La capacità di ricomporsi in mille modi diversi non è, evidentemente, una peculiarità esclusiva della sinistra italiana. Il 27 agosto, infatti, sette partiti di sinistra europei hanno depositato i documenti per la creazione di un nuovo partito europeo, denominato European Left Alliance for the People and the Planet (Ela).

Tra questi figurano La France Insoumise, Podemos, il Bloco de Esquerda portoghese oltre ai partiti della sinistra nordica (Danimarca, Svezia e Finlandia) e al Razem polacco. Copresidenti saranno la svedese Malin Björk e la portoghese Catarina Martins, mentre la segreteria generale andrà alla francese Sophie Rauszer. Il nuovo partito, a ben vedere, non è che la cristallizzazione del movimento Now the People, lanciato nel 2018 e presentatosi con un proprio manifesto anche alle ultime europee. Ed è soprattutto la risposta inevitabile all’inadeguatezza della struttura precedente.

«È ironico, ma il Partito della Sinistra Europea (Se) non rappresentava più la sinistra europea», dicono da Sinistra italiana, riflettendo sul peso di partiti rimasti privi di una reale rappresentanza come Izquierda Unida o il Partito comunista francese. Peso che era costato ad esempio a Manon Aubry, capogruppo di The Left nella scorsa legislatura, il ruolo di Spitzenkandidat della sinistra alle ultime elezioni a causa del veto del Pcf, in favore dell’austriaco Walter Baier.

Mentre tutto dovrebbe restare invariato nelle dinamiche del gruppo The Left al parlamento europeo, almeno per il momento, nel nuovo partito – che conta già 20 eurodeputati contro i 6 rimasti in Se – c’è però la speranza di vedere, prossimamente, almeno due ingressi importanti. Il primo sarebbe quello della Linke: prosciugata elettoralmente dal nuovo movimento di Sahra Wagenknecht, la sinistra tedesca andrà a congresso ad Halle dal 18 al 20 ottobre, per cui con tutta probabilità ogni discorso sulla possibile adesione sarà rimandato a quella sede.

E poi c’è Sinistra italiana. Il partito guidato da Nicola Fratoianni è, formalmente, solo osservatore in Se, in cui Rifondazione comunista è a tuttora l’unico membro a pieno titolo. Un motivo in più, in teoria, per abbandonare il progetto. Eppure, la linea di Sinistra italiana in origine era diversa. «Noi volevamo uno schema diverso», dice Giorgio Marasà, responsabile esteri di Si, «volevamo che si riformasse Se, che quel partito rimanesse un luogo unitario e che avvenisse l’ingresso di nuovi soggetti, più rappresentativi».

La decisione quindi sarà presa in maniera collegiale, senza escludere interlocuzioni con soggetti nella stessa situazione «come appunto Linke, lo stesso Walter Baier, e ovviamente Syriza», che è a oggi uno dei pochi partiti dell’area a poter esprimere 4 europarlamentari. In ogni caso, nessuna decisione verrà presa a strettissimo giro.

Il peso della guerra

C’è chi ha puntato il dito verso la guerra in Ucraina come fattore di rottura tra l’ala più favorevole agli aiuti militari verso Kiev e coloro che cercano una pace da posizioni più “neutrali”. Non è questo il caso, dicono da Sinistra italiana, visto che anche nel nuovo partito convivono posizioni pro Ucraina come quelle dei partiti nordici e posizioni contrarie all’invio di armi: basti pensare al voto contrario di un pezzo di The Left alla risoluzione sull’Ucraina approvata a Strasburgo lo scorso luglio, spiegata da Isa Serra (Podemos) come contrarietà alla visione della «via militare come unica strategia politica dell'Ue per affrontare il conflitto in Ucraina».

È indubbio, però, che i venti di guerra abbiano pesato nel riassetto complessivo delle sinistre europee. Innanzitutto per l’impatto che hanno avuto sul già citato svuotamento della Linke, visto che BSW ha puntato molto sull’opposizione agli aiuti a Kyiv e sull’idea di «dare alla pace una nuova casa».

Una dinamica che ha accelerato la scomposizione e la ricomposizione degli assetti politici. Senza considerare, infine, quanto il contesto bellico abbia privato di spinta propulsiva le agende sociali dell’Ue e dei paesi membri, togliendo agibilità alle sinistre.

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