Eccoci di nuovo insieme, Europa!
Siamo alla cinquantottesima edizione dello European Focus!
Sono Herman Kelomees, il caporedattore di questa settimana, e ti scrivo da Tallinn.
È ora che l’Europa si allacci le cinture. Secondo la maggior parte dei sondaggi, Donald Trump ha una possibilità concreta di diventare il prossimo presidente degli Stati Uniti.
Una vittoria di Trump il 5 novembre sarebbe una buona notizia per le forze antieuropee, e darebbe un ulteriore slancio alle loro cause.
Considerando le deprimenti notizie quotidiane che ci giungono sull’aggressione russa in Ucraina, è stato angustiante ascoltare il mio collega ucraino mentre descriveva come la situazione bellica potrebbe diventare molto peggiore dopo la vittoria di Trump.

Alcuni vogliono trovare un lato positivo in questa svolta. L’ex ministro della Difesa estone, protagonista dell’intervista di questa settimana, pensa che il ritorno di Trump potrebbe indurre l’Europa ad assumersi più responsabilità per la propria sicurezza, inclusa quella dell’Ucraina. A essere onesti, questo è ciò che diverse amministrazioni statunitensi, sia democratiche che repubblicane, ci hanno detto per decenni.
Forse c’è speranza: per la prima volta da quando ho memoria, la Germania, il più grande paese dell’Europa democratica, sembra finalmente volersi dimostrare all’altezza della sfida. Speriamo che non sia troppo tardi.
Herman Kelomees, caporedattore di questa settimana


IL SUO SLOGAN ELETTORALE, IL NOSTRO DESTINO

Dal 2019 l’Ucraina è un paese complicato per Trump, e viceversa. Foto Casa Bianca / Shealah Craighead

KIEV - «Per ogni problema complicato esiste una soluzione semplice, accattivante e sbagliata». Questa frase dello stratega politico Yevhen Hlibovytsky descrive la tipica reazione ucraina alla promessa di Donald Trump di «porre fine a questa guerra in 24 ore».
È evidente che nemmeno un politico non convenzionale come Trump può fermare da un giorno all’altro un aggressore forte e determinato come la Russia. Una soluzione rapida può essere implementata solamente con negoziati nei quali l’Ucraina accetti significative perdite territoriali, come ha recentemente dichiarato lo stesso presidente ucraino Volodymyr Zelensky.
Ciò non solo condannerebbe tre milioni di ucraini che vivono nei territori occupati a una persecuzione prolungata, ma non impedirebbe nemmeno che questa guerra si riaccenda entro un paio di anni, dato che è improbabile che l’obiettivo di Putin di sottomettere l’Ucraina cambi.
Questo è ovvio per chiunque sia a conoscenza delle profonde origini della guerra russo-ucraina. Una volta che le persone si renderanno conto di quanto questo conflitto sia significativo e simbolico, sarà necessario uno sforzo e un appello ad agire. Un modo semplice per evitarlo? Credete a Trump.
Seppur Trump usasse queste promesse a solo fine di campagna elettorale, gli effetti della sua retorica sarebbero comunque già tangibili. Il partito repubblicano non può non tener conto di Trump e della sua “soluzione” semplice, che piace a molti elettori statunitensi e rafforza la posizione contraria allo stanziamento di fondi per l’aiuto militare all’Ucraina.
La decisione cruciale di donare all’Ucraina 61 miliardi di dollari è stata rinviata già per il terzo mese di fila. Senza Trump, probabilmente, non ci sarebbe una crisi del genere.
Con Trump presidente, difficilmente l'aiuto statunitense a Kiev sarà più generoso di prima. Questa consapevolezza ha dato nuovo impulso alle fabbriche di armi ucraine, che ora stanno aumentando la produzione, rendendo più affrontabile lo sforzo bellico del paese.
Inoltre, questa è una sveglia anche per l'Unione europea. Quest’ultima sta ora rendendo più sostanziale il proprio impegno nei confronti dell’Ucraina, essendosi resa conto che gli Stati Uniti potrebbero non fornire più aiuto. Questa è una possibile strategia per il futuro. Ad ogni modo, il 2024 promette di essere più difficile del necessario.
Anton Semyzhenko si occupa della sezione in lingua inglese di Babel.ua


L'IMPREVEDIBILITÀ USA PUÒ SVEGLIARE GLI EUROPEI

L'intervistato. Foto di Rauno Volmar

TALLINN - L'ex ministro della Difesa estone Indrek Kannik dirige oggi il Centro internazionale per la difesa e la sicurezza (Icds). Secondo lui il paradosso è che Trump alla Casa Bianca potrebbe persino innescare effetti positivi per l'Ucraina, ancor più che sotto il mandato di Biden.


Che impatto avrebbe la vittoria di Donald Trump sulla sicurezza dell’Estonia e dell’Europa?
Chi oggi afferma di sapere che impatto avrebbe, sta bluffando spudoratamente. Una delle qualità speciali di Trump è la sua estrema imprevedibilità. Un impatto potenzialmente negativo è che la sua vittoria porterebbe ulteriore confusione e conflitto nella società statunitense rispetto a ora. In secondo luogo, la vittoria di Trump potrebbe irritare i nostri alleati dell’Europa occidentale e la cooperazione transatlantica potrebbe deteriorarsi.


Alcuni analisti della sicurezza indicano anche possibili esiti positivi. Lei ne vede qualcuno?
La vittoria di Trump potrebbe spingere l’Europa a investire più rapidamente nella propria difesa. Le azioni dell’attuale amministrazione, specialmente durante il secondo anno della guerra, sono state reattive in senso negativo, nonché decisamente fuori tempo. Ciò solleva la questione su chi sarebbe la persona peggiore al comando degli Stati Uniti. Non vedo alcuna ragione per pensare che Biden nel suo secondo mandato sarebbe più determinato, più energico e capace di agire con più forza.

Quindi, in sostanza, esiste l'eventualità che avere Trump alla Casa Bianca possa avere un impatto positivo sulla sicurezza europea?
Non è da escludere; ma i rischi e l’imprevedibilità sono elevati. Ricordatevi che quando Trump era in carica, la presenza degli Stati Uniti in Europa centrale e orientale è aumentata. Inoltre, Barack Obama non ha mai accettato di fornire maggiori quantità di armamenti all’Ucraina: ciò ha avuto inizio solo durante il periodo di Trump, per poi continuare con Biden.
Quelle armi sono state di enorme aiuto per Kiev all’inizio della guerra. Senza di esse, forse, l’Ucraina non sarebbe stata in grado di sopravvivere. Il meglio che possiamo ottenere dall’attuale amministrazione è il mantenimento della situazione in Ucraina, stazionaria, così come è adesso. Il timore di un'escalation e la mancanza di volontà non indicano che si voglia vedere Kiev vincere la guerra.
Holger Roonemaa dirige la sezione inchieste di Delfi


IL NUMERO DELLA SETTIMANA: 8 MILIARDI

BERLINO - Dopo un inizio riluttante, la Germania è diventata il secondo maggior donatore internazionale per quanto riguarda il sostegno militare all’Ucraina; è seconda solo agli Stati Uniti.
Nel 2024 Berlino ha promesso di raddoppiare il proprio aiuto militare a Kiev, aumentandolo fino a otto miliardi di euro.
Le altre potenze economiche dell’Ue quali la Francia, l’Italia e la Spagna, non stanno sostenendo l’Ucraina nella sua lotta contro l’aggressione russa in maniera coerente con le proprie dichiarazioni precedenti.
Il cancelliere Olaf Scholz sta cercando di fare pressione sui suoi colleghi europei affinché si impegnino di più, dal momento che diventa sempre più chiaro che l’Europa non può contare sul sostegno degli Stati Uniti in termini di sicurezza.
Teresa Roelcke è una cronista del Tagesspiegel


DA SALVINI A MELONI: GLI ETERNI AMICI DI TRUMP

Un autoscatto americano di Giorgia Meloni

ROMA - Alcuni – come Matteo Salvini – usano toni urlati. Altri – come Giorgia Meloni – preferiscono dissimulare. Ma qualunque sia lo stile, una cosa resta chiara: c’è tuttora un solido legame tra la destra italiana e Donald Trump.
I selfie salviniani
«Congratulazioni a Donald Trump per la vittoria a valanga nelle primarie in Iowa!». Così ha twittato Matteo Salvini una settimana fa. L’entusiasmo del leader leghista per le campagne elettorali trumpiane è una storia che si ripete: nella primavera del 2016, Salvini era lì a fare da supporter e a scattarsi selfie con il magnate. Quest’ultimo ricambiava augurandosi che Matteo Salvini diventasse premier.
Destre unite
Già all’epoca, i due avevano molto in comune, dall’aggressivo stile populista al piano di unire la destra sovranista. Nel 2017, quando era il capo stratega di Trump, Steve Bannon ha promosso una rete europea di organizzazioni di estrema destra. Nel 2021, Matteo Salvini era ancora lì, a provare a formare un gruppo unico delle destre all’Europarlamento.
Adeguare i toni
Qualche anno – e qualche elezione – dopo, l’Italia ha effettivamente un primo ministro di estrema destra; solo che non è Salvini, bensì Meloni. Pure la leader di Fratelli d’Italia condivide con i trumpiani un passato in comune, ma per quel che riguarda il suo presente, preferisce essere meno esplicita. Meloni ha ostentato sia il proprio supporto all’Ucraina che la sua linea politica filoamericana in cambio della propria normalizzazione. Dunque finché Trump non tornerà alla Casa Bianca (sempre che ciò accada), la premier preferisce mantenere il silenzio sul tema.
Meloni e Mar-a-Lago
Non significa che i rami che la collegano a Trump si siano seccati. Tutt’altro. A novembre, il deputato di Fratelli d’Italia Andrea Di Giuseppe ha incontrato Donald Trump. Non solo la premier era al corrente di questo meeting a Mar-a-Lago, ma ne ha pure ricavato un regalo: Trump ha definito Meloni «trustable»; una premier sulla quale «si può contare».
Washington washing
La leader di Fratelli d’Italia del resto è andata al National Prayer Breakfast, è assidua frequentatrice della Conservative Political Action Conference (CPAC), e ha legami storici con Bannon e Trump. Certo, dietro il “Washington washing” di Giorgia Meloni si celava il tentativo di rassicurare gli osservatori internazionali grazie all’ombrello americano. Ma nonostante ciò, le sue assai meno rassicuranti connessioni con il mondo trumpiano – quello che ha preso parte all’assalto a Capitol Hill – sono tuttora vive.
Francesca De Benedetti si occupa di Europa a Domani


COMPAGNI D'ARMI CONSERVATORI

Questo membro dell'entourage orbaniano si esalta su twitter per le vittorie trumpiane alle primarie. Foto Twitter

BUDAPEST - Il governo ungherese non ha mai taciuto il proprio sostegno a Donald Trump. Anzi, c'è di più: il primo ministro Viktor Orbán sta sostenendo apertamente il tentativo dell'ex presidente degli Stati Uniti di riconquistare il potere.
«Sono sicuro che se il presidente Trump fosse presidente, oggi l’Ucraina e l’Europa non sarebbero colpite da alcuna guerra. Ritorna, signor presidente! Rendi l’America di nuovo grande e portaci la pace!», ha detto l’anno scorso alla conferenza Cpac di Budapest.
Le vere ragioni di questo sostegno potrebbero essere più complesse di così. A differenza di altri paesi membri dell’Unione europea, le relazioni tra l’Ungheria e gli Stati Uniti sono migliorate sotto l’amministrazione Trump.
L’ex presidente era disposto a chiudere un occhio sul declino dello stato di diritto in Ungheria sotto il governo di Orbán. L’attuale amministrazione Biden invece agisce in maniera opposta, e si è mostrata pure disposta all'utilizzo di sanzioni.
Non è d’aiuto nemmeno l’adozione da parte dell’Ungheria di narrazioni nello stile del Cremlino, né la sua mancata ratifica dell’adesione della Svezia alla Nato.
Viktória Serdült è una giornalista di HVG


Qual è la tua impressione su questo tema? Ci piacerebbe riceverla, alla mail collettiva info@europeanfocus.eu se vuoi mandarcela in inglese, oppure a francesca.debenedetti@editorialedomani.it
Alla prossima edizione! Francesca De Benedetti


(Versione in inglese e portale comune qui; traduzione in italiano di Marco Valenti)

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