Mentre l’Europa prende le distanze dalla Russia, l’Ungheria di Viktor Orbán – il «modello» della destra italiana – va in direzione opposta. Non solo va in pellegrinaggio al Cremlino e chiede più gas russo, ma ha appena sbloccato il progetto di espansione di una centrale nucleare russa nel cuore d’Europa. Il controverso progetto Paks 2, che era in sospeso da tempo per una serie questioni tecniche come i rischi sismici, in piena guerra in Ucraina «entra in una fase nuova», per usare le parole di Péter Szijjártó, il ministro degli Esteri ungherese che con la Russia ha rapporti intensi. Dopo che lui e altri membri del governo Orbán si sono recati a Mosca, la authority ungherese per l’energia atomica ha sbloccato la costruzione del nuovo reattore. Il dossier è ritenuto così cruciale che negli ultimi anni chi ha prodotto inchieste scomode su Paks 2, come András Szabó, è finito intercettato. «Sono stato spiato due volte con Pegasus», racconta. Al funzionario che aveva osato contestare il progetto è toccata sorte doppia: Attila Aszódi è stato sia spiato con Pegasus che licenziato.

Una storia controversa

Una centrale nucleare Paks esiste già, si trova nel sud dell’Ungheria, nella zona di Tolna, ed è l’unica operativa nel paese; è stata costruita in cooperazione con l’allora Unione sovietica e inaugurata negli anni Ottanta. Orbán, che nel 1989, da giovane studente, invocava in piazza degli Eroi di Budapest il ritiro immediato delle truppe sovietiche, da premier è diventato poi il grande promotore del riavvicinamento a Mosca. Nel 2009, e cioè l’anno prima che Orbán tornasse al governo, c’è stato un incontro chiave tra lui e Putin; e sempre nel 2009 il parlamento ungherese ha approvato il piano di ampliamento della centrale Paks. La spinta politica avviene poi con Orbán al governo, e in un contesto di grande ambiguità. All’inizio del 2014 gli ungheresi apprendono che è stato siglato un accordo con la Russia per la costruzione di un nuovo reattore; l’accordo è stato però già definito l’anno prima, in segretezza, dal premier con la compagnia russa Rosatom, ignorando il lavoro di documentazione dei tecnici ungheresi e lasciando a Mosca condizioni favorevoli. Paks 2 vale per le casse ungheresi oltre 12 miliardi di spese, di cui 10 coperti da prestito russo; e affari per Rosatom.

Terremoti e spionaggio

Nel 2017 un portale di inchiesta ungherese rivela un documento interno relativo al progetto Paks 2, ed emerge uno scenario preoccupante tenuto sotto silenzio fino a quel momento. Il sito dove dovrebbe essere impiantato il nuovo reattore russo si trova in corrispondenza di una faglia tettonica, il che impone valutazioni sui rischi sismici. Ma il governo Orbán liquida la questione: il rischio di terremoti non c’è, dice; e tira dritto. Pur di andare avanti, pare disposto a tutto, e lo dimostra anche l’anno seguente. Il più grande esperto di nucleare ungherese, l’accademico Attila Aszódi, su richiesta del governo si dedica al progetto Paks 2 come commissario ad hoc. Ma finisce per scontrarsi coi suoi superiori, perché dal lato russo le informazioni e le pratiche che arrivano non sono adeguate, mentre i due governi spingono per chiudere in fretta. Il risultato è che a gennaio 2019 Aszódi è licenziato. Un anno fa esplode lo scandalo Pegasus, e scopre pure di essere stato intercettato dal governo ungherese.

Nonostante la guerra

«Aszódi veniva spiato quando ancora era un funzionario del governo, ma gli scontri col suo capo su Paks2 erano cominciati», racconta András Szabó. Lui, che è un giornalista ungherese e che per Direkt36 si è occupato di Paks 2, è finito a sua volta tra le vittime di Pegasus. «La prima volta che mi hanno preso di mira avevo scritto del capo dello staff del premier e dei suoi affari, ma mi hanno intercettato in più occasioni». Nonostante le rimostranze della vicina Austria e le ambiguità del progetto, qualche anno fa Bruxelles lo ha digerito; anche perché, come spiega Szabó, «per alcuni componenti, come le turbine e i sistemi informatici, sono state coinvolte grandi aziende occidentali come Siemens e General Electric». L’invasione dell’Ucraina avrebbe potuto scompaginare i piani di Russia e Ungheria, invece è andata in maniera opposta. Nei primi giorni di aprile, quando il massacro di Bucha era su tutti i giornali, un Orbán fresco di rielezione ha confermato di voler andare avanti col progetto. Dopo la sua visita al Cremlino di febbraio, a Mosca sono tornati più volte, fino a pochi giorni fa, i membri del suo governo. L’ultima visita, «per discutere di energia», è quella del ministro dello Sviluppo economico, ad agosto. A luglio, a Mosca era stato il ministro degli Esteri, Péter Szijjártó, che nello stesso periodo andava dicendo che «Paks 2 entrerà in una nuova fase», di «voler comprare più gas russo», e che intralciava in Consiglio Ue i piani per tagliare i consumi di gas. Szijjártó è lo stesso ministro che ha lasciato che gli hacker vicini al Cremlino bucassero impunemente i sistemi informatici del suo ministero, e che a dicembre ha ricevuto da Lavrov una medaglia onorifica.

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