“God save the Queen”, Dio salvi la regina. E stavolta, se non sarà Dio, la scienza potrebbe dare un aiutino. Elisabetta, con i suoi 94 anni, è tra i papabili per il secondo round di vaccinazioni britanniche contro Covid-19. Per ora le è passata davanti una commessa in pensione. «Tocca a me il privilegio», ha detto Margaret Keenan, prima vaccinata d’occidente.

Chi sono i primi vaccinati

"Maggie” Keenan, 91 anni da compiere la prossima settimana, è stata vaccinata praticamente all’alba (erano le sei e mezza) all’ospedale universitario di Coventry; qui la caposala May Parsons le ha somministrato la prima dose del vaccino Pfizer-BioNTech. Il video ha fatto il giro del mondo.

«Mi è venuto un nodo in gola per l’emozione», pare abbia dichiarato la premier scozzese Nicola Sturgeon guardandolo. Keenan, che è originaria della cittadina nordirlandese di Enniskillen, ha passato la vita come commessa in un negozio di gioielli e l’ultimo anno è stata praticamente isolata per evitare contagi. «Finalmente potrò vedere familiari e amici», ha detto, con indosso una t-shirt natalizia di buon auspicio.

Dopo di lei, l’iniezione è toccata a William Shakespeare, 81 anni, omonimo del drammaturgo inglese. L’ospedale di Coventry del resto è a una trentina di chilometri da Stratford-upon-Avon, la cittadina che nel 1564 diede i natali allo Shakespeare letterato.

Joanna Sloan ha solo 28 anni ma è stata la prima vaccinata in Irlanda del Nord: spetterà a lei, come caposala, gestire le vaccinazioni a Belfast. In Galles, è toccata a Craig Atkins, mentre in Scozia la prima è stata l’anestesista Katie Stewart, «dopo un anno davvero tosto passato coi pazienti da Covid-19».

Per questi primissimi vaccinati la storia non è finita: il vaccino Pfizer prevede un iter di circa un mese, Shakespeare e gli altri non saranno subito protetti dai contagi. Dopo tre settimane dalla prima dose, bisogna iniettare la seconda. Al 28esimo giorno, si è immuni.

Come sono stati scelti tutti loro? Si tratta di pazienti ospedalieri sopra gli 80 anni, di personale sanitario impegnato in prima linea e di lavoratori delle case di cura.

L’indice dei destinatari prioritari vede ai primi posti chi risiede o lavora in case per anziani, gli 80enni, chi lavora in prima linea in ambito sanitario e di cura; seguono gli ultra 75enni, poi 70enni e con stato di salute particolarmente vulnerabile; i 65enni; chi ha fra 16 e 64 anni e ha gravi problemi di salute; 60enni; 55enni; 50enni.

Al momento sono a disposizione 800mila dosi (cioè per 400mila persone), il piano era di avere 10 milioni di dosi entro la fine dell’anno, ma pare ne arriveranno solo 4 milioni.

Mito e realtà

Matt Hancock, segretario di stato alla Salute, parla di «un trionfo di scienza e umanità», dell’«inizio della fine» della pandemia, ed è arrivato a definire il primo giorno di vaccinazioni “v-day”, dove la v sta per vaccino ma pure per vittoria, con tanto di allusioni alla liberazione dal nazismo.

L’enfasi è in parte motivata dagli sforzi effettivi che il Regno Unito mette in atto, ma rappresenta pure il tentativo da parte del governo di Boris Johnson di mettere sullo sfondo difficoltà interne e fallimenti. Il 2 dicembre l’ente regolatorio britannico, l’Mhra, ha battuto sul tempo tutte le altre agenzie occidentali dando semaforo verde al vaccino; ieri è arrivata la Food and drug administration Usa con una prima valutazione positiva.

Da settimane Londra ha attrezzato la logistica e mobilitato le risorse: il vaccino Pfizer va mantenuto a meno 70 gradi, sono stati inoltre allestiti punti di vaccinazione supplementari come stadi e sale convegni; dai medici di base all’esercito, la mobilitazione per la somministrazione è stata ingente.

Arrivare primi serve a sopire per un po’ le violente critiche arrivate persino sul fronte interno: il modo in cui l’esecutivo ha gestito la pandemia, con il sistema “a zone”, ha attirato gli strali degli stessi conservatori. Il negoziato sull’accordo commerciale post Brexit pare inoltre senza fine, e mentre Johnson si prepara a volare a Bruxelles da Ursula von der Leyen, il suo ministro Michael Gove stringe con la Commissione un accordo che definisce meglio la situazione tra le due Irlande dopo il 31 dicembre.

Certo, l’Ue promette di ridurre al minimo i controlli per cibo e medicine, ma il governo di Londra fa una clamorosa marcia indietro.

Accetta di ridurre a carta straccia le clausole contenute in due proposte di legge (l’Internal market bill e il Finance bill) che ristabilivano di fatto un confine rigido tra le due Irlande, e che contraddicevano l’accordo di divorzio con l’Ue.

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