Una bomba a orologeria? «Ha senso porsi questa domanda»: per l’ex ministro della Giustizia spagnolo Juan Fernando López Aguilar è difficile credere alle coincidenze quando hanno una tale puntualità.

La Spagna si è appena ripresa dallo scompiglio elettorale, giusto il tempo di realizzare che i popolari e l’estrema destra di Vox non hanno la maggioranza assoluta per governare, e che è Pedro Sánchez ad avere le carte in mano. Che esiste una linea di resistenza spagnola all’onda nera in Europa. Non appena si è capito che un governo Sánchez bis è possibile se c’è il supporto dei catalani, sono arrivati i segnali di fibrillazione.

Il più clamoroso riguarda Carles Puigdemont: come lui stesso dice, «un giorno sono risultato decisivo per la formazione di un governo spagnolo, e il giorno dopo è stato ordinato il mio arresto». La formazione da lui fondata, Junts per Catalunya, si ritrova oggi col futuro dei socialisti e del paese in mano; ed è pure oggetto di ripetuti scossoni nelle ultime ore.

Le carte di Sánchez

La sfida di Sánchez è il doppio blocco: da una parte deve bloccare le destre, dall’altra deve scongiurare il bloqueo, e cioè lo stallo istituzionale.

Nonostante siano i suoi avversari del Partido popular, ad aver incassato il maggior numero di seggi, è il premier socialista la figura chiave adesso. I risultati definitivi si avranno venerdì quando sarà finito lo scrutinio anche dei voti per posta, ad ogni modo i popolari di Alberto Núñez Feijóo pregustano 136 seggi, 47 in più della tornata precedente; ma neanche il patto col diavolo – l’estrema destra di Vox, che passa da 52 a 33 – conduce ai 176 seggi della maggioranza assoluta.

Non la raggiunge nessuna delle due potenziali coalizioni, né a destra popolari e Vox, né a sinistra socialisti e Sumar; ed ecco perché si entra in un altro dominio della politica: non contano solo i numeri, contano soprattutto i margini di manovra. È qui che la sinistra può sorprendere ancora.

Dopo aver rivelato una capacità di tenuta non scontata prima del voto – lo Psoe ha 122 seggi, cresce di due, e Sumar ne prende 31 – ora la coppia di fatto Sánchez-Díaz ha più possibilità di attirare a sé i partitini fuori dai due schemi. Vox propugna il centralismo territoriale ed è quindi incompatibile con formazioni regionaliste che risultano chiave in questa fase.

I socialisti invece negli ultimi anni hanno già governato proprio assieme a partiti quali il Bloque nacionalista galego, EH Bildu, il Partido nacionalista vasco, Esquerra republicana de Catalunya.

L’ora della Catalogna

Cruciale si rivela Junts: non a caso questo lunedì Sumar è andato in avanscoperta, a negoziare con Puigdemont.

Il 17 agosto i parlamentari assumeranno l’incarico, e dopo una consultazione coi gruppi politici, il re dovrà conferire un incarico. Feijóo lo chiede per sé, ma non ha i numeri; e se si torna al voto, rischia di essere ammutinato dalla più trumpiana del suo partito, la governatrice madrilena Isabel Ayuso. Già domenica sera lei gli ha rubato i cori della tifoseria al comizio post voto.

Sánchez può tentare il bis, se i catalani lo assecondano. E con precisione chirurgica proprio questo lunedì è stato chiesto l’ordine di cattura internazionale per Puigdemont e Antoni Comín, mentre a mezzogiorno l’eurodeputata – anche lei di Junts – Clara Ponsatí ha dato notizia di essere stata «di nuovo arrestata a Barcellona».

López Aguilar, costituzionalista prima di diventare ministro con Zapatero, e oggi a capo della commissione Giustizia del parlamento Ue, dice che «i popolari sono ossessionati da tempo con il controllo della magistratura , che in Spagna ha un tratto distintivo conservatore».

Lo squilibrio si riscontra ad esempio nel fatto che i popolari tengono in ostaggio il Consejo general del poder judicial, bloccandone il rinnovo da cinque anni. La concentrazione di segnali in direzione della Catalogna rivela le fibrillazioni che attraversano in queste ore la Spagna.

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