Doveva essere il Consiglio dove non si decideva nulla di dirimente. Con l’addio di Merkel e la Francia verso il voto, i baricentri stanno per cambiare. Doveva anche essere il vertice in cui Polexit veniva lasciata fuori dall’agenda, e in effetti non figura nelle conclusioni; formalmente si esce dal vertice così come ci si è entrati. Ma sulla Polonia qualcosa si può concluderlo. Il passo del governo polacco per eliminare la camera disciplinare, che sanziona i giudici infedeli alla linea, è il primo segno del compromesso. La Commissione dal canto suo continuerà ad aspettare, invece di attivare subito il meccanismo che condiziona fondi a stato di diritto. Il canale di dialogo è aperto.

Inoltre questo vertice qualcosa ha sancito: che i migranti sono un problema e la salvaguardia del clima è questione di punti di vista.

La frontiera e i muri

«Rispetto al passato c’è una convergenza sempre più grande, obiettivi comuni». La chiosa del presidente del Consiglio europeo è rivelatrice: la convergenza di cui parla è quella per una Europa che fa da barriera verso i migranti. Il vertice parte dal controllo delle frontiere esterne, e in particolare dalle tensioni al confine con la Bielorussia. Per affrontare quella che i governi definiscono «minaccia ibrida» da parte di Aleksandr Lukashenko, la Polonia ha già dichiarato uno stato di emergenza tale per cui i media non possono sorvegliare cosa accade alla frontiera. Ha inoltre trasformato in norma i respingimenti illegali, negato la possibilità di chiedere protezione internazionale, costruito un muro; e si prepara a costruire una nuova barriera ipertecnologica. Mentre i leader si riunivano, l’ennesimo migrante è stato trovato morto al confine.

Eppure, i leader si sono mostrati comprensivi verso l’approccio di Varsavia: il dibattito si è articolato piuttosto su chi debba farsi carico dei costi di quel muro. La presidente della Commissione Ue dice che «abbiamo messo a disposizione Frontex, si può prevedere un finanziamento per sostenere gli sforzi ed è già previsto che la gestione delle frontiere sia a carico del bilancio europeo». Anche se poi, di fronte alla domanda schietta se fili spinati e muri saranno pagati coi soldi Ue, von der Leyen fa presente che «abbiamo un’intesa con l’Europarlamento perché ciò non avvenga». C’è sintonia invece, in Consiglio, sul fatto che si debbano drenare risorse verso quei paesi che possono accogliere rifugiati e migranti al fine di non farli arrivare in Ue. In prima fila c’è la solita Turchia, e lo sforzo dell’Italia è andato perché stanziamenti più generosi riguardino anche la Libia: «La pressione migratoria che viene dalla Turchia aumenterà per la crisi afghana – dice Mario Draghi – e anche la pressione dal Nord Africa ci è ben nota. Ho detto ai colleghi che un problema che eravamo stati lasciati ad affrontare da soli ormai è comune: non ha senso privilegiare un paese o una rotta».

La controriforma e il patto

L’idea di pagare ed esternalizzare così i rifugiati piace, purché riguardi pure la Libia e la rotta che ci riguarda. In più, «noi capi di governo siamo tutti d’accordo su una cosa che l’Italia dice da tempo, e cioè che sui rimpatri dobbiamo agire insieme, per avere più peso negoziale». Su frontiere dure, rimpatri, soldi per lasciare fuori i rifugiati, c’è sostanziale accordo: è molto più difficile raggiungere consenso sulla solidarietà. La Francia spinge per la riforma di Schengen – o meglio, una controriforma visto che va nella direzione di una circolazione non più tanto libera pure dentro l’Ue – mentre il piano di riforma e asilo annunciato dalla Commissione oltre un anno fa è ancora fermo; il commissario Margaritis Schinas un mese fa a Roma ha detto candidamente che si sbloccherà quando Berlino e Parigi avranno i nuovi governi. Draghi però vanta una consolazione: la discussione in Consiglio era partita con l’intenzione di limitare i movimenti secondari, «nel testo finale siamo riusciti ad accoppiare questo concetto con la necessità di un adeguato equilibro tra solidarietà e responsabilità», dice. «E per come sono stilate le conclusioni, ci sono le condizioni perché si riapra il discorso sul patto di migrazione e asilo».

Assalto al verde

Il caro prezzi dell’energia, e la crisi che ne consegue, sono lo strumento perfetto per prendere d’assalto i piani europei a favore del clima. L’esempio più evidente è anche quello meno insidioso: la Polonia, terra storica di miniere e ancora dipendente dai combustibili fossili, utilizza le tensioni sull’energia per minacciare il boicottaggio di Fit for 55, il piano di Bruxelles per ridurre le emissioni. Ma la tattica polacca è appunto una tattica, per acquisire potere negoziale durante la battaglia su Polexit; e soprattutto c’è un fronte compatto – così riporta Draghi – che vuole portare a termine la transizione. «Le divergenze sono sui tempi». E non solo. Emmanuel Macron, portando altri paesi e la stessa Varsavia dalla sua, usa la crisi per spingere a favore del nucleare. La Commissione Ue deve presentare la cosiddetta «tassonomia», e se fosse per Parigi il nucleare andrebbe etichettato come green; ad alcuni piacerebbe un trattamento simile per il gas. Il pressing ha i suoi effetti. «Ovvio, serve più energia rinnovabile – dice ora Bruxelles – ma intanto accanto serve una fonte stabile, il nucleare per esempio, e durante la transizione anche il gas naturale».

Caro prezzi

Ma non è green washing? «Sul nucleare in Consiglio ci sono posizioni molto divisive», risponde Draghi. «Vedremo che farà la Commissione». Per addolcire il dibattito, i leader con la Commissione danno il via a uno studio sul funzionamento del mercato e dei prezzi, per correre ai ripari. L’idea, cara a Madrid e Roma, di acquisti comuni sul modello dei contratti per i vaccini, viene considerata. «Siamo stati espliciti sulla necessità di avviare sùbito l’ipotesi dello stoccaggio integrato di riserve strategiche e di un inventario delle riserve nei vari paesi – dice Draghi – perché si arrivi così a un sistema che protegga tutti i paesi europei in egual misura». Nel frattempo, per proteggere almeno i più vulnerabili, gli aiuti nei vari stati membri dovrebbero alleggerire le bollette. I dettagli spettano martedì ai ministri dell’Ue, poi il tema torna in mano ai leader a fine anno.

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