La permeabilità del Portogallo all’estrema destra è una questione europea. Senza la normalizzazione in corso anzitutto a livello europeo, e senza lo scambio tra destre europee di un copione condiviso, la scalata di Chega a terzo partito alle ultime elezioni in Portogallo non sarebbe potuta accadere.

Pochi giorni dopo le elezioni che hanno portato Giorgia Meloni al governo, in un hotel romano il fedelissimo di Viktor Orbán, Balázs Orbán, e André Ventura, il leader di Chega, avevano condiviso una comune ambizione: penetrare la penisola iberica, uno dei pochi bastioni socialisti rimasti.

E ora che l’ambizione sembra in parte soddisfatta anche le conseguenze saranno europee: si vedrà fino a che punto il centrodestra dei popolari, che ha già aperto alla destra estrema meloniana, vuol mantenere una parvenza di cordone verso i sovranisti di Identità e democrazia ai quali Ventura – assieme a Matteo Salvini, Marine Le Pen e altri – appartiene.

Giorgia Meloni in vista del voto di giugno ha lasciato da parte ogni parvenza promettendo di dar battaglia in Ue: in un comizio pescarese ha simulato con le mani un elmetto da guerra.

Questo lunedì i suoi Fratelli d’Europa, a cominciare dal capodelegazione di FdI Carlo Fidanza e dal capogruppo dei Conservatori Nicola Procaccini, non si sono limitati a congratularsi con Ventura. Hanno invocato per il Portogallo la caduta delle «preclusioni», un altro modo per riferirsi al cordone sanitario.

E poco importa che in teoria il leader di Chega faccia parte del gruppo sovranista Id, quello della Lega, che infatti festeggia. À la guerre comme à la guerre: per allargare il perimetro del potere, ogni limite cade.

Un prima e un dopo

Alle europee del 2019, Chega non era riuscito a eleggere neppure un eurodeputato. Dopo il voto di domenica, può persino arrogarsi il ruolo di ago della bilancia, con il centrodestra che ha superato di un soffio i socialisti ed è in cerca di maggioranza. Come si spiega la tendenza dei partiti di estrema destra come quello portoghese a gonfiare consensi in tempi relativamente rapidi?

Per il politologo portoghese Vicente Valentim, che su questo fa ricerca a Oxford, la risposta sta anzitutto nella normalizzazione dell’estrema destra. Spostare preferenze politiche è un processo che richiede tempo; altra cosa è se una simpatia per l’estrema destra nell’elettorato c’è già, ma è latente, anche perché «si teme l’ostracismo sociale». Un leader con carisma e soprattutto un processo di normalizzazione che renda l’estrema destra digeribile, per Valentim, possono fare la differenza.

Dal 2021 i popolari europei hanno avviato la cooperazione con l’area meloniana, e poi via via in varie nazioni – si pensi a Svezia o Finlandia – i partiti moderati hanno aperto le porte agli estremi.

Il boom elettorale di Ventura arriva poco dopo il successo eclatante di un altro compagno di gruppo sovranista, Geert Wilders, il cui exploit – per dirla con l’esperto, Cas Mudde – è dovuto proprio alla normalizzazione operata dai liberali di Yeşilgöz-Zegerius. Le proiezioni per giugno vedono il gruppo Id in gran crescita, e il successo di Wilders e Ventura anticipa questa traiettoria.

Chega, che è entrato in Id nel 2020, coltiva buoni rapporti pure con Ecr e nutre ammirazione per il premier ungherese. Subito dopo le elezioni italiane, a settembre 2022 Ventura confabulava nella hall dell’Hotel Quirinale con Balázs Orbán per capire come replicare il “modello orbaniano”. I due si trovavano a Roma per un evento organizzato dai think tank di area meloniana; c’erano anche Raffaele Fitto e Lorenzo Fontana, FdI e Lega. Quando si tratta di allenarsi a prendere il potere, l’estrema destra europea fa comunella.

Bisognerà vedere se Luís Montenegro, il leader di Alleanza democratica che fa parte del Ppe, manterrà la promessa di non fare patti di coalizione con Ventura: non è da escludere che Chega abbia un ruolo, non foss’altro che come appoggio esterno o su alcuni dossier.

L’unico vero argine allo strapotere dell’estrema destra lo ha messo per ora il presidente della Repubblica Marcelo Rebelo de Sousa.

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