Combustibili sintetici o «elettrico»? È la domanda che agita i comparti economici legati ai fossili come l’automotive e l'oil & gas, di cui fanno parte anche i distributori del gas, oggi intenzionati a trasformarsi in produttori di idrogeno e metano sintetico. Un cambio di prospettiva che crea un’inedita alleanza nel nome dei “gas rinnovabili”. Da una parte Stellantis critica la messa al bando dei veicoli a combustione interna proposta dalla Commissione europea. Dall’altra il primo operatore italiano della distribuzione del gas, Italgas, chiede all’Europa attraverso la lobby GD4S - Gas Distributors for Sustainability -  di riconoscere i carburanti sintetici come strumento nella lotta al cambiamento climatico.

L'obiettivo comune è contrastare la politica delle "emissioni zero" per le autovetture e i piccoli veicoli commerciali e l'uscita di scena dei motori alimentati a benzina, diesel e metano a favore dell’elettrico. Ecco perché solo Volvo, Ford, GM, Mercedes-Benz, la cinese BYD e Jaguar Land Rover metterono nero su bianco il loro impegno verso l’elettrico.

Il grosso del comparto automobilistico - che conta Stellantis, Bmw, Renault, Hyundai, Toyota e Volkswagen - chiede di considerare tutte le tecnologie di decarbonizzazione disponibili al momento. E, in particolare, i combustibili sintetici. 

Ecco perché nell’ultimo periodo si è sentito tanto parlare di metano sintetico. Ma di cosa si tratta ed è davvero a portata di mano? La sua produzione era prevista nell’impianto “Power to gas” (dall’energia elettrica al gas, ndr.) che Italgas realizzerà a Sestu, Area metropolitana di Cagliari. Ma oggi risulta congelata. «Vedremo in un secondo momento», spiega l’azienda.

Sulla carta, per produrlo basterebbe far reagire idrogeno e carbonio. Ma nella pratica gli esperti sottolineano limiti tecnici ed economici difficilmente superabili.

I carburanti sintetici, idrocarburi fatti in laboratorio, di cui il metano rappresenta il più semplice da ottenere, sono l’ultima frontiera a cui guardano l’automotive e l’oil&gas per rimanere a galla mentre il resto del mondo chiede una stretta definitiva sulle emissioni climalteranti. Anche l’industria punta sulla produzione del metano sintetico, in modo particolare quella del cemento.

Questi combustibili rispondono, almeno in teoria, a tutte le richieste degli ambientalisti: si parte dall’idrogeno “verde” (prodotto per elettrolisi dell’acqua usando energia elettrica da eolico o solare), lo si mischia con la CO2 (sulla cui provenienza i progetti sono molto vaghi) ed ecco un carburante utilizzabile dai normali motori a combustione.

Secondo uno studio pubblicato dal think tank tedesco Agora Verkehrswende, l’efficienza finale di un carburante sintetico, al netto di sprechi e perdite lungo la catena, è appena del 13 per cento, contro il 69 per cento delle batterie.

Anche Italgas ha dovuto riconoscere questi limiti e, a Sestu, resta confermata solo la produzione di idrogeno, che avrà due utilizzi. Uno è il rifornimento di mezzi del trasporto pubblico. L’altro è l’immissione dell’idrogeno nella rete cittadina del gas, insieme al metano fossile. In percentuali molto basse, quanto basta ai distributori per rivendicare la centralità delle reti del gas nell’assetto energetico di domani. Solo  greenwashing, dicono gli ambientalisti.

Il miraggio della riduzione delle emissioni entro il 2030

In Europa la bussola contro il riscaldamento globale si chiama Fit for 55, le norme cui l’Unione europea affida l’obiettivo di ridurre del 55 per cento  - rispetto al 1990 - le emissioni di gas serra entro il 2030.

L’ultima proposta della Commissione riguarda la decarbonizzazione del mercato del gas e contiene buone notizie per tutti i sostenitori dei gas rinnovabili: idrogeno, biometano e metano sintetico vanno bene, e possono anche usufruire di  agevolazioni fiscali nei punti di immissione. A patto che la quota totale di gas serra emessi venga ridotta del 70 per cento.

A conti fatti, una vittoria per le case automobilistiche che si oppongono alla proposta della Commissione di mandare in soffitta il motore a combustione entro il 2035, chiedendo nel frattempo un “periodo di transizione” in cui l’elettrico venga affiancato dai carburanti sintetici.

Ma è anche la vittoria di GD4S (presieduta fino a gennaio da Paolo Gallo, amministratore delegato di Italgas) che ha ottenuto che il conteggio delle emissioni dei cosiddetti “gas rinnovabili” sia riferito al loro ciclo di vita. In pratica, non contano le emissioni generate al tubo di scappamento, ma quanti gas serra vengono riciclati. Poco importa, dunque, che la combustione del metano sintetico e del biometano (i gas rinnovabili) abbia lo stesso impatto del gas fossile.

Una riduzione delle emissioni del 70 per cento non è uno scherzo. Per raggiungerla, i produttori di metano sintetico devono utilizzare CO2 da riciclo, catturata, cioè, da sorgenti emissive (un processo industriale, ad esempio). In questo modo, la combustione rilascerebbe solo l’anidride carbonica utilizzata per produzione del metano. Un ciclo neutrale, almeno in teoria.

Ma la cattura della CO2 è lo scoglio su cui il progetto di Italgas si è infranto: la tecnologia necessaria è troppo sperimentale e costosa.

 A fine 2020 la società torinese si rivolge al CRS4, il centro di ricerca della Sardegna per studiare la fattibilità dell’impianto di Sestu. Un accordo che ha portato Gallo ad annunciare «la possibilità di produrre gas rinnovabili come idrogeno e metano sintetico».

Oggi, invece, è chiaro che «il metano sintetico non si farà, perché sarebbe necessario avere il sistema di cattura della CO2», spiega il ricercatore Alberto Varone, referente del CRS4 per il progetto Italgas, che aggiunge:«La società ci ha chiesto supporto solo sull’idrogeno,sono stato io a dire che il secondo step è il metano sintetico». Ma l’accordo tra Italgas e il CRS4, non risulta rinnovato.

Catturare la CO2 non è facile: deve essere il più possibile pura, visto che i catalizzatori sono macchine delicate. Un requisito che non è sempre possibile soddisfare. La CO2 può essere ottenuta dal biogas, che di anidride carbonica è ricco, nell’aggiornamento al biometano. Oppure grazie alle celle combustibili a ossidi solidi, dove il metano viene scisso in idrogeno e CO2. Ma, spiega Varone, «si tratta di una tecnologia molto cara».

Ancora più futuribili sono le opzioni che prevedono il sequestro della CO2 dai fumi delle centrali termoelettriche: un decennio di esperimenti non ha prodotto risultati apprezzabili e l’idea è rimasta confinata all’attività di laboratorio.   

Per tramutare in metano sintetico la grande quantità di CO2 sequestrata sarebbe poi necessaria una quota di idrogeno ancora più elevata. Per ottenere una molecola di CH4 (metano) ne servono 4 di idrogeno e appena una di CO2. E produrre l’idrogeno costa. Specie in tempi di caro-energia.

Ciò che emerge, dunque, è un quadro non confortante per il metano di sintesi, combustibile promesso di un nuovo corso a emissioni ridotte. «Al momento, non esistono impianti che chiudano il ciclo (dall’idrogeno al metano sintetico, passando per la CO2, ndr.)», continua Varone. Insomma, i combustibili sintetici non sono una soluzione efficace e a breve termine.

La transizione impossibile

A questa deludente constatazione è arrivata anche la Germania. Al fianco dei produttori di automobili, il governo tedesco ha spinto a lungo i carburanti sintetici: la speranza era quella di ridurre le emissioni delle auto già in circolazione.

Il 14 gennaio il ministro dei Trasporti, Volker Wissing, ha dichiarato: «Per il prossimo futuro non avremo abbastanza carburante sintetico per alimentare le autovetture con motore a combustione interna attualmente immatricolate» e ancora: «Dobbiamo utilizzare i diversi vettori energetici dove sono più efficienti, nel caso dei veicoli personali, questo è il motore elettrico». Posizione parzialmente rivista alla luce del conflitto tra Russia e Ucraina, che obbligherà i paesi europei a ricalibrare le proprie strategie in ambito energetico.

Chi, da sempre, definisce strategici i combustibili sintetici è l'associazione europea delle industrie automobilistiche (ACEA) di cui fanno parte Stellantis, Volkswagen, Renault e BMW: non ci sono ancora abbastanza stazioni di ricarica per le auto elettriche, dicono.

Blending a tutto gas

Congelato il metano sintetico, a Sestu rimane invece in piedi il blending, l’iniezione, cioè, di miscelare idrogeno-gas naturale nelle reti cittadine del gas. Di questa possibilità si parla da quando SNAM, nel 2019, inserì a Contursi Terme, in provincia di Salerno, una percentuale pari al 10 per cento in volume di idrogeno nella propria rete di trasmissione. Nel caso di Sestu, almeno all’inizio, la percentuale si attesterebbe tra il 2 e il 3 per cento, per poi crescere nel tempo, riferisce Italgas.

La parola su cui concentrarsi è “volume”: la quota dell’idrogeno presente in miscela è di gran lunga inferiore al 10 per cento perché l’idrogeno è un gas meno denso rispetto al metano, visto che ha un peso molecolare inferiore. Pertanto, a parità di volume, l’idrogeno eroga meno energia.

Il risultato è che la quota di energia rappresentata dall’idrogeno è pari a uno “zero virgola”, insomma, si continua ad andare a gas.

Con l’idrogeno non si scherza. Ad esempio,  può alterare le prestazioni dell’acciaio, causando danni ai metanodotti, ma spesso l’ultimo miglio del trasporto verso le abitazioni avviene attraverso tubi di polietilene, come a Sestu. Ciò rende il blending ancora più sperimentale.

Italgas sostiene che il polietilene sia un materiale affidabile ma bisogna stare attenti, anche agli effetti che l’idrogeno può avere sulle utenze domestiche. In quote maggiori del 5 o del 10 per cento in volume potrebbe  comprometterebbe le apparecchiature domestiche (caldaie e fornelli). L’idrogeno ha infatti una temperatura di fiamma più elevata. Ecco perché nell’ambito del progetto della SNG i 300 utenti che partecipano alla sperimentazione verranno dotati di apposite apparecchiature hydrogen ready.

Il 15 dicembre la Commissione europea ha mostrato la sua politica sul blending, proponendo di fissare al 5 per cento in volume la percentuale di idrogeno miscelabile nelle pipeline, si legge nelle due proposte  che compongono il pacchetto “Fit for 55” sulla decarbonizzazione delle reti del gas.

A livello italiano, invece, per agevolare il blending nell’immediato si pensa alla modifica del decreto del ministero dello Sviluppo economico che regola l’immissione del gas in rete. Del blending si sta occupando anche l’Autorità di regolazione per l’energia, che di recente ha chiesto al ministero della Transizione Ecologica di fissare ‪le percentuali di idrogeno iniettabili.

Ma nulla frena le società distributrici, che chiedono la possibilità  di immettere quantitativi crescenti di idrogeno in rete. Ancora prima di produrlo. E c’è una ragione: il blending è l’espediente utilizzato per stoccare l’idrogeno e sostenere l’importanza strategica delle reti di distribuzione.

Il 13 ottobre 2021, l’ad di Italgas Paolo Gallo incontra la commissaria per l’energia Kadri Simson. Sul tavolo c’è un documento il cui titolo è un manifesto programmatico: “Reti del gas, la chiave che abilita la decarbonizzazione”.

Nel Libro Bianco si chiede la possibilità di immettere volumi crescenti di gas rinnovabile attraverso una revisione delle regole in materia di iniezione, compresa la socializzazione dei costi di connessione nelle tariffe di rete sul mix dei gas. Insomma, per produrre il metano sintetico servono agevolazioni.

Il ritorno del metano sintetico

Sebbene il vento non sia ancora quello giusto non si può dire che Italgas abbia desistito dall’ipotesi di produrre metano sintetico. Il 18 gennaio l’azienda ha reso nota la stipula di un accordo con Buzzi Unicem, gruppo cementiero internazionale, per studiare la conversione dell’energia elettrica da fonti rinnovabili in gas sintetico che verrà utilizzato per alimentare le caldaie e i forni delle nostre fabbriche», ha spiegato a IrpiMedia Luigi Buzzi, direttore tecnico della società: «La prima fase riguarda l’elettrolisi dell’acqua per generare idrogeno da sottoporre a un processo di metanazione, reso possibile dalla CO2 catturata durante la produzione del cemento».

In breve, si tratta di realizzare il ciclo completo del Power to gas - quello che non è stato possibile fare a Sestu - a partire dalla CO2 prodotta da impianti già esistenti.I cementifici possiedono il sacro graal del metano sintetico: un’anidride carbonica pura, necessaria per la produzione dei carburanti artificiali.

Il sequestro viene sperimentato nell’ambito del progetto Clean Clinker, attivato con i fondi del programma europeo Horizon 2020 e «attualmente in fase di test su scala pilota nel nostro cementificio di Vernasca (PC)», aggiunge Buzzi: «Tra qualche mese avremo importanti riscontri sulla fattibilità industriale di una simile soluzione». Un progetto che rianima l’iniziativa sul carburante sintetico, ma portandolo lontano da Sestu. Perché il problema principale è quello del trasporto: gli impianti devono essere prossimi al luogo in cui si cattura la CO2. 
L’idea è quella di trasformare la CO2 da problema a risorsa, ma lungo questa strada si corre il rischio di il gas e la CO2 in merci di alto valore, di cui si incentiva dunque la produzione.

GLOSSARIO

Gas rinnovabili: Si tratta di gas combustibili non fossili che, per la legislazione europea ancora in corso di definizione, vengono considerati strumento efficace del processo di decarbonizzazione richiesto dalle nuove politiche contro i cambiamenti climatici. La definizione è basata o sul basso livello di emissioni prodotte, o sul processo di produzione.

Carburanti sintetici: Sono idrocarburi non fossili prodotti “in laboratorio” tramite processi di sintesi. Di base tutti gli idrocarburi sono molecole a base di carbonio e idrogeno, e possono quindi essere prodotti da una miscela di questi elementi.

Metano sintetico: è il più semplice dei carburanti sintetici. La formula del metano (CH4) è composta da un atomo di carbonio e quattro di idrogeno. Sembrerebbe il primo carburante sintetico che sarà prodotto su scala industriale

Idrogeno verde: Idrogeno ottenuto tramite elettrolisi dell’acqua, alimentata esclusivamente da elettricità ottenuta da fonti rinnovabili al 100 per cento, come eolico o solare.

Idrogeno blu: Idrogeno prodotto dalla scomposizione di gas fossile, un processo inverso a quello dei carburanti di sintesi. La sua produzione (da gas fossile) separa idrogeno e carbonio. Per essere considerato “blu” (e quindi “a basse emissioni”) deve essere prodotto assieme a un processo di cattura del carbonio affinchè non sia rilasciato nell’atmosfera. Tale tecnologia al momento non sembra aver raggiunto livelli efficaci.

Blending: “miscelazione”, nel contesto di questo articolo fa riferimento all’intenzione dei distributori del gas di mischiare assieme idrogeno e metano nella rete di distribuzione già esistente.

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