«Dov’è Tommasi?», si sono domandati per settimane giornalisti e i semplici elettori. Sembrava un paradosso: per una volta che la sonnolenta e provinciale Verona aveva un candidato sindaco famoso, di Damiano Tommasi, ex centrocampista della Roma, vincitore dello scudetto 2001, in città non c’era quasi traccia. Niente manifesti, niente comizi, niente spot su radio e Tv.

Con l’avvicinarsi del primo turno, fissato per domenica 12 giugno, nella coalizione di  centrosinistra che lo sosteneva è iniziato a serpeggiare il timore. La destra correva divisa, con il sindaco uscente Federico Sboarina di Fratelli d’Italia osteggiato dall’ex sindaco Flavio Tosi, sostenuto da Forza Italia. Ma anche cinque anni prima la destra era andata divisa e il candidato di centrosinistra era rimasto fuori dall’insolito ballottaggio esclusivamente conservatore. Poi, domenica, la sorpresa. Gli exit poll davano Tommasi intesta, quasi dieci punti di distacco dal suo avversario Sboarina. Quando il conteggio è terminato, il vantaggio si era ridotto, ma i risultati definitivi confermavano quello che sembrava impossibile: con il 39 per cento dei voti, Tommasi conquistava il ballottaggio al primo posto, sette punti avanti il sindaco uscente. Una conferma arrivata anche con i risultati del 26 giugno, dove l’ex calciatore della Roma è stato incoronato sindaco con il 53,34 per cento dei voti. La città negli ultimi 15 anni è sempre stata nelle mani del centrodestra.

Una campagna insolita

«È stata una campagna anomala per un candidato molto anomalo», dice Giovanni Diamanti, fondatore della società di consulenza Quorum che ha curato la comunicazione di Tommasi. «Per usare una metafora calcistica, da agenzia, non abbiamo fatto gli Zeman, ma i Capello: non abbiamo imposto, ma ci siamo adattati».

Non c’è stato modo, racconta, di persuadere Tommasi a realizzare i classici manifesti 6x3 con la sua faccia, a stampare migliaia di volantini o a mettersi in mostra nelle canoniche conferenze stampa. Tommasi ha condotto una campagna sui generis, tutta per le strade e le piazze, accompagnato da decine di giovani volontari, tra cui molti membri dell’associazione Traguardi, un gruppo di circa duecento attivisti veronesi, quasi tutti sotto i 35 anni, tra i primi a contattarlo per persuaderlo ad accettare la candidatura.

L’attività che lo ha caratterizzato sono state le “passeggiate”: camminate di una decina di chilometri ciascuna per i quartieri della città. Se alla sua prima conferenza stampa di presentazione a Castel San Pietro, sul colle che domina il centro della città, Tommasi era sembrato rigido e impacciato, nelle passeggiate ha mostrato di cosa è capace. Il suo, dice Diamanti, «è un carisma particolare, non quello classico del politico. Sa far sentire importanti le persone, si ricorda i nomi, capisce le loro esigenze». I giornalisti locali ricordano la sua passeggiata la scorsa settimana alle Golosine, storico quartiere di destra in una città storicamente di destra. Le persone lo riconoscevano ad ogni angolo e si fermavano a salutarlo. Un’anziana lo ha invitato dal balcone a bere un caffè.

«Tommasi piace perché è buono, ha una bella faccia, è molto spontaneo, uno che ti butta lì la frase in dialetto», dice Pietro Trincanato, presidente di Traguardi, che al primo turno ha raccolto il 6 per cento dei voti, riuscendo a superare Verona Domani, la principale lista civica del sindaco uscente, dotata di ben altre risorse economiche. Trincanato racconta che quando Sboarina ha deciso che la sua attività principale in vista del ballottaggio sarebbe stata una conferenza stampa quotidiana davanti al municipio, nello staff di Tommasi si sono leccati le dita. «Sboarina non poteva fare nulla di meglio per sottolineare il contrasto con Tommasi».

Un candidato civico

Tommasi ha preteso un passo indietro da parte di tutti i partiti che lo sostengono, ha imposto agli alleati le regole di ingaggio e ha preteso una campagna completamente civica. Nel suo comizio finale non c’era una sola bandiera di partito. L’idea ha suscitato scetticismo all’inizio, ma alla fine si è rivelata perfetta per accompagnarsi alla sua storia personale: il bravo ragazzo di provincia che ha fatto fortuna, ma senza dimenticarsi della sua città.

Nato nel 1974 in un piccolo paese alle porte di Verona, Tommasi inizia a giocare a calcio per l’Hellas nel 1993. Nella stagione 95-96 passa alla Roma e nel 2001, quando la squadra vince il campionato, l’allenatore Fabio Capello lo definisce il giocatore più importante della squadra. Cattolico praticante, vicino alla corrente pedagogica e sociale di Don Milani, nel 1994 presta servizio civile perché, dice, non vuole servire il suo paese con un fucile in mano. Quando si infortuna per un anno, accetta di trascorre un’altra stagione con la Roma prendendo lo stipendio minimo di 1.500 euro al mese. Persino l’Osservatore romano dedica un articolo alla favola del calciatore buono. Terminata la carriera calcistica, diventa presidente dell’Associazione calciatori per quasi un ventennio e ritorna a Verona, dove fonda una scuola bilingue paritaria. 

Gli avversari

La “favola” di Tommasi sarebbe potuta andare diversamente se i suoi avversari non ci avessero messo del loro. Verona è storicamente una città cattolica e conservatrice e negli ultimi anni è diventata un vero e proprio laboratorio politico in cui l’ultratradizionalismo cattolico si è incontrato con l’estremismo di destra e con la sua versione mainstream, rappresentata dalla Lega di Matteo Salvini. È la città dell’ex ministro leghista Lorenzo Fontana, scelta nel 2019 per ospitare il famigerato Congresso mondiale delle famiglie.

«Qui resistere è molto faticoso, ti mette alla prova», dice Gianni Zardini, presidente dello storico Circolo Pink, la più antica e militante associazione Lgbt della città. «Già nel 1995 in comune si presentavano le prime ordinanze omofobe e oggi il sindaco non perde occasione per scagliarsi contro l’ “ideologia gender” e la lobby omosessuale».

Ma se Verona rimane una città di destra, in cui al primo turno Sboarina e Tosi hanno preso il 60 per cento, il progetto politico che doveva incarnare questo sentimento è fallito. Sia a livello nazionale, con lo spostamento della Lega al centro e il suo ingresso nel governo Draghi, ma anche a livello locale. La piattaforma identitaria e radicale di Sboarina non ha persuaso Tosi, che proprio sulla questione del moderatismo si era staccato da Salvini. Tra i due c’è una forte antipatia personale e in vista del fine settimana l’ex sindaco ha consigliato ai suoi di andare al lago.

Ma la vecchia destra identitaria non è riuscita a persuadere nemmeno gli elettori. Andrea Bacciga, il consigliere comunale legato al movimento Fortezza Europa che aveva fatto il saluto romano in municipio, non è riuscito a farsi rieleggere. Gli slogan di Sboarina, «Mai la sinistra a Verona», e le sue minacce, «Con Tommasi Verona diventerà una città transgender», non hanno funzionato contro Tommasi e le sue impeccabili credenziali di cattolico moderato e rassicurante.

Non per questo, però, l’ex calciatore è considerato un grigio centrista incolore. «Vedo un grossissima aria di risveglio e voglia di cambiamento. Anche se non ce la farà, la musica in città è destinata a cambiare», dice Zardini del circolo Pink. 

In un certo senso, Tommasi è riuscito a Verona nell’operazione che il segretario del Pd Enrico Letta vorrebbe fare a livello nazionale: mettere sotto uno stesso tetto tutta l’area politica che dal cattolicesimo centrista arriva alla sinistra, un ruolo però molto più facile da giocare in una campagna elettorale all’inseguimento che dopo aver trascorso quasi un decennio al governo. La sua “assenza” iniziale ha permesso ad ognuno di vedere in lui quel che desiderava: dal ragazzo cattolico dalla faccia pulita, all’alfiere del cambiamento in una città che vuole riaprirsi. Lo ha aiutato anche una certa vaghezza nei programmi, un punto su cui Sboarina ha battuto spesso. «Tommasi non dice quali sono le tre cose che farà nei primi cento giorni – ammette Diamanti – ma dice che nella sua città non sarà discriminato nessuno».

 

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