Eccoci di nuovo insieme, Europa!
Siamo alla quarantanovesima edizione dello European Focus!
Sono Holger Roonemaa, il caporedattore di questa settimana, e ti scrivo da Tallinn.
Appena due settimane fa la nostra newsletter si era concentrata sull'estrema destra in ascesa in Europa. Le elezioni slovacche ci avevano da poco consegnato una vittoria del filorusso Robert Fico, il quale non ha esitato a invitare i neofascisti locali a unirsi nella sua coalizione.
Per le elezioni polacche si prospettava uno scenario simile, con i neofascisti di Konfederacja - che i sondaggi avevano mostrato in ascesa negli ultimi mesi - a fare da stampella al Pis. Ma non è andata così.
Nel voto del 15 ottobre in Polonia, l'opposizione democratica guidata da Donald Tusk ha registrato una vittoria in entrambe le camere del parlamento. Oltre al Pis, ha fallito anche l'estrema destra di Konfederacja.
Ho tanti amici polacchi, e tutti loro sono rimasti sbalorditi da questo risultato: avevano quasi rinunciato alla speranza di poter riportare la Polonia sulla via della democrazia.

Nella nostra riunione di redazione europea, che svolgiamo ogni mercoledì mattina coi colleghi dello European Focus, abbiamo avuto una vivace discussione sul tema: dovremmo concludere forse che le elezioni polacche hanno segnato la fine dell’ascesa dei partiti autoritari e di estrema destra in Europa? E come influiranno sul dispotico potere che Viktor Orbán esercita in Ungheria?
Come cambierà l'Europa dopo questi risultati in Polonia? Cambierà tanto? O forse quasi nulla?
Sono alcune delle domande che affronteremo insieme in questa puntata. Buona lettura!
Holger Roonemaa, caporedattore di questa settimana


COME NEL 1989, LA POLONIA CAMBIA. E NON CI SPERAVO

File ai seggi a Varsavia il 15 ottobre. Foto Dariusz Borowicz / Wyborcza.pl

VARSAVIA - Io ero un bambino di otto anni quando è crollato il comunismo in Polonia. Ero piccolo, certo, e sono passati molti anni. Eppure ho un ricordo vivido, di quale fosse l’atmosfera di quel periodo: ho bene in mente i manifesti di Solidarność, mi tornano alla memoria le discussioni in famiglia sulla possibilità che i comunisti potessero essere sconfitti, e inoltre ricordo le grandi speranze che tempi migliori potessero arrivare.
Quasi nessuno si aspettava che quel cambiamento potesse realizzarsi, visto che i comunisti avevano dalla propria parte l’intero apparato statale, i media e i militari. Eppure, ce l’abbiamo fatta, ci siamo riusciti. Il 4 giugno 1989 il comunismo in Polonia è arrivato al capolinea.
Trentaquattro anni dopo, il 15 ottobre 2023, l’atmosfera che circondava le elezioni polacche era simile. Anche se ora viviamo in una Polonia libera, la realtà era ugualmente grigia, aspra e priva di speranza per il cambiamento. Negli ultimi otto anni abbiamo visto il paese scivolare nell’abisso dell’autoritarismo.
Invece di prendere parte a una vivace discussione, siamo stati condannati ad ascoltare un monologo portato avanti da chi era al potere. Chiunque la pensasse diversamente era un nemico della nazione (o semmai delle autorità). Il nazionalismo che esalava quotidianamente dalla bocca dei politici al potere non ci lasciava lo spazio per respirare.
Come nel 1989, molti credevano che queste elezioni non avrebbero cambiato nulla.
Ma proprio come in quel momento storico, il popolo polacco ha dimostrato di non farsi schiacciare dentro una previsione.
L’opposizione, europeista, democratica, con il sorriso sulle labbra, ha vinto in maniera inequivocabile.
Ciò è potuto accadere perché i polacchi si sono mobilitati in una misura senza precedenti. L’affluenza record ha superato il 74 per cento, con alcuni elettori che sono rimasti in fila per sei ore per riuscire a votare.
Ancora una volta è stato dimostrato che, quando i polacchi si mobilitano, possono realizzare cose meravigliose. Queste elezioni hanno ristabilito la mia fede nella democrazia, nel popolo e nella Polonia.
È anche un segnale per l’intera Europa: i politici autoritari ancora non sanno il giorno o l’ora nei quali la nazione se li scrollerà di dosso.
Michał Kokot fa parte della redazione Esteri di Gazeta Wyborcza


L'UNGHERIA ORBANIANA FINISCE SEMPRE PIÙ ISOLATA

"Vergogna!", twitta l'eurodeputato Daniel Freund commentando la stretta di mano tra il premier ungherese e il presidente russo

BUDAPEST - Il giorno dopo aver vinto le elezioni del 2010, il primo ministro ungherese Viktor Orbán si è recato a Varsavia, dove è stato accolto dal suo omologo polacco, Donald Tusk.
Tredici anni dopo Tusk sta per tornare al potere, mentre Orbán sembra aver scelto un partner diverso.
Quando il premier ungherese ha incontrato il presidente russo Vladimir Putin a Pechino, la scorsa settimana, gran parte del mondo occidentale è rimasto sconvolto. C'è chi ha definito l’accaduto “una vergogna”, chi “un problema per la sicurezza”, o persino “una situazione imbarazzante”. E la cosa non è andata a genio neppure ai polacchi, i quali almeno finora erano stati leali sodali del governo ungherese in Consiglio europeo.
Il cambio di governo in Polonia potrebbe aumentare l’isolamento di Orbán all’interno dell’Ue. Il primo ministro potrebbe sentirsi confortato dal sostegno del premier populista slovacco Robert Fico, ritornato al potere, ma la perdita della celebre amicizia polacco-ungherese rappresenterebbe un duro colpo. E avvicinarsi ai criminali di guerra non sembra giovare alla sua causa.
Viktória Serdült è giornalista di HVG


LA POLONIA DÀ UN NUOVO INIZIO ANCHE ALLA GERMANIA

Rolf Nikel. Foto Dgap

VARSAVIA / BERLINO - Il partito ultraconservatore Pis ha condotto un’intera campagna elettorale usando una retorica anti Germania e accusando il leader dell’opposizione Donald Tusk di rispondere ai diktat tedeschi. Il rapporto tra Polonia e Germania è interessante sia per come è entrato nel dibattito politico, sia per gli effetti della vittoria di Tusk nella relazione fra i due paesi.
«Si spera che i rapporti tedesco-polacchi possano diventare meno tesi», dice Rolf Nikel, vicepresidente del Consiglio tedesco per le relazioni estere (Dgap) ed ex ambasciatore tedesco in Polonia. Di recente ha pubblicato un libro sulle relazioni polacco-tedesche.
Ora che il governo polacco sta per cambiare, in molti sperano che le relazioni con la Germania diventino migliori e più costruttive. Si tratta di una speranza fondata?
Con la vittoria dell’opposizione alle elezioni parlamentari polacche – una vittoria tanto inaspettata quanto netta – la Polonia ha fatto un formidabile ritorno sul palcoscenico della politica europea. Ora, questa vittoria deve concretizzarsi nella formazione di un governo stabile.
Ci sono speranze fondate che la politica estera polacca nel suo complesso possa tornare a essere più prevedibile, e che i rapporti con la Germania diventino decisamente meno tesi. Tuttavia, difficilmente sarà possibile tornare semplicemente al periodo precedente al 2015; ma una retorica diversa e un’atmosfera più favorevole al dialogo creerebbero buone condizioni per un nuovo inizio dei rapporti.
In quali settori vede le sfide maggiori per le relazioni tedesco-polacche?
Al momento, la sfida più grande è la definizione congiunta della politica orientale dell’Europa. Insistendo sull’integrazione della Russia nell’architettura di sicurezza europea, la Germania in passato ha perso molta credibilità, che ora deve essere riguadagnata.
Anche la Polonia deve recuperare la fiducia dell’Europa predisponendo una riforma giudiziaria conforme alle norme europee di base. Per giunta, le divergenze di opinione sulla politica migratoria non svaniranno affatto a breve.
Dove vede il maggior potenziale per realizzare iniziative polacco-tedesche congiunte?
Le possibilità di poter ricominciare da capo sono buone. La priorità, attualmente, è definire in comune la futura politica europea orientale su un piano di parità. In questo contesto, sarebbe altamente auspicabile intensificare la cooperazione con la Francia e la Polonia nel Triangolo di Weimar, includendo anche Kiev, su tutte le questioni riguardanti l’Ucraina.
Mentre la questione del risarcimento per i crimini tedeschi della Seconda guerra mondiale è regolata legalmente, ha senso parlare di pagamenti volontari entro un ambito finanziario limitato e basato su una responsabilità morale della Germania. Il progetto della Casa Tedesco-Polacca della Memoria e dell’Incontro a Berlino, promosso dal Bundestag tedesco, dovrebbe procedere rapidamente.
Leo Mausbach vive a Varsavia e lavora per il progetto Euro/Topics di n-ost


L’orizzonte ucraino

"Quando la nuova coalizione sarà in carica, ci saranno probabilmente anche problemi e litigi. Ma spero - ed esprimo soddifazione nel dirlo - che gli incontri polacco-ucraini si concentreranno meno sulle solite vecchie questioni del passato. Inoltre, l’emittente pubblica polacca avrà un’opportunità storica per rompere le catene della censura. Noi possiamo aiutare.
Yevhen Hlibovytsky, intellettuale ucraino e membro del consiglio di amministrazione dell’emittente pubblica ucraina

KIEV - Tutti i principali partiti politici in Polonia sostengono la lotta dell’Ucraina contro l’invasione russa, quindi in linea di massima Kiev avrebbe avuto supporto sia se avesse vinto il Pis, che l'opposizione.
Ma nelle settimane che hanno preceduto le elezioni, le questioni legate all’Ucraina sono diventate altamente politicizzate in Polonia, che si trattasse di rivangare conflitti passati, di prezzi del grano o di rifugiati. Criticando Kiev, il Pis ha cercato di attirare un numero maggiore di elettori dalle regioni più povere. Anche l’emittente pubblica polacca TVP ha adottato una retorica scettica nei confronti dell’Ucraina.
Anton Semyzhenko si occupa della sezione in lingua inglese di babel.ua


IL CORDONE SANITARIO LO RICUCIONO GLI ELETTORI. È LA LEZIONE POLACCA

Le forze di opposizione con Donald Tusk candidato alla premiership escono vincitrici dal voto. Foto Ansa

ROMA - Gli elettori europei ci hanno appena dimostrato che l’irresistibile ascesa dell’estrema destra non è affatto irresistibile. Non è un destino ineluttabile, per l’Europa.
Lo confesso: mentre mi trovavo nel quartier generale di Donald Tusk e della sua Coalizione civica, domenica 15 ottobre, in attesa dei risultati elettorali, non avevo scenari ottimistici in mente. L’anno prima ero a Budapest per le elezioni e avevo visto Viktor Orbán trionfare nell’ennesima vittoria alle urne.
Il caso ungherese sembrava dimostrare che non è affatto semplice un cambio al governo quando chi ha governato fino a quel momento si è costruito le regole su misura. Se si ha il controllo dei media, se l’indipendenza dei giudici è stata minata, e insomma tanto più la presa del potere è avanzata, quanto più è difficile ribaltare un sistema.
Ma poi arrivano gli elettori e succede che diano una spinta per il cambiamento.
Sia i popolari in Spagna che gli ultraconservatori del Pis in Polonia erano pronti a rompere quei pochi brandelli di cordone sanitario rimasti, e a usare i seggi presi dall’estrema destra come stampelle per un loro venturo governo.
Poi però la gente è andata a votare e ha infranto questi piani ricucendo il cordone sanitario. Né gli alleati spagnoli di Meloni (l’estrema destra di Vox) , né i neofascisti polacchi di Konfederacja hanno avuto un successo elettorale; tutt’altro: queste due formazioni sono uscite dal voto con le ossa rotte.
Già tutto questo ci mostra quanto vitali siano ancora le nostre democrazie europee. Prima del voto, a Varsavia, sono andata nel quartier generale di Strajk Kobiet (lo “sciopero delle donne”) e ho conversato con Marta Lempart, la leader delle proteste per il diritto all’aborto in Polonia, perché volevo capire che fine avesse fatto quell’ondata di dissenso, senza precedenti per portata e durata. E Lempart mi aveva detto che «se già è visibile un cambiamento nella società, ora è la politica che dobbiamo cambiare». Le code di giovani e di donne che confluivano ai seggi il 15 ottobre le hanno dato ragione.
Certo, il Pis resta il partito più votato, e stringe ancora in mano le leve del potere: come ha detto il leader di Konfederacja, Slawomir Mentzen, «Tusk ha contro la tv pubblica, la Corte costituzionale e il presidente della Repubblica». Resta il fatto che una maggioranza di polacchi ha votato per il cambiamento.
L’alta partecipazione, le istanze pro Ue e pro stato di diritto che l’opposizione incarna, hanno suscitato «un sospiro di sollievo a Bruxelles e in tante capitali», come mi ha detto l’eurodeputata olandese Sophie in’t Veld: «È come se gli elettori polacchi avessero salvato l’Europa dal baratro».
Francesca De Benedetti si occupa di Europa a Domani


Qual è la tua impressione su questo tema? Ci piacerebbe riceverla, alla mail collettiva info@europeanfocus.eu se vuoi mandarcela in inglese, oppure a francesca.debenedetti@editorialedomani.it
Alla prossima edizione! Francesca De Benedetti


(Versione in inglese e portale comune qui; traduzione in italiano di Marco Valenti)

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