Eccoci di nuovo insieme, Europa!
Siamo alla cinquantaquattresima edizione dello European Focus!
Sono Viktória Serdült, la caporedattrice di questa settimana, e ti scrivo da Budapest.
Le strade della mia città sono uno spettacolo curioso da vedere: le famiglie fanno i propri acquisti di Natale sotto l’occhio vigile della presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, e di Alexander Soros, figlio del miliardario di origine ungherese George Soros, ritratto come nemico dello stato sui cartelloni pubblicitari blu finanziati dal governo ungherese.
I manifesti fanno parte di una nuova campagna di Viktor Orbán, che ha fatto della “tutela della sovranità” il suo nuovo slogan in vista delle elezioni europee del 2024.
Mentre il primo ministro ungherese considera Bruxelles e Washington come potenziali minacce, altri paesi europei direbbero lo stesso della Russia, alla quale il leader Orbán ha recentemente stretto la mano.

Su una cosa il primo ministro ha ragione: sulla scia dei recenti eventi mondiali, la sovranità nazionale è qualcosa di cui tutti noi dobbiamo parlare.
Cosa significa effettivamente sovranità? Si riferisce alla resistenza contro le interferenze di un paese straniero o alla protezione degli interessi nazionali? E si può parlare di sovranità nel contesto dell’Unione europea?
Dall’influenza russa in Francia ed Estonia, ai forti legami commerciali della Cina con la Serbia: ecco cosa intendiamo rivelarvi in questa nuova puntata.
Viktória Serdült, caporedattrice di questa settimana


COSÌ MOSCA È ENTRATA A PARIGI

L'intervistato

PARIGI - Nicolas Quénel è un giornalista esperto di servizi di intelligence e guerre di disinformazione. Ha pubblicato proprio di recente Allô, Paris? Ici Moscou (“Pronto, Parigi? Qui Mosca”), libro inchiesta sulla guerra di informazione portata avanti dalla Russia in Francia.
La Francia è particolarmente bersagliata dalle operazioni di influenza russe?
Insieme alla Germania, la Francia è uno degli stati membri dell’Unione europea più colpiti [alle operazioni di influenza russe, e lo è da molto tempo. Lascia interdetti il modo in cui le autorità francesi si sono dimostrate ingenue nei propri rapporti con Mosca.
Nel 2006 il presidente Jacques Chirac ha conferito a Putin la gran croce della Legion d’Onore, che è la più alta onorificenza francese. E nel 2011 il presidente Nicolas Sarkozy ha firmato un contratto per la fornitura di navi portaelicotteri alla Russia durante l’occupazione russa della Georgia settentrionale.
Nel 2017, la prima cosa che Macron ha fatto appena eletto è stato ricevere Putin a Versailles. Due anni dopo, in un discorso tenuto in Francia al fianco del presidente russo, ha detto che la Russia è «profondamente europea» ed è una «grande potenza illuminista».
C’è stata una sorta di ossessione volta a normalizzare i rapporti con Mosca.
Come si spiega un fenomeno di tale portata?
Ci sono diverse ragioni storiche che contribuiscono in parte a comprendere perché abbia attecchito a tal punto in Francia.
L’antiamericanismo dell’élite francese ha avuto un ruolo in tutto ciò, come lo ha avuto anche la presenza di un Partito comunista francese potente e di lunga data, nonché di una stampa che ha favorito gli articoli di opinione, rendendosi quindi anche più permeabile al discorso russo.
Di recente la Francia è stata oggetto di un’operazione di interferenza, probabilmente diretta dalla Russia…
Sì, proprio così. Una coppia moldava è stata pagata per dipingere delle stelle di David sui muri di Parigi allo scopo di fomentare le tensioni nella società francese, e le reti di bot russe hanno diffuso le immagini dell’accaduto.
È stata un’operazione a basso costo, ma ha funzionato. I media ne hanno parlato ampiamente prima che fosse chiaro che si trattava di un’operazione controllata da remoto dall’estero.
I servizi di intelligence stanno rilevando un ritorno a modalità operative del genere, che ricordano quelle usate durante la guerra fredda. Nel 1960 il Kgb ha fatto esattamente la stessa cosa in Germania occidentale facendo dipingere svastiche sui muri per insinuare che in Germania il nazismo stesse riemergendo, e per minare la fiducia dell’Occidente nel proprio partner.
Nelly Didelot fa parte della redazione Esteri di Libération


IL NUMERO DELLA SETTIMANA: 2,4%

TALLINN - Un partito deve superare il cinque per cento dei voti per poter entrare nel parlamento estone, ma una soglia del due per cento è sufficiente per avere diritto ai finanziamenti statali. Ed è questa la percentuale ottenuta dal Partito della sinistra unita estone - formazione filorussa - dopo la campagna del suo candidato Aivo Peterson.
Questo personaggio politico è diventato noto per i suoi viaggi nel Donbass, regione occupata dalla Russia, e per la sua retorica palesemente favorevole al Cremlino.
Le autorità estoni non ci hanno messo molto a scoprire che il politico aveva ricevuto istruzioni dalla Russia. Peterson è ora in prigione in attesa di un processo con l’accusa di tradimento.
Nonostante ciò, il Partito della sinistra unita estone continuerà a ricevere denaro dai contribuenti estoni.
Herman Kelomees è cronista politico di Delfi


LA CINA STRINGE A SÉ LA SERBIA

Il presidente serbo e quello cinese insieme a Pechino a ottobre. Foto Instagram/Vučić

BELGRADO - Il presidente serbo Aleksandar Vučić è andato a dire ai media, mentre si trovava a Pechino a metà ottobre: «Sapete, dobbiamo pur vivere anche prima di entrare nell’Unione europea, e dobbiamo pensare al nostro paese, ai nostri figli e al nostro futuro». Poco dopo, i ministri del governo serbo hanno firmato un accordo di libero scambio tra Belgrado e la Cina appunto.
Quella dichiarazione di Vučić è stata una reazione al portavoce della Commissione europea, Peter Stano, che ha affermato che la Serbia dovrà rinunciare a tutti gli accordi bilaterali con paesi terzi il giorno stesso in cui entrerà a far parte dell’Unione europea.
Secondo i dati pubblicati dall’Ufficio statistico serbo, tra gennaio e settembre del 2023 la Cina è stata il secondo maggior partner della Serbia per quanto riguarda le importazioni. Tuttavia, il rapporto rileva che le corrispondenti esportazioni della Serbia non sono elevate, e che il più grande deficit commerciale del paese è proprio con la Cina.
Il nuovo accordo rappresenta un passo avanti nell’approfondimento delle relazioni economiche tra i due paesi.
La presenza finanziaria della Cina in Serbia è iniziata ancor prima che il Partito progressista serbo di Vučić arrivasse al potere, ma questo rapporto si è approfondito negli ultimi due anni. Ciò ha permesso alle autorità serbe di «conservare i posti di lavoro», come nel caso dello stabilimento siderurgico di Smederevo acquistato dall’impresa cinese Hesteel Group (Hbis) nel 2016, ma anche di costruire chilometri di autostrade, che i leader hanno definito un grande successo e segno di progresso.
Allo stesso tempo, questi progetti non erano conformi con l’ordinamento giuridico del paese, e costituivano un accordo diretto tra lo stato e i suoi partner cinesi.
In pratica, ciò significa che la Serbia non aveva preso in considerazione altre offerte. I subappaltatori di questi progetti sono aziende nazionali che però, in alcuni casi, erano vicine alle élite al potere.
Le istituzioni serbe non hanno mai reagito alle gravi accuse di violazione dei diritti dei lavoratori nelle aziende cinesi, né ai problemi legati all’inquinamento.
Secondo un’analisi del Balkan Investigative Reporting Network, la nostra rete di giornalismo investigativo, nel 2021 in Serbia c’erano almeno 61 progetti, in diverse fasi di avanzamento effettivo, che erano stati realizzati o erano in corso d’opera interamente o in parte con la cooperazione di enti cinesi nell’arco di un decennio, per un valore di almeno 18,7 miliardi di euro.
Milica Stojanovic è giornalista di Balkan Insight


VIKTOR ORBÁN E LA SOVRANITÀ DA CARTELLONE

Zoltán Kovács attacca l'Ue; e nell'immagine, come si vede, anche Soros jr e Ursula von der Leyen

BUDAPEST - Sovranità è la parola di grido per il governo ungherese, che in nome della «tutela della sovranità» ha presentato un disegno di legge, ha dato il via a una consultazione nazionale e a una campagna di affissioni.
Il progetto di legge intende istituire un ente per il monitoraggio dei rischi di interferenza politica, e prevede di punire il finanziamento dall’estero con fino a tre anni di detenzione. Quanto ai poster, stando a essi l’interferenza straniera in Ungheria proverrebbe dalle istituzioni Ue, dietro le quali ci sarebbe Alex Soros, figlio di George.
Già in passato abbiamo visto manifesti orbaniani che affiancavano Soros padre all’allora presidente di Commissione, Jean-Claude Juncker. Inizialmente pareva che Ursula von der Leyen fosse più gradita, ma ora Fidesz dà segno che i tempi sono cambiati. L’Ue è il bersaglio, e stando a Zoltán Kovács, megafono del governo Orbán, «l’Ungheria non sta al loro gioco».
Boróka Parászka è giornalista e opinionista di HVG


I SOVRANISTI POLACCHI BOICOTTANO... I POLACCHI

Donald Tusk in parlamento. Foto Sławomir Kamiński/Agencja Wyborcza.pl

VARSAVIA - Donald Tusk sarà il futuro premier polacco, e quest’estate i deputati del Pis gli urlavano «A Berlino!», mentre in autunno, in vista delle elezioni che si sono svolte a metà ottobre, la campagna elettorale degli ultraconservatori è stata saturata dalla narrazione secondo la quale il leader dell’opposizione sarebbe «sul libro paga di Bruxelles» e avrebbe perseguito interessi antipolacchi.
Il Pis con la sua propaganda sosteneva insomma che la vittoria dell’opposizione avrebbe portato la Polonia a perdere la sua sovranità. Secondo la propaganda del Pis, la vittoria dell’opposizione avrebbe portato la Polonia alla perdita della sovranità.
I polacchi, che sono dei gran sostenitori dell’appartenenza del nostro paese all’Ue, non se la sono bevuta. Inoltre dopo le elezioni nelle quali l’opposizione ha vinto, la Commissione Ue ha già annunciato che sbloccherà i miliardi destinati alla Polonia per il Pnrr.
Quei fondi europei per la ripresa erano rimasti congelati perché il governo a guida Pis non aveva alcuna intenzione di revocare la sua contestatissima riforma della giustizia. E quando Tusk, da vincitore, si è recato a Bruxelles, la sua promessa di riformarla ha sbloccato la situazione. Anche se non è ancora premier, il leader di Platforma può già vantare un grande successo che né il premier uscente Mateusz Morawiecki né il suo partito possono esibire.
La fanfara anti-Ue del Pis era fatta per offuscare le critiche mosse da Bruxelles verso le sue inclinazioni autoritarie. Negli ultimi anni il governo di Morawiecki ha virato drasticamente ancor più a destra e ha trasformato la Polonia in un cavallo di Troia per far penetrare idee estremiste dentro l’Unione europea.
Né Varsavia né i polacchi hanno tratto da tutto ciò alcun beneficio. Ma fomentando un conflitto tra Polonia e Unione europea il governo Morawiecki ha di fatto promosso gli interessi del Cremlino che cercava di indebolire il blocco europeo. Tra gli esponenti dell’opposizione e i giornalisti circolano sempre più indizi secondo i quali alcuni politici del Pis ne fossero a conoscenza e potrebbero aver favorito apertamente la Russia.
Queste connessioni dovrebbero diventare oggetto di indagine da parte dei politici che molto presto prenderanno il potere.
Michał Kokot fa parte della redazione Esteri di Gazeta Wyborcza


Qual è la tua impressione su questo tema? Ci piacerebbe riceverla, alla mail collettiva info@europeanfocus.eu se vuoi mandarcela in inglese, oppure a francesca.debenedetti@editorialedomani.it
Alla prossima edizione! Francesca De Benedetti


(Versione in inglese e portale comune qui; traduzione in italiano di Marco Valenti)

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