«E sottolinea che azioni e dichiarazioni scoordinate da parte di vari esponenti dell’Unione europea ha ridotto all’inconsistenza il ruolo dell’Unione europea in questo conflitto». Non c’è bisogno di avventurarsi nei retroscena, nei mugugni sotto banco. Basta leggere l’articolo 15 della risoluzione che l’Europarlamento vota questo giovedì, per trovarsi davanti il dipinto di quel che ha combinato Bruxelles con la crisi in corso tra Israele e Gaza.

«Insistiamo: che la Commissione e il Consiglio si coordinino fra loro! Che parlino con una voce sola!». Il pasticcio porta il nome di Ursula von der Leyen, che a detta di molti osservatori rischia di finire vittima di sé stessa. Il suo zelo, motivato dalle proprie ambizioni, finisce per diventare il principale intralcio a un suo bis nel 2024. Un boomerang per la presidente.

«Una voce sola»

C’è un motivo per il quale Josep Borrell è uomo di confine: presiede i Consigli con i ministri degli Esteri, e quindi ha a che fare coi governi; al contempo è vicepresidente della Commissione Ue, quindi nella squadra di von der Leyen. Il ruolo dell’alto rappresentante è stato a lungo noto come “il ministro degli Esteri dell’Ue” proprio in quanto figura riconoscibile che rappresenta l’Unione sul palcoscenico diplomatico. Se si negozia su un conflitto, è lui che parla.

Questo almeno fino a quando von der Leyen ha cominciato a parlargli sopra. La presidente della Commissione europea ha issato la bandiera di Israele, poi vi si è recata, e mentre si temeva per le condizioni umanitarie a Gaza, von der Leyen su questo non ha fiatato, ma anzi, al fianco del premier israeliano Benjamin Netanyahu ha dichiarato il 13 ottobre: «So che le reazioni di Israele mostreranno che è una democrazia».

Quando l’orbaniano commissario Ue all’allargamento Olivér Várhelyi ha annunciato che la Commissione avrebbe bloccato i fondi Ue verso i palestinesi, è successo il putiferio: gli altri commissari sono rimasti stizziti e presi alla sprovvista, il segretario Onu ha chiesto spiegazioni al Consiglio europeo, e a sua volta il consesso di governi si è domandato chi stesse prendendo il timone, e perché stesse visibilmente sbandando. Le reazioni irritate di molti governi hanno portato la Commissione al passo indietro, anche se von der Leyen non ha mai stigmatizzato Várhelyi, né lui ha fatto passi indietro.

Borrell si è trovato nella situazione paradossale di invocare la de-escalation in Medio Oriente e andare all’escalation con von der Leyen: mentre chiariva che Hamas va condannato ma Israele deve rispettare il diritto internazionale e umanitario, Borrell prendeva le redini dei dossier; e annunciava che avrebbe verificato lui stesso che la Commissione non usasse alibi per congelare i fondi ai palestinesi.

Riduzione dei rischi

Borrell che cerca per l’Ue un ruolo risolutore del conflitto, von der Leyen che si schiera al fronte e va per conto suo.

Non è la prima volta che la presidente se ne esce con prese di posizione frontali, prende competenze che non le spettano, e non consulta i governi: il patatrac più eclatante riguarda la sua visita a Washington in primavera, quando ha parlato di divorzio dalla Cina; poi i governi si sono infuriati e ha dovuto rimodulare con il “derisking”. Anche le modalità del memorandum tunisino hanno fatto storcere il naso al Consiglio.

Su Israele, anche per correggere il tiro di von der Leyen, i governi hanno fatto una dichiarazione insieme domenica e poi si sono riuniti virtualmente martedì. Nel frattempo i bollettini europei sono infarciti di dichiarazioni non firmate di diplomatici europei che accusano von der Leyen di aver messo in pericolo la diplomazia europea, e il suo personale, con le sue uscite. Per certo ha messo in pericolo il suo bis.

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