Come ampiamente previsto, le elezioni anticipate in Kosovo sono state stravinte da Autodeterminazione (Vetëvendosje). Ha ottenuto il 48 per cento dei voti. Nella storia elettorale del paese, dal 2008 indipendente dalla Serbia, nessuno aveva mai riscosso un simile risultato.  

Albin Kurti, leader di Autodeterminazione e primo ministro in pectore, si è presentato agli elettori con una proposta fortemente sociale, per tirar fuori il paese da una stagnazione di lungo corso di cui, a suo dire, i soli responsabili sono gli ex protagonisti della rivolta anti-serba degli anni Novanta. Da allora, hanno sempre gestito il potere. Malissimo, secondo Kurti. Corrompendo, dispensando piccole rendite, sottraendo risorse allo stato e impoverendo ulteriormente il Kosovo, che già dai tempi della Jugoslavia scontava ritardi. Il Pil pro capite è di circa 4000 euro, la disoccupazione è intorno al 30 per cento, fioriscono il lavoro nero e i piccoli traffici. La pandemia è stata un acceleratore di disuguaglianze, svelando il disastro della sanità: ospedali arcaici, con corsie svuotate a causa dell’emigrazione dei camici bianchi.

Voglia di cambiamento

Il programma di Autodeterminazione è un mix di misure sociali e per la crescita. Sostegno a occupazione giovanile, ricerca e cultura, assicurazioni sanitarie pubbliche, investimenti negli ospedali, interventi a favore dell’accesso alla casa, stop alle privatizzazioni selvagge. E una lotta senza quartiere alla corruzione.

La proposta di Kurti, una rifondazione dello stato, ha fatto breccia. La festa in strada di ieri notte, con carovane di auto e frastuono di clacson, fuochi d’artificio e bandiere tenutasi nella capitale Pristina e in molte altre città evidenzia il senso di liberazione dalla “casta” che covava tra i cittadini. Indicativa anche l’affluenza alle urne, del 47 per cento. Poco rispetto a democrazie più mature, tanto per il Kosovo. È il dato più alto dalle elezioni del 2010, le prime dopo l’indipendenza. La pandemia non ha frenato la voglia di cambiamento. 

Al pieno di Autodeterminazione è corrisposto il crollo dei partiti tradizionali, a cominciare dal Partito democratico, per anni il più rappresentato in parlamento, guidato dall’ex presidente Hashim Thaci. Si è dimesso a novembre perché accusato di crimini di guerra dalla giustizia internazionale (era il capo dell’insurrezione contro Belgrado). Collassa anche la Lega democratica, che nella precedente legislatura, durata meno di un anno e mezzo, era stata inizialmente socia di minoranza del primo governo Kurti, per poi sfiduciarlo e promuovere un ribaltone con gli altri partiti post-bellici. Temevano che Kurti potesse andare alla ricerca di scheletri nell’armadio. La coalizione alternativa che hanno formato, comunque, è naufragata a dicembre. 

Alla precedente tornata, Autodeterminazione aveva avuto il 26 per cento. Con quasi il doppio del bottino sfiorerà adesso i 60 scranni in parlamento, ossia la maggioranza assoluta. Per formare il governo, dovrebbe appoggiarsi ai voti delle minoranze etniche. Hanno seggi garantiti dalla Costituzione.

Come raddoppiare il consenso

Diversi i fattori alla base del boom di Autodeterminazione. Pesa la disperazione dei kosovari. Vedono in Kurti una speranza, forse l’ultima. E conta l’affacciarsi sulla scena di una generazione di giovani, nata a cavallo del Duemila, che non si sente rappresentata dai partiti storici, dalla loro retorica della lotta per l’indipendenza e sul confronto con la Serbia, ancora acceso. Belgrado continua a controllare de facto il nord del Kosovo, dove si concentra la minoranza serba (il 5 per cento scarso dei due milioni di abitanti totali). È uno scenario complesso, quello del nord, un rompicapo per le diplomazie mondiali. Ma non è una priorità per i tantissimi giovani kosovari: metà della popolazione ha meno di 25 anni. Non lo è, al momento, nemmeno per Kurti. Sa che il dossier gli piomberà sul tavolo, e che dovrà discutere con Washington, Bruxelles, Belgrado e Mosca. Ma adesso ciò che conta è fare le prime riforme, dimostrare che il cambiamento promesso non è solo sulla carta.

Kurti ha riposto da qualche tempo le posture nazionaliste e antagoniste che lo avevano contraddistinto negli anni passati: la radicalità verso la Serbia, i propositi di unificazione con l’Albania e la critica alla presenza internazionale sul campo, Onu, Nato e Ue, che fa del Kosovo un semi-protettorato. Kurti ha istituzionalizzato il suo ardore. Anche questa è una ricetta del successo. E lo è anche la scelta di Vjosa Osmani. Nel 2019 era la candidata premier della Lega democratica. Una quarantenne popolare e politicamente talentuosa. Appoggiò l’alleanza con Kurti, e fu eletta presidente del parlamento (dopo le dimissioni di Thaci è diventata anche presidente ad interim della repubblica). Quando i notabili del partito fecero saltare il governo, prese un’altra strada, fondando un suo movimento. A queste elezioni ha scelto di correre con Kurti, portandogli ulteriori voti. Lui premier, lei capo dello stato: questo il patto che hanno stretto. Nelle prossime settimane cercheranno di concretizzarlo.

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