Eccoci di nuovo insieme, Europa!
Siamo alla cinquantatreesima edizione dello European Focus!
Sono Francesca De Benedetti, la caporedattrice di questa settimana, e ti scrivo da Roma.
Sono rimasta sconcertata, ma non posso dire di essermi stupita, quando Matteo Salvini, ministro nel governo Meloni oltre che leader della Lega, ha usato la precettazione per limitare lo sciopero generale indetto in Italia la settimana scorsa.
Non c'è niente di originale nei tentativi di restringere i diritti dei lavoratori in Europa. In Ungheria, sotto il regime di Viktor Orbán, ho già assistito al licenziamento di alcuni insegnanti ungheresi che avevano scioperato. E sapevo che Rishi Sunak aveva appena prorogato i suoi provvedimenti anti sciopero.
Insomma, non importa che tu sia un primo ministro autoritario o un leader neoliberista, certo è che le lotte collettive ti daranno l'orticaria.
Ma i sindacati sono abbastanza forti per resistere a questi attacchi?

In alcuni paesi europei, i sindacati sono tutt'altro che diffusi, come succede in Estonia, oppure non hanno mordente, come in parte dei Balcani. Quanto ai lavoratori delle piattaforme, non è affatto semplice unire la forza lavoro, come ci conferma la Confederazione dei sindacati europei (Etuc).
E che dire di intere generazioni di precari che non si sentono rappresentati dai sindacati tradizionali?
Quando la nostra collega tedesca ci riferisce che la gente è stufa degli scioperi, capisco perché Salvini faccia appello al "senso comune" o Sunak sostenga di stare "salvando il Natale". Toccano un punto debole.
Ma la negoziazione collettiva porta stipendi più alti, e più diritti. Unirci, come lavoratori europei, è benefico per l'intera nostra società.
Ecco perché è cruciale condividere il dibattito sullo stato di salute dei nostri sindacati.
Francesca De Benedetti, caporedattrice di questa settimana


IL VALORE TRANSFRONTALIERO DELLA SOLIDARIETÀ

A Gräfenhausen, in Germania, la solidarietà locale nei confronti degli scioperanti georgiani e uzbeki ha fatto la differenza © Wolf1949H

BERLINO - In Germania gli scioperi sono una seccatura per molte persone, soprattutto quando ne subiscono personalmente le conseguenze. Lo sciopero dei macchinisti della scorsa settimana è un buon esempio delle reazioni che una tale azione sindacale può suscitare in Germania.
Il sindacato dei macchinisti è piccolo, ma i suoi membri occupano posizioni centrali nelle operazioni ferroviarie. Un recente sondaggio rivela che solo il 40 per cento degli intervistati mostra comprensione nei confronti delle azioni dei macchinisti, e il 44 per cento nei confronti dei recenti scioperi nel settore pubblico. Alcuni si lamentano che chi sciopera, in questi casi, prenda “in ostaggio” l’intera società.
Ma ci sono anche altre reazioni in Germania, molto più favorevoli agli scioperi.
Nell’aprile di quest’anno, e per più di due mesi verso la fine dell’estate, dei camionisti hanno scioperato alla stazione autostradale di Gräfenhausen. Si trattava dei conducenti della compagnia polacca Mazur, per lo più georgiani e uzbeki che effettuavano il trasporto merci principalmente in Germania e in Austria, e in alcuni casi si sono riuniti anche in 120 per volta, parcheggiando i propri camion per settimane dopo che non avevano ricevuto il loro già scarso stipendio.
Hanno raggiunto il proprio scopo: alla fine hanno ricevuto i soldi che spettavano loro.
Pochissimi tra questi conducenti erano iscritti a un sindacato. Nonostante ciò, il loro sciopero ha ricevuto un forte sostegno da parte dei sindacati: sono stati in molti a portare del cibo agli scioperanti e, in caso di bisogno, ad accompagnarli a farsi visitare da un medico.
Probabilmente è stato proprio grazie a questo supporto che gli scioperanti sono stati in grado di resistere così a lungo nella propria protesta, garantendo, alla fine, il successo dello sciopero.
Ciò non è avvenuto in altri paesi europei, dove i conducenti della Mazur in sciopero non sono stati in grado di resistere per un periodo così esteso. Anche se lo sciopero di Gräfenhausen non è stato organizzato convenzionalmente tramite una struttura sindacale, la solidarietà dei sindacati, in qualche modo, ha fatto la differenza.
Teresa Roelcke è una cronista del Tagesspiegel


IL NUMERO DELLA SETTIMANA: 6%

TALLINN - In Estonia appena un lavoratore su 17, ossia il 6 per cento, è iscritto a un sindacato. Si tratta della percentuale più bassa tra tutti i paesi dell’Ocse. Secondo un esperto del campo del lavoro, la scarsa popolarità dei sindacati è dovuta a «una manifestazione particolarmente radicale dell’ideologia neoliberista».
Kaja Valk, la neo-nominata presidente dell’Unione centrale dei sindacati estoni, ha ammesso che si tratta di «un numero esiguo di persone», ma non ha esposto come intende aumentare l’adesione ai sindacati.
Un numero esiguo di iscritti porta a un ruolo secondario dei sindacati nel processo decisionale. I sindacati hanno voce in capitolo nell’approvazione del salario minimo del paese e della tassa sul sussidio di disoccupazione. Tolte queste responsabilità, sono quasi invisibili.
Holger Roonemaa è a capo del team di inchieste di Delfi


"NIENTE PIÙ LAVORO AUTONOMO FITTIZIO"

L'intervistato

BERLINO - Ludovic Voet è segretario confederale di Etuc, la confederazione europea dei sindacati, per la quale si occupa dei diritti dei lavoratori delle piattaforme digitali, tra cui corrieri ("driver"), addetti alle pulizie, traduttori e web designer.
Perché per i sindacati è così difficile organizzare chi lavora nell’economia delle piattaforme?
Il motivo principale è lo squilibrio di potere e l’asimmetria delle informazioni tra i lavoratori delle piattaforme digitali e le aziende che le gestiscono, le quali possono avere accesso a più dati, risorse e influenza, e che possono utilizzare varie strategie (sorveglianza, manipolazione, intimidazione, ritorsione) per dissuadere i lavoratori dall’organizzarsi in un sindacato.
Quali sono gli aspetti problematici del lavoro nell’economia delle piattaforme digitali?
Spesso le aziende usano la maschera dell’innovazione tecnologica per minare i diritti dei lavoratori, fornendo un servizio che viene pagato a cottimo o all’ora, piuttosto che tramite stipendio o contratto prefissato.
I lavoratori hanno poco o nessun controllo sul prezzo del servizio o sul proprio programma di lavoro. Spesso sono classificati come lavoratori autonomi e hanno un accesso limitato o nullo alla previdenza sociale o alla contrattazione collettiva.
Quali miglioramenti introduce la direttiva Ue sui lavoratori delle piattaforme?
La direttiva proposta dovrebbe in linea di principio affrontare le questioni che dicevamo, ma i lobbisti stanno attivamente provando a far deragliare le misure più efficaci.
Al centro dello scontro politico c’è lo status occupazionale dei lavoratori delle piattaforme digitali. Siamo stati chiari fin dall’inizio: niente più lavoro autonomo fittizio. Stiamo anche facendo pressione affinché i lavoratori delle piattaforme digitali possano godere dei diritti di contrattazione collettiva e della tutela sindacale.
Il diritto alla trasparenza implica che il lavoratore delle piattaforma digitale sarà in grado di comprenderne il funzionamento e l’influenza sul proprio lavoro e sul proprio reddito. Bisognerebbe anche introdurre il divieto del cosiddetto “robo-firing”, ossia il licenziamento dei lavoratori attraverso sistemi decisionali automatizzati.
Ci fa qualche esempio dei progressi raggiunti finora da lavoratori delle piattaforme digitali?
Questa categoria di lavoratori ha affrontato sfide legali che durano anni. Ma le aziende cercano di ostacolare questo progresso applicando le sentenze solamente ai singoli lavoratori interessati al caso, oppure non applicandole affatto.
Contro ogni previsione, alcuni lavoratori sono riusciti a sindacalizzarsi, ma si tratta di rare eccezioni. In Italia, per esempio, la Riders Union Bologna ha negoziato un contratto collettivo con la piattaforma di food delivery Sgnam.
Judith Fiebelkorn coordina il team euro|topics per n-ost


NIENTE SINDACATO, MOLTA PAURA E DONNE SENZA VOCE

Una fabbrica tessile in Macedonia del Nord. Foto Makedonec / Wikimedia Commons

SKOPJE - «Nella nostra fabbrica tessile non c’è un sindacato. Ciò consente ai nostri capi di manipolarci. In un'azienda vicina alla nostra il rappresentante sindacale è legato al titolare, per cui lì non va affatto meglio.
Ne avevo abbastanza, così ho iniziato a sporgere delle denunce all’ispettorato del lavoro. Una per mobbing, molestie, perché non veniva permesso a noi dipendenti neppure di andare in bagno. Un’altra per gli straordinari non retribuiti, e un’altra ancora perché i capi mi avevano costretta a restituire parte del mio stipendio.
Ma è stato inutile, dal momento che ho inviato le denunce in forma anonima per paura di essere licenziata. La paura uccide la nostra speranza».
Questa madre single di 47 anni di Stip, in Macedonia del Nord, tiene a rimanere anonima. Nel periodo della Jugoslavia comunista - racconta - le donne della sua città erano orgogliose di fare le operaie tessili. Il loro status garantiva emancipazione e uno stipendio decente. Grazie all’attività del sindacato avevano anche voce in capitolo sul modo in cui veniva gestita la fabbrica.
Adesso, l'industria rappresenta un simbolo di sfruttamento. Il sindacato si è da tempo trasformato in una marionetta controllata non dai lavoratori, ma dai proprietari e dai politici. E ciò ha soffocato in particolar modo la voce delle donne.
Sinisa-Jakov Marusic è giornalista di Balkan Insight


TREMATE, I SINDACATI BRITANNICI SON TORNATI

I sindacati del Regno Unito sono diventati più forti grazie all’aumento delle adesioni femminili. Foto panoramica della protesta del Servizio sanitario nazionale (Nhs), 6 febbraio 2023

LONDRA - La crisi del carovita, gli anni dell'austerità con i governi conservatori dal 2010, l’inflazione in crescita e il calo dei salari reali hanno fornito un nuovo spazio ai sindacati in Gran Bretagna; lo testimonia bene l’ondata di scioperi partita nel 2022.
Oltre agli scioperi in corso in diversi settori, si attesta anche un aumento delle iscrizioni ai sindacati, caratterizzato peraltro da una forte crescita delle adesioni femminili tra il 2017 e il 2020.
Storicamente, i sindacati nel Regno Unito hanno assicurato il rispetto di diritti sul luogo di lavoro, come il salario minimo, i diritti di maternità e paternità, le pensioni, le ferie e i congedi per malattia, e hanno contribuito a redigere l’agenda sociale del Labour, il partito laburista fondato proprio dai sindacati e da organizzazioni socialiste nel 1900.
Se i sindacati hanno avuto un ruolo centrale in questa evoluzione, hanno raggiunto il proprio picco di popolarità nel 1979, con ben oltre 13 milioni di membri. Di conseguenza, nell’ambito del consenso neoliberista transatlantico, negli anni Ottanta il governo conservatore di Margaret Thatcher è entrato in conflitto in modo frontale con i sindacati.
Il mantra della Thatcher era che "la società non esiste", un approccio chiave per capire il modo in cui sia lei che il suo successore John Major hanno portato avanti dalle loro posizioni di governo provvedimenti per restringere potere e influenza dei sindacati, attraverso limitazioni al diritto di picchetto, l’introduzione del voto per le azioni di sciopero, e impedendo ai membri di sostenere altri sindacati.
Questo contesto ha anche contribuito a un progressivo declino delle adesioni ai sindacati, che dal punto di massima crescita del 1979 erano scesi a meno di 6 milioni attorno al 2010.
Lo sciopero dei minatori del 1984-85 ha sfidato le politiche della Thatcher contro le azioni dei sindacati, ma il suo esito ha visto la vittoria di un consenso neoliberista che per durata è andato anche oltre i governi conservatori.
Il ritorno dei sindacati sulla scena britannica dopo decenni dietro le quinte è un segno di speranza e di resistenza per le organizzazioni dei lavoratori in Europa.
Tuttavia, questo è in contrasto con il panorama politico britannico. Alle elezioni politiche dell’anno prossimo il paese si trova a dover scegliere tra il primo ministro conservatore Rishi Sunak, che è antisindacale con tanto di leggi, oppure un leader del partito laburista, Keir Starmer, la cui impostazione è centrista e di evocazione blairiana.
Angelo Boccato, giornalista freelance che vive a Londra, ha scritto per The Independent e la Columbia Journalism Review


Grazie, Londra, per quest'onda positiva! Quanto sarebbe potente poter batterci per i nostri diritti di lavoratori come europei? La solidarietà che supera i confini può fare la differenza, come ci racconta la collega tedesca. E l'unità potrebbe essere un elisir di giovinezza anche per i sindacati.
Qual è la tua impressione su questo tema? Ci piacerebbe riceverla, alla mail collettiva info@europeanfocus.eu se vuoi mandarcela in inglese, oppure a francesca.debenedetti@editorialedomani.it
Alla prossima edizione! Francesca De Benedetti


(Versione in inglese e portale comune qui; traduzione in italiano di Marco Valenti)

© Riproduzione riservata