In Francia ci sono molte sfumature di destra eppure una ossessione le accomuna tutte, ed è l’ossessione anti migratoria. «Diffidate dei falsi profeti», è costretta a dire Marine Le Pen: ma come, non era lei la destra estrema, che di migranti parla con tono escludente da ben più di una decade? Persino chi torna dalle istituzioni europee, come l’ex capo negoziatore Ue su Brexit, Michel Barnier, spera di catapultarsi all’Eliseo usando il trampolino dei toni duri contro gli immigrati. Per non parlare del polemista Éric Zemmour, prestigiatore dell’odio razziale che rivaleggia con Le Pen dall’estrema destra. Oggi il governo di Parigi ha indurito la sua politica sui visti, tanto per dimostrare ancora una volta che il linguaggio delle frontiere non è più esclusiva sovranista. Di lotta o di governo, la destra ormai ha un nemico unico: il migrante. Così eccola, Le Pen, che dopo aver lavorato per anni alla dédiabolisation, alla normalizzazione del suo partito, ora per non farsi superare sul suo stesso terreno è costretta a ritornare alle battaglie degli esordi. Un referendum anti immigrazione: ecco cosa farà se arriverà all’Eliseo. I dettagli li ha annunciati proprio oggi.

Dal Fronte al referendum

«Il faut supprimer le droit du sol»: basta ius soli, diceva nel 2009 una Marine Le Pen all’epoca vicepresidente del Front National. Il padre Jean-Marie non aveva ancora abdicato alla guida del partito, e la mutazione – a cominciare dal nome, con il Rassemblement al posto del fronte – era ancora impalpabile. Oggi in una sala stampa parigina, da candidata all’Eliseo, Marine Le Pen ha ribadito esattamente quelle stesse parole. Ne ha aggiunte altre, a dire il vero, per presentare un pacchetto a suo dire «chiavi in mano»: il progetto di legge “cittadinanza, identità e immigrazione” è un florilegio di proposte identitarie che, se dovesse diventare presidente della République, la leader promette di sottoporre a referendum. Principio cardine della proposta è «il divieto di regolarizzare gli irregolari», insomma l’immigrazione regolare viene spazzata via. L’idea di metter fine «alla presenza di diritto degli immigrati» nel piano di Le Pen dovrà essere «integrata nella nostra Costituzione», che prevarrà su qualsiasi altra norma sovranazionale; la frecciata è all’Ue. Tanto demonizzata l’immigrazione, quanto esaltata la logica identitaria: «Proteggeremo la cittadinanza e la nazionalità francese, che è un privilegio: i francesi saranno i privilegiati nel loro paese», il che significa anche che verranno prima loro per i servizi, gli alloggi, tutto. Anche il diritto di voto sarà riservato solo a loro. Gli altri «saranno sottomessi a condizioni di assimilazione stringenti e verificabili»: questa parola dal sapore coloniale, assimilation, rimbalza nei discorsi di Le Pen e Zemmour.

Zemmour e i nuovi estremi

Marine Le Pen riapre il dizionario dei tempi che furono anche perché ripulendo il partito dei tratti estremisti più indigesti ha aperto la strada alla concorrenza. E infatti uno zoccolo duro di ex frontisti e di delusi dal Rassemblement, compresa la nipote Marion Maréchal, sostiene la candidatura di Éric Zemmour, che non ha rivali quanto a violenza verbale contro gli immigrati.

Condannato pure, per le sue parole, non accenna a redenzioni, anzi: il suo ultimo libro, La France n’a pas dit son dernier mot, è appena uscito mentre si scalda la campagna elettorale proprio per ribadire le ossessioni di sempre. Zemmour è l’ideologo del grand remplacement, del “gran rimpiazzo”: «Nel 2050 il paese sarà per la metà islamico, diventeremo una Repubblica islamica, se non fermiamo noi i musulmani fermeranno loro noi». Per lui, xenofobo e islamofobo, «l’immigrazione musulmana comporta una radicalizzazione sterminatrice». Dunque stop ai migranti e assimilazione a tutti i costi. O in alternativa «una guerra civile sanguinaria» dietro l’angolo.

Barnier e i vecchi moderati

Mentre Zemmour contende gli estremi a Le Pen, intanto a farsi travolgere dall’ondata (retorica) anti migranti ci sono pure i più insospettabili. Il caso più eclatante è quello di Michel Barnier, che è stato il negoziatore capo di Brexit sul versante europeo. Politicamente ha avuto molte vite: gollista sin da giovane, a vent’anni politico di punta nella sua Savoia, poi più volte ministro e commissario Ue. La sua storia è fatta di cadute e resurrezioni, come quando Dominique de Villepin lo silurò dopo il “no” francese alla costituzione europea, o quando un Nicolas Sarkozy in ascesa lo riportò alla ribalta. Ma finora una costante, in questa carriera durata mezzo secolo c’era, ed era l’europeismo. Invece l’ex negoziatore Ue, tornato alla politica nazionale con l’obiettivo di diventare il candidato all’Eliseo dei Républicains, abdica anche all’unica certezza. Non solo ha proposto pure lui un referendum sull’immigrazione, da tenersi tra un anno, ma rivendica «la nostra sovranità giuridica». «Sul tema dell’immigrazione non possiamo più sottostare ai pronunciamenti della Corte di giustizia Ue»: una versione francese del “Take back control” brexitaro, che arriva proprio da chi vi si opponeva. Barnier, in teoria moderato, e Le Pen, in teoria estremista, paiono in sintonia perfetta.

Macron e le frontiere di governo

Neppure chi all’Eliseo c’è già, e vuol rimanerci, rinuncia a esibizioni muscolari in tema migratorio. Emmanuel Macron in Ue spinge per una riforma di Schengen, per frontiere sempre più rigide, sostiene il rafforzamento dell’agenzia Frontex a dispetto dei suoi fallimenti nel contrasto all’immigrazione irregolare, sanciti dalla stessa Corte dei conti Ue. Gérald Darmanin, ministro dell’Interno, nei confronti tv con Le Pen la supera a destra su Islam e migranti. L’ultima di Macron è fresca, risale a oggi, proprio nei frangenti in cui Le Pen annunciava il referendum. Di fronte al rifiuto di Algeria, Marocco e Tunisia di rimpatriare gli irregolari, Parigi comunica che ridurrà il numero di visti a algerini, marocchini e tunisini. Linea dura, come piace a destra.

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