«Guardi ci vuole rispetto. L’ho detto e lo ribadisco. Abbiamo visto tentativi di minare... Da parte di chi? Da parte di esponenti politici, di forze politiche, di chi politicamente vuole minare...». Dopo le pietre e le gocce, Giorgia Meloni scrive un nuovo capitolo – stavolta affidato non ai social network ma ai microfoni in Consiglio europeo – del suo romanzo preferito, intitolato “Sindrome dell’assedio”.

Mentre la premier italiana è impegnata a figurare i suoi nemici più o meno immaginari – in Italia interni alla sua stessa coalizione, in Europa chi critica il memorandum con la Tunisia – è in corso una guerra vera, tra Israele e Gaza, i cui effetti tangibili comportano la morte in massa di civili innocenti. E su questo conflitto, che di immaginario non ha nulla, l’Europa fatica a camuffare la propria inerzia.

Nel 2019 Ursula von der Leyen, appena insediatasi alla presidenza della Commissione europea, dichiarava tra i primi punti in agenda quello di una «Unione europea geopolitica». Quattro anni dopo, e già proiettata verso le elezioni di giugno, l’Ue a voce unica arriva a malapena a dire – dopo giorni di mediazioni, flebilmente – che forse ai civili, anche palestinesi, serve quantomeno un po’ di respiro (una «pausa umanitaria», un varco per far entrare aiuti umanitari e supportare i più fragili).

In un contesto europeo che al suo interno è così frastagliato, l’Ue attrice geopolitica appare un miraggio. Ciò nonostante von der Leyen continua a far da sé, l’attrice geopolitica, e porta avanti la sua personale linea – tanto sui memorandum con i paesi africani quanto sul conflitto mediorientale – noncurante delle obiezioni corali.

Conflitti dentro e fuori

Ancora questo giovedì, falchi e colombe dei governi europei hanno provato a influenzare la mediazione sul dossier israelo-palestinese.

In questo caso neppure le famiglie politiche reggono, perché ogni paese ha la sua sensibilità e postura geopolitica. Pedro Sánchez è nella stessa famiglia socialista di Olaf Scholz. Il premier irlandese Leo Varadkar in quella popolare di Ursula von der Leyen. Giorgia Meloni in quella conservatrice di Mateusz Morawiecki. Eppure tutte queste coppie deflagrano quando si tratta del posizionamento su Israele.

Il premier socialista che guida la Spagna, paese che ha la presidenza di turno in Ue, chiede con forza il cessate il fuoco e una prospettiva politica per uscire dal conflitto, a cominciare da un summit di pace. Il cancelliere tedesco è, assieme a Ursula von der Leyen, tra i sostenitori più incondizionati del governo israeliano, e ne è prova il fatto che ancora fino a questo giovedì Scholz usava – proprio come la presidente della Commissione – l’argomento per cui anche i civili palestinesi sono vittime di Hamas, senza citare in ciò un uso sproporzionato della forza da parte del governo israeliano. Contro le sferzate di Israele verso il segretario generale Onu, António Guterres, si posiziona il premier socialista portoghese, che assieme al governo spagnolo e irlandese spinge per una soluzione il più vicina possibile al cessate il fuoco.

La Polonia, in mano agli ultraconservatori del Pis sconfitti alle elezioni ma ancora al governo, non digerisce neppure la soluzione di compromesso della «pausa umanitaria» come si è visto in Europarlamento, quando il Pis ha votato contro quell’emendamento, sostenuto invece dai meloniani. Giorgia Meloni pur supportando Israele fa presente il tema della soluzione politica da trovare, e invoca il rafforzamento dell’Autorità palestinese, che in precedenza lo stesso Benjamin Netanyahu ha invece provato a indebolire.

I memoranda Tunisia-Egitto

C’è un punto sul quale il tema del conflitto e quello delle migrazioni – grimaldello propagandistico della premier nostrana – si intrecciano. Non si tratta tanto e solo dell’associazione tra migrazioni ed episodi terroristici che alcuni – da Meloni a Orbán passando per la Svezia – provano a introdurre. È il ruolo dei memoranda su modello di quello con la Tunisia che diventa particolarmente rilevante messo in mano a Ursula von der Leyen.

Meloni si agita contro i nemici immaginari che avrebbero provato a insinuare che la Tunisia non sia un paese sicuro – ma è un dato di fatto che Kais Saied sia un autocrate e che la Tunisia violi i diritti umani – e vede con speranza l’attitudine di von der Leyen a introiettare la retorica meloniana. Ma la presidente della Commissione europea sta andando oltre gli obiettivi della premier; segue anzitutto i propri.

Subito dopo gli attacchi di Hamas, gli Stati Uniti in sintonia con Israele hanno offerto assistenza macroeconomica al presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi – anche lui non esattamente un campione di democrazia – nella speranza che l’Egitto accettasse come rifugiati nel Sinai gli sfollati costretti alla fuga da Gaza. Dalla scorsa settimana Bruxelles ha lavorato alacremente in una direzione affine, ovvero offrire denaro all’Egitto e motivarlo internamente col tentativo di trattenere l’esodo fuori dai confini Ue.

Von der Leyen si conferma – come l’ha definita Politico già mesi fa – la «presidente americana d’Europa», e l’elemento non secondario è che per seguire questa linea politica la presidente sta travalicando qualsiasi equilibrio di potere interno all’Ue. Per restare in tema di memoranda, quando la presidente di Commissione è andata in Tunisia con Meloni e il dimissionario premier olandese, i governi europei hanno lamentato lo scarso coinvolgimento, mentre gli eurodeputati hanno sollevato il tema della indemocraticità della mossa di von der Leyen, che ha usato come ombrello per l’operazione l’evanescente “Team Europe” (“squadra Europa”).

Pure l’alto rappresentante Ue, che rappresenta i governi in politica estera, ha riportato questi rilievi alla presidente. La quale, noncurante di tutto, ha ribadito di voler replicare lo schema del memorandum Ue-Tunisia. Lo ha fatto nel discorso sullo stato dell’Unione di metà settembre, e continua a farlo ora, davanti al Consiglio europeo.

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