Abbiamo la proposta che l’Unione europea metterà sul tavolo della World Trade Organization la prossima settimana. I contenuti non sorprendono: l’Europa difende ancora una volta brevetti e proprietà intellettuale, in linea con la posizione delle aziende farmaceutiche. Intanto però emergono alcuni elementi che permettono di ricostruire in che modo le decisioni di governi e Bruxelles sui vaccini sono state prese. Anzitutto possiamo dire che nel Consiglio del 20 maggio, a dispetto di quanto riportato – o meglio, di quanto omesso – dai documenti pubblici, il tema della sospensione dei brevetti è stato discusso e l’Italia si è allineata alla posizione tedesca, che è a tutela della proprietà intellettuale. Buono a sapersi, anche perché il giorno dopo alcuni media hanno attribuito a Draghi tutt’altra posizione, cioè di sospendere i brevetti. Posizione che del resto il Parlamento ha chiesto a Chigi di assumere. Oggi abbiamo anche in mano decine di documenti che provengono dalla Commissione europea. Dopo mesi e mesi, finalmente la direzione generale Salute ha ritenuto di rispondere alle richieste degli eurodeputati di trasparenza sugli accordi per i vaccini. La risposta è un ventaglio di email annerite, oscurate in ogni parte rilevante, dunque sostanzialmente inutili.

("Ecco una versione della clausola di responsabilità", scrive Gallina. Ma i contenuti sono anneriti)

Qualcosa di interessante però c’è: Bruxelles oscura anche le parti che riguardano le responsabilità, e dice che le ragioni sono due: segreti commerciali e tutela del processo decisionale. Sì, proprio così: per la Commissione informare gli eletti europei è una «minaccia al decision making». La questione non riguarda a questo punto solo i vaccini, ma la democraticità delle decisioni europee.

Il testo europeo

L’8 e 9 giugno il consiglio Trips si troverà ad affrontare di nuovo il tema della sospensione temporanea dei brevetti sui vaccini anti Covid-19. India e Sudafrica, che la chiedono da ottobre assieme a oltre un centinaio di paesi, arrivano con una proposta emendata, che circoscrive nel tempo – tre anni – l’iniziativa, e allo scorso incontro informale hanno trovato disponibilità a negoziare su quel testo da parte di Stati Uniti e Cina. Mentre la questione brevetti riesce a unire insolitamente Pechino e Washington, l’Unione europea è ancora in disaccordo. Formalizza ora una sua proposta, nella quale ancora una volta prende le difese della proprietà intellettuale, che – ricalcando gli argomenti di Big Pharma – definisce «una opportunità, non un ostacolo». Come lo stesso testo formalizzato ieri alla Wto riconosce, è «con il supporto di finanziamenti pubblici» che le aziende hanno prodotto innovazione. Ma l’Ue insiste nel tutelare i brevetti, «essenziali», e procede con la via già avviata, cioè gli accordi volontari tra Big Pharma e manifatture (modello Pfizer-Sanofi); in caso ciò non bastasse, cita la possibilità che un paese ricorra alla licenza obbligatoria, e inoltre insiste sulla necessità di aumentare la produzione e di abbattere le restrizioni alle esportazioni. Uno schema non nuovo, e che però assieme alle posizioni riluttanti di pochi paesi ricchi come Svizzera, Regno Unito, Giappone, renderà la vita più difficile alla maggioranza globale che chiede la sospensione dei brevetti e che è pronta alla text-based negotiation (cioè non vaghe discussioni ma negoziare su un testo).

La svolta italiana

Come è arrivata, l’Ue, a questa scelta? Il 5 maggio la Casa Bianca apre alla liberazione dei brevetti dei vaccini, accolta da alcuni paesi con entusiasmo, presto raggelata dalla ferma contrarietà di Berlino. Il 20 maggio l’Unione europea discute del tema, ma non è grazie alle istituzioni europee che ne siamo a conoscenza, bensì grazie alle pressioni della società civile. È la ong Corporate Europe Observatory a denunciare infatti che «il tema della deroga sui brevetti non risulta nelle agende né nei report degli incontri del Consiglio» e a portare alla luce i resoconti del vertice fra governi. Dai resoconti di un ministero tedesco che abbiamo potuto visionare risulta che il tema è stato discusso eccome. Nel Consiglio dell’Ue sul Commercio del 20 maggio, la Germania manda un peso grosso, il ministro Peter Altmaier. L’Italia non incarica un membro del governo, ma Pietro Benassi, che è il nostro rappresentante permanente a Bruxelles. Grazie al leak dei resoconti tedeschi sappiamo che mentre Parigi e Madrid ragionavano su una possibile sospensione temporanea dei brevetti, l’Italia era invece perfettamente allineata con la Germania; con Olanda, Danimarca e altri governi, Roma ha chiesto di concentrarsi sulle sfide più urgenti e un altro pacchetto di iniziative.

Le mail cancellate

A proposito di trasparenza, ieri i Verdi europei hanno ricevuto decine di documenti dalla Commissione. Finalmente: è da gennaio che chiedono accesso alle informazioni sui contratti per i vaccini, e sui negoziati; su questo giornale il 27 maggio l’eurodeputata green Michèle Rivasi ha preannunciato a riguardo un imminente ricorso alla Corte di giustizia. Ora la caponegoziatrice Ue Sandra Gallina risponde, ma gli scambi mail tra Bruxelles e le aziende vengono consegnati agli eletti europei completamente anneriti in ogni parte che non sia organizzativa; e a volte anche in quel caso. Con quale giustificazione? Una è il segreto commerciale. Ma Gallina fa arrivare oscurata anche la discussione sulla liability clause, sulle responsabilità in caso di difetti nascosti.

("Ecco una versione della clausola di responsabilità", scrive Gallina. Ma i contenuti sono anneriti)

Da alcuni leak di contratti sappiamo oggi che il rischio finanziario ricade sugli stati, perdipiù la responsabilità civile e legale rimane all’azienda ma spetta allo stato indennizzarla; però Bruxelles ancora oscura. L’Ue si è distinta a livello globale per quanto ha “annerito” i contratti, come mostra ora una analisi comparata dell’università di Toronto e di Transparency. Nei documenti – per lo più mail con le aziende per negoziare – arrivati ai Verdi oscurati quasi totalmente, l’alibi di Gallina per annerire non è solo «la tutela degli interessi commerciali delle aziende» e della loro «competitività». La direttrice aggiunge che la trasparenza «minerebbe il processo decisionale della Commissione».

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