Dopo sedici anni finisce l’era della cancelliera tedesca Angela Merkel, leader dei popolari della Cdu-csu. Che giudizio dà di questi sedici anni di governo che hanno profondamente plasmato anche il destino europeo? «Sicuramente (con la Merkel, ndr) si sapeva dove si andava, mentre adesso si apre una fase di incertezza. È chiaro che l’austerità imposta in stile tedesco a noi (italiani, ndr) non ha fatto bene, ma d’altro canto ha dato una linea all’Europa».

Così Giancarlo Giorgetti, 54 anni, vicesegretario federale della Lega dal 2016 e ministro dello Sviluppo economico dallo scorso febbraio, a margine di un incontro elettorale con i sostenitori della Lega a Vilanova, piccola frazione di Nerviano, comune nel milanese dove la Lega corre per il rinnovo delle cariche comunali affiancata da due liste locali di ispirazione centrista, ma senza alleanze né con Forza Italia né Fratelli d’Italia. Al punto che i partiti alleati non l’hanno presa affatto bene e temono in questi test locali qualche manovra futura di nuovi equilibri nazionali in versione “Grosse Koalition” alla tedesca, cioè senza le ali estreme dei rispettivi schieramenti di centro destra e centro sinistra.

Fantapolitica? Probabile. Ma torniamo al giudizio del vicesegretario della Lega sull’operato della popolare Merkel. «In questo senso – prosegue Giorgetti in esclusiva per Domani – la valutazione onesta dell’operato della cancelliera Merkel la potremo fare solo fra qualche anno».

«La Lega non si divide»

Il ministro arriva dalla sua Varese dove ha partecipato agli Stati generali dei sindaci leghisti della Lombardia alla presenza del governatore Attilio Fontana. Giorgetti è rilassato, il cielo è sereno, parla a braccio, all’aperto di un’area attrezzata di un bar rurale situato vicino al canale Villoresi e a una adiacente pista ciclabile. Il discorso politico è rivolto a poche decine di sostenitori di una frazione che vota compatta al 90 per cento per il suo partito, una roccaforte tipo il villaggio di Asterix.

Eppure Giorgetti, simbolo dell’ala governista del Carroccio, ci tiene a rassicurare i suoi sostenitori che la Lega non si divide («parlano bene di me, per colpire Salvini»), e si dice sostenitore contro la pandemia della linea «della libertà nella sicurezza».

Poi spiega la scelta di sostenere il governo Draghi: «Quelli che contano puntavano a un governo senza la Lega. E se ci fossero riusciti poi non sarebbero andati al voto. E a quel punto il premier Draghi senza il sostegno della Lega sarebbe rimasto ostaggio di idee strambe», afferma senza suscitare entusiasmi tra i presenti che lo ascoltano con il sottofondo dei rovesci di fronte della partita di calcio Inter-Atalanta, un derby che spacca gli stessi leghisti presenti, con un orecchio attento al loro leader e con l’altro alla squadra del cuore.

«Partito della responsabilità»

Giorgetti commenta divertito ed ironico dei ricorrenti boati che arrivano dalla sala dove alcuni avventori preferiscono assistere alla partita di calcio che ascoltare il suo comizio. D’altra parte non deve convincere nessuno dei presenti, ma solo spiegare la linea politica, «perché per la Lega la politica è rapportarsi con la gente». Altri partiti fanno altre scelte. «Noi comunque siamo al governo perché siamo un partito della responsabilità e per non cedere al politicamente corretto. Siamo lì per limitare i danni». Applausi.

Giorgetti poi parla della Teva, un’azienda farmaceutica a capitale straniero con sede nel comune milanese dove lui sta parlando, che vuole lasciare l’Italia. Una storia che si sta ripetendo in parecchie realtà del paese e che il suo ministero deve gestire. «Le competenze nel settore farmaceutico non possono andare disperse», afferma il ministro dello Sviluppo economico del governo Draghi. «Gli investitori internazionali quando decidono di investire in Italia guardano alla pressione fiscale, al costo del lavoro ma soprattutto alle competenze professionali della forza lavoro. Per questo non possiamo consentire di chiudere aziende di questo tipo e in questo settore».

Promesse elettorali? Forse, ma poi parla dei contratti di sviluppo che in sostanza sono aiuti pubblici ai nuovi investitori piuttosto che utilizzare ammortizzatori sociali. Una scelta pragmatica tipica di Giancarlo Giorgetti che in questo è simile proprio alla politica della stabilità dell’economia sociale di mercato della ex cancelliera tedesca Angela Merkel.  

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