerchia. Anzi, ora che ci penso ne so di lui più di quanto sappia dei miei amici più cari. Per dire, mica ho sentito le loro intercettazioni telefoniche la mattina dopo che sono andati a letto con una tipa. Di Berlusconi invece so tutto, anche se non l’ho mai visto di persona. Di lui sono stato indotto a fantasticare ciò che non poteva essere documentato e divulgato ma si è saputo comunque, dai rapporti con i boss agli spettacolini privati alla fantomatica telefonata in cui le deputate del suo partito si danno consigli nei dettagli su come gli piaceva essere vezzeggiato. Voglio dire che non c’è persona come lui che sia riuscita a imporsi non solo come immagine, ma anche come immaginazione, come oggetto di fantasticamenti, congetture, apparizioni.

Mi riscuoto dai miei pensieri, ho un sussulto quando sento la lettura tratta dalla Seconda lettera di san Paolo ai Corinzi: «Tutti infatti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo». Ho l’impressione che anche la bara rabbrividisca: persecuzione giudiziaria pure in Paradiso.

Alla fine della Liturgia della Parola, è il momento della lettura del Vangelo di Giovanni. «Colui che viene a me non lo caccerò fuori. Chiunque crede in me avrà la vita eterna», dice. È palesemente apocrifo. Nella mia testa ne risuona un altro, certamente autentico: un brano dal Vangelo secondo Mike.

«In quel tempo, Silvio si recò in un sottoscala di Via Teulada, dove era mugugno e stridor di dentiere. Egli radunò a sé Raimondo, Sandra, Pippo, Corrado, Maurizio, Mike, e disse loro: “Perché languite qui in Rai? Venite a me, io vi farò pescatori di telespettatori”. Ed essi si meravigliarono alquanto, e dissero: “Rabbi, cosa possiamo darti che tu non hai già?”. Ed egli disse: “Gli italiani prenderanno sul serio le mie televisioni se ci vedranno dentro voi, e grazie a voi io conquisterò la pubblicità, l’informazione, la politica e tutto il paese, e voi riceverete vita e vecchiaia eterna sullo schermo, vi lascerò fare i vostri quiz e sketch e talk show e bagattelle fino a che non schiatterete”. Ed essi obbedirono, per vanagloria e avidità di denaro, ed ebbero sulla coscienza la presa berlusconiana del paese, e ora bruciano nel fuoco della Geenna».

L’omelia

L’arcivescovo di Milano fa la sua predica. Dice: «Vivere e amare la vita. Vivere e desiderare una vita che non finisce». Ci sta, Berlusconi aveva dichiarato che poteva arrivare a centovent’anni.

L’arcivescovo dice: «Amare e desiderare di essere amato. Temere che l’amore sia una concessione, un’accondiscendenza». Berlusconi si sarà mai chiesto quanto lo amavano per convenienza? E quanto l’amore conveniente fosse quello più solido su cui contare, invece del volatile affetto sincero, che oggi c’è e domani chissà?

L’arcivescovo dice: «Essere contento e desiderare che siano contenti anche gli altri. Essere contento e stupirti che non siano contenti anche gli altri». Mentre lo ascolto mi chiedo come dev’essere stata una vita passata a cercare di procurare piacere, a sfruttare il piacere procurato ad altri. Nel mio piccolo, l’ho vissuto anch’io. Ho scritto per il teatro: è un’esperienza unica vedere realizzato sul palco una propria fantasia; registi, attori, scenografi, costumisti, tecnici, tutti si adoperano per concretizzarla. Mi è sembrato perfino troppo: l’imposizione di un mio sogno. Moltiplicando la mia esperienza per un milione, posso intuire in quale ebbrezza viveva lui, che è riuscito a imporre il suo sogno agli italiani. Proprio il suo personale, non quello del marketing.

In un primo tempo infatti credevo che ciò che proponevano le sue televisioni fosse il frutto di oculate strategie di mercato, sondaggi sulle preferenze e le debolezze profonde della gente. Il meglio della semiotica e delle scienze umanistiche novecentesche applicate agli schermi: archetipi condivisi, scaltrezza commerciale, estetica dei media. E invece no, mi sbagliavo. È ciò che mi ha impressionato di più, quando è venuto fuori com’era il suo modo di concepire il divertimento privato e i piaceri personali. Stangone, tettone, sorrisoni, dentature sbiancate, siparietti triviali.

Lo spettacolo televisivo che ci ha offerto Berlusconi, da quarant’anni a questa parte, il sogno in cui ci ha risucchiati, era quello che piaceva veramente a lui. Era il suo sogno. Quello che, appena poteva, lui allestiva scenicamente per sé stesso, dal vivo, intorno a sé, a casa sua, a palazzo Grazioli, nella villa in Sardegna, facendolo recitare in carne e ossa dalle sue giovani invitate, dai suoi strimpellatori di chitarra, dagli ascoltatori delle sue barzellette.

L’arcivescovo continua la sua predica, si contiene, sette minuti in tutto. Dice che Berlusconi è un uomo d’affari, e gli uomini d’affari devono fare affari. Dice che Berlusconi è un politico, e i politici dei nostri tempi sono uomini di parte. Dice: «Un desiderio di vita, un desiderio di amore, un desiderio di gioia. Ecco che cosa si può dire di Silvio Berlusconi. È un uomo e ora incontra Dio». Ottima predica, si vede che l’arcivescovo conosce bene il Vangelo ed è andato a scuola da Ponzio Pilato.

Sono piuttosto indietro nelle file, a tre quarti della navata, ma lo vedo anche sugli schermi; è evidente che lo stanno doppiando. Lo guardo bene, gli leggo il labiale. In realtà sta dicendo: «Berlusconi è stato un grande secolarizzatore. Se mai ha avuto un merito, è stato quello di rendere miscredenti gli italiani; sì, meglio l’ateismo che la nostra ipocrisia clericale. Ma allora come mai oggi pomeriggio noi preti omaggiamo il nostro sterminatore? Colui che ha lavorato alla nostra estinzione, spazzando via ogni afflato verso la trascendenza con il culto del successo, dei soldi, della figa?»

Finita la messa, portata fuori la bara, nel settore della piazza riservato alla gente sventolano i bandieroni del Milan. Dalla folla non sale nessuna preghiera, solo cori da stadio.

© Riproduzione riservata