Il 24 giugno 2016 i mercati e la politica britannica erano in subbuglio, Trump si intestava la vittoria e tre milioni di cittadini europei in Gran Bretagna scrutavano un futuro incerto in un paese che aveva appena detto loro che non erano più i benvenuti. Eravamo due di loro.

Quasi cinque anni dopo, i dettagli sono ancora vividi. Il vicino che suona “Rule Britannia” al pianoforte, il silenzio nelle strade e il rumore sui social, le parole degli amici inglesi che si sentivano improvvisamente stranieri nel proprio paese. Moltissimi di loro sono d’accordo con quanto segue.

La Scozia che ci accoglie

Quel giorno, pochi politici si rivolsero a noi cittadini europei. Di sfuggita prima di dimettersi, il primo ministro britannico David Cameron provò a «rassicurare...i cittadini europei che vivono qui che non ci saranno cambiamenti immediati». Nicola Sturgeon, prima ministra scozzese, fu molto più calorosa: «Voglio parlare direttamente ai cittadini di altri paesi dell'Ue che vivono qui in Scozia - siete i benvenuti qui, la Scozia è la vostra casa».

La differenza di tono rifletteva quella di atteggiamento. La campagna per il remain in Inghilterra sottolineava la stabilità finanziaria garantita dalla permanenza nella UE, mentre in Scozia abbracciava l'identità europea. La Brexit ha vinto in Inghilterra, ma in Scozia è stata votata solo dal 38 per cento degli scozzesi, ed è stata sconfitta in ogni singolo distretto elettorale.

Dopo il referendum, molti esperti hanno proposto vie in cui Scozia e Irlanda del Nord sarebbero potute rimanere più vicine alla Ue rispetto al resto del Regno Unito, rispettando così i diversi mandati popolari. Lo scienziato politico irlandese Brendan O'Leary ha avanzato una di queste proposte, sottolineando che «coloro che insistono sul fatto che un voto 52-48 è sufficiente a portare l'intero Regno Unito fuori dalla Ue rischiano di innescare una grave crisi di legittimità».

Londra che va allo scontro

Non solo tali proposte per la Scozia sono state completamente ignorate, ma il governo del Regno Unito ha respinto ogni compromesso del Parlamento scozzese per una Brexit soft. Ha invece spinto per una Brexit più radicale di qualsiasi proposta discussa prima del referendum. Anche per questo, se un mandato su cosa fare della Brexit è stato sempre controverso, un mandato per un referendum sull'indipendenza scozzese è più chiaro che mai.

Giovedì scorso il popolo scozzese ha dato la maggioranza ai partiti indipendentisti per la quarta volta consecutiva: mai prima d'ora così tante persone hanno votato alle elezioni scozzesi, mai prima d'ora gli indipendentisti hanno ottenuto così tanti voti e così tanti seggi nel parlamento scozzese. Dal 2016 il sostegno all'indipendenza è aumentato costantemente anche grazie a un forte desiderio di ritorno nell'Unione europea, impegno che sia il Partito Nazionale Scozzese che i Verdi suoi alleati, avevano nei manifesti elettorali con cui hanno vinto le elezioni.

Boris Johnson, così preoccupato della volontà del popolo sulla Brexit, si rifiuta ora di concedere un nuovo referendum sull'indipendenza dopo quello (pre-Brexit) del 2014, quando gli scozzesi decisero rimanere nel Regno Unito anche perché molti temevano che lasciarlo avrebbe trascinato la Scozia fuori dalla Ue. Esattamente il contrario si è rivelato vero e negare ora un voto democratico sul suo futuro a una nazione che si è vista imposta una scelta fondamentale contro la sua volontà non è sostenibile a lungo.

L’iniziativa degli intellettuali

Stufo della mancanza di democrazia a Westminster, l’intellettuale inglese Anthony Barnett, co-fondatore di Open Democracy, pensa sia tempo invece di prepararsi all'indipendenza scozzese. Nel suo libro “Lure of Greatness” spiega la Brexit con le differenze tra l'Inghilterra, che desidera rivedersi ricoperta di gloria, e le altre nazioni del Regno Unito dove il grido di "riprendere il controllo" risuona più con la causa dell'indipendenza che con l'idea di lasciare la UE. L'indipendenza scozzese, secondo Barnett, è precisamente lo shock che libererebbe tutti: gli scozzesi dalle cattive decisioni dell'Inghilterra e gli inglesi dall’obsoleta illusione di poter comandare ancora le onde.

L’anno scorso Barnett, come molti, ha apprezzato la creazione di un fondo comune europeo per finanziare la ripresa dalla pandemia. Una scelta che ha segnato un passo significativo verso un'Unione europea più coraggiosa e solidale. Per noi, coppia italo-tedesca, una tangibile espressione di solidarietà europea era essenziale ed eravamo pertanto tra coloro che chiedevano gli eurobond e la fine del decennio di austerità. Barnett, nel frattempo, iniziava a immaginare una Ue abbastanza coraggiosa e solidale da offrire sostegno al desiderio della Scozia di essere una nazione europea indipendente.

Il ruolo di noi cittadini europei

Insieme, abbiamo ideato Europa per la Scozia: una campagna della società civile europea, lanciata con una lettera aperta pubblicata simultaneamente in 10 paesi europei, tra cui Domani e firmata da quasi 200 intellettuali di fama mondiale e alcuni dei migliori scrittori, artisti e studiosi di democrazia da ogni angolo d’Europa. In appena una settimana, 10 mila cittadini europei si sono uniti a loro e centinaia si aggiungono ogni giorno.

In sostanza, chiediamo di ricambiare la capacità di accoglienza della Scozia nei confronti dei cittadini europei. L’abbiamo sperimentata anche noi: Andrea ha vissuto a Glasgow per tre anni e sa quanto la Scozia si senta europea e sempre più estranea al resto del Regno Unito. Nina la conosce solo di passaggio, ma ricorda con simpatia l'anziana signora che la ospitó sotto il suo ombrello da turista impreparata alla pioggia di Edimburgo.

Dal nostro lancio abbiamo ricevuto centinaia di messaggi di cittadini scozzesi. «Mi considero scozzese ed europeo e non sopporto l'imposizione da parte del governo di Westminster che nega il mio diritto di rimanere un cittadino europeo», scrive Stephen da Glasgow, mentre Alexander dal confine con l'Inghilterra si sente: «deluso dalla mancanza di inclusività delle istituzioni europee sin dalla Brexit, nonostante il nostro voto schiacciante per rimanere». Molti, come Jeremiah da Fife, sottolineano il potenziale impatto positivo sulla Ue: «La Scozia è un'antica nazione europea e ha dato e darà un enorme contributo alla Ue», oppure Jane, da Glasgow: «La Scozia è e sarà sempre una nazione inclusiva, lungimirante e solidale con i nostri fratelli e sorelle della più ampia famiglia europea. Noi scozzesi chiediamo: Portateci a casa».

Appello alla partecipazione

Noi cittadini europei non possiamo rimanere insensibili a questi messaggi, ma dobbiamo invece aprire una strada che possano seguire anche i politici. Chiediamo ai cittadini europei di tutta Europa di unirsi a noi nel dire che una Scozia indipendente deve essere benvenuta nella Ue. E chiediamo ai leader europei di prepararsi ad accogliere la Scozia chiarendo pubblicamente che possono accelerare l'adesione di un paese che ha fatto parte della comunità europea per 47 anni, più a lungo della maggior parte degli attuali stati membri. Chiediamo loro di farlo prima dell’ormai inevitabile referendum sull'indipendenza, per smentire in anticipo la litania ​​dei tabloid pro-Brexit che la Scozia subirebbe anni di austerità per rientrare nella Ue. Per questo chiediamo loro anche di dire «mai più austerità» e di offrire invece sostegno a una Scozia indipendente.

Il desiderio democratico della Scozia di rifiutare la Brexit e di rientrare nell’Unione deve essere accolto da un forte sentimento di solidarietà europea. Vi chiediamo di unirvi a noi su europeforscotland.com per esprimerlo tutti insieme.

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