C’è un motivo su tutti per cui Éric Zemmour aspetta l’avanzare dell’autunno e non ha ancora ufficializzato la sua candidatura alle presidenziali francesi. Il motivo, come spiega chi gli è vicino, è che poi le regole di par condicio ne limiterebbero l’abilità principale: quella di arringare da uno schermo televisivo, quasi ogni giorno e per un’ora prima di cena, i francesi. Ideologo, polemista, scrittore, giornalista, Zemmour è un concentrato puro e senza edulcoranti di ogni possibile argomento razzista, islamofobo, maschilista e persino revisionista. Se ha deciso di trasformare la sua potenza mediatica in dote politica è in nome di una estrema destra che si vuole riprendere uno spazio mentre intanto la destra di Marine Le Pen si normalizza. Attenzione, perché questa non è un’operazione squisitamente francese: la rete collega Parigi a Roma e a Budapest, a Viktor Orbán e Giorgia Meloni. Anche la destra italiana è coinvolta. Mentre se la prende coi migranti davanti a una telecamera quattro giorni su sette, finita la trasmissione, una o due sere a settimana, Zemmour va a cena con esponenti dell’establishment economico e finanziario. Ed è una delle ragioni principali per cui la sola ipotesi di una sua candidatura è degna di interesse: la destra che sostiene Zemmour è sì estrema, ma anche funzionale a un certo sistema. Tra gli analisti politici c’è persino chi insinua che il primo ad avvantaggiarsi della sua discesa in campo, fino a diventarne addirittura l’artefice, sarebbe Emmanuel Macron, che in questo modo può depotenziare l’avversaria Marine Le Pen. Intanto il prestigiatore dell’odio razziale – condannato anche, per le sue parole – cresce nei sondaggi: da giugno a oggi il suo consenso è rapidamente salito dal cinque al sette per cento.

Ideologia del rimpiazzo

La France n’a pas dit son dernier mot, “La Francia non ha ancora detto l’ultima parola”. Si intitola così l’ultima creatura di Zemmour, il libro che uscirà il 16 settembre e che ha fornito al polemista – in attesa di ufficializzare la candidatura – l’alibi per disimpegnarsi dalla testata Le Figaro. Era dal 1996 che le sue opinioni e i suoi scritti avevano trovato casa lì, ora «la Francia è a un bivio ma non è detta l’ultima. Dovrò incontrare i francesi per presentare il mio nuovo libro, dunque non potrò garantire al giornale il mio consueto contributo». L’annuncio è di questa settimana, mentre di un paio di giorni fa è il sondaggio Elabe che dice che un francese su cinque ha un’immagine positiva di Zemmour. Sono soprattutto maschi, e circa il 36 per cento dei suoi ammiratori proviene dal Rassemblement National. Sono i più delusi dal graduale slittamento del partito di Marine Le Pen verso una destra meno aggressiva. Lo scrittore invece, da outsider della macchina partitica, può mostrarsi senza pudori, e la sua bibliografia, i suoi scritti, le sue apparizioni tv ne sono la prova.

Nel 2006 ha attaccato il pensiero di Simone de Beauvoir e le donne in Le premier sexe, inno alla mascolinità e sfregio alla «femminilizzazione della società». Questa estate ha ricevuto anche accuse di molestie sessuali, e oggi a chi lo definisce misogino risponde: «Il mio nemico non sono le femmine ma il femminismo che pretende di eliminare le differenze, che è criminale e totalitario». Per lui «l’uomo che protegge meglio le donne è quello che si batte contro certi migranti». E qui si arriva al cuore della sua ideologia, cioè la tesi del grand remplacement, del “gran rimpiazzo”: «Nel 2050 il nostro paese sarà per la metà islamico, diventeremo una repubblica islamica, se non fermiamo noi i musulmani fermeranno loro noi».

Islamofobo e fustigatore dell’immigrazione, con Le suicide français nel 2014 ha sbancato in libreria. Estremamente di destra, è capace però di rubare alla sinistra la sua cassetta degli attrezzi: «Sto facendo una battaglia ideologica ovvero gramsciana», dice. E la sua strategia ora diventa particolarmente sofisticata: Zemmour mira anche a mettere immigrati contro immigrati.

Guerra civile

A parole il polemista presagisce il rischio della dominazione islamica e preannuncia «una guerra civile: è più che probabile, e sarà sanguinosa». Elettoralmente parlando, però, è lui per primo a dividere: gli immigrati di vecchia data, contro coloro che potrebbero arrivare. Francesco Giubilei, presidente della fondazione Tatarella e autore di Giorgia Meloni. La rivoluzione dei conservatori, spiega qual è la strategia: «La famiglia di Zemmour veniva dall’Algeria, l’immigrazione algerina in Francia è diversa da quella recente, potenzialmente sono più di un milione e potrebbero votarlo: sono i primi a essere orgogliosi dell’unità nazionale e a non volere nuove ondate migratorie incontrollate».

Il grimaldello ideologico di Zemmour è, non a caso, il concetto di assimilazione: non è che si debba essere per forza nati in Francia ma tutto, dal nome di battesimo alla cultura, deve essere spalmato in una logica di «omogeneità». Con le sue sparate il giornalista e scrittore ha già incassato numerosi procedimenti giudiziari, sia per istigazione alla discriminazione razziale, che per istigazione all’odio, e all’odio religioso, verso i musulmani. «Zemmour è il portavoce di una estrema destra esplicita e persino revisionista, visto che arriva a giustificare pure il collaborazionismo all’epoca di Vichy», dice Dominique Vidal, saggista e giornalista de Le Monde Diplomatique. Suo padre, Haïm Vidal Séphiha, è stato deportato ad Auschwitz. Éric Zemmour è ebreo, ma anche in questo afferisce all’estrema destra. Spiega Vidal, «esprime un nazionalismo di estrema destra ebreo che ha radici già negli anni Trenta, un sionismo revisionista che attecchisce tanto nella grandissima borghesia quanto tra gli ebrei poveri che vivono nelle periferie e vivono piccoli scontri con gli immigrati nordafricani».

Connessioni che contano

Mentre catalizza le pulsioni anti migranti delle periferie, Zemmour stringe anche relazioni con le élite economiche e finanziarie di Francia e non solo. Anzitutto la rete tv CNews che ne ospita le arringhe – e che rischia condanne per istigazione all’odio o persino la chiusura per le sue parole – è del capitano d’industria Vincent Bolloré, che gli copre le spalle ed è accusato dai socialisti francesi come Benoît Hamon di «tessere la tela dell’estrema destra». Poi, una o due volte a settimana lo staff del giornalista, capitanato non a caso da una “enarca”, la consigliera Sarah Knafo, gli organizza cene con personaggi del mondo degli affari. Da febbraio ce ne sono state più di quaranta. Zemmour pesca tra industriali e manager vicini, prima, a François Fillon o a Nicolas Sarkozy. Nessuno ne appoggia esplicitamente la candidatura, ma molti si muovono dietro le quinte. C’è chi ipotizza che tra i sostenitori taciti ci sia addirittura Macron, il quale volentieri scalfirebbe i consensi di Le Pen. In realtà in famiglia qualcuno che sostiene Zemmour c’è, ed è la nipote di Marine, Marion Maréchal, che per ora pensa alla scuola fondata a Lione e prepara un’eventuale candidatura alle presidenziali successive, ma che supporta attivamente lo scrittore. «Loro due si conobbero alla convenzione della destra del 2019 che organizzai proprio io», racconta Eric Tegnér. Classe 1993, «io sono la generazione Zemmour: noi che oggi abbiamo tra i 20 e i 40 anni, da adolescenti lo guardavamo in tv, leggevamo i suoi libri». Tegnér ha creato un portale che si chiama Livre noir, al quale Zemmour a giugno ha rilasciato un’intervista inedita.

Questo giovane politico, vicino tanto a Maréchal quanto a Zemmour, è di fatto il tramite tra i due e lavora attivamente per la candidatura del polemista, al quale dedicherà un docufilm.

Budapest e Giorgia Meloni

Un altro sarà invece su Viktor Orbán. «Il premier ungherese è il modello di Zemmour», dice Tegnér, che al momento è al Danube institute di Budapest. Nella capitale ungherese scambia relazioni con Giubilei, che definisce non a caso la capitale ungherese «il nuovo hub del pensiero conservatore», con il milieu culturale vicino alla Lega e soprattutto a Fratelli d’Italia. In questo stesso partito è trasmigrato di recente, proveniente dalla Lega, il compagno di Marion, l’eurodeputato Vincenzo Sofo. E se Matteo Salvini è legato per ora, almeno all’apparenza, a Marine Le Pen, Giorgia Meloni può puntare tutto su Zemmour, l’estrema destra che vuole mangiarsi i voti dell’estrema destra che fu.

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