«Davvero pensavate che la Russia non avrebbe usato il ricatto del gas? Che ingenuità. Lo usa da anni». La Polonia è il primo paese Ue al quale la Russia ha tagliato le forniture ed è anche quello più esposto contro Mosca. La reazione del premier polacco lo dimostra. «Non temiamo nessun ricatto», dice Mateusz Morawiecki. Lo ripete da quando Vladimir Putin ha preteso il pagamento in rubli e Varsavia ha rifiutato ogni compromesso. Ma il governo non si limita a ripetere ai propri cittadini che «la Polonia è indipendente dal gas russo», a citare il rigassificatore di Świnoujście dove arrivano forniture dagli Usa o il nuovo gasdotto baltico. Varsavia va oltre: già prima che Putin staccasse il gas, ha lanciato una campagna rivolta ai paesi europei reticenti all’embargo energetico. In uno dei manifesti c’è pure il Colosseo.

Propaganda di guerra

Morawiecki ha inaugurato la campagna il 23 aprile, dallo stadio della capitale. Dietro di lui poster con immagini di vita quotidiana affiancate a città disastrate ucraine, e slogan come: «Il petrolio insanguinato finanzia il genocidio».

(Il premier polacco ha presentato la campagna davanti allo stadio di Varsavia. Foto Governo polacco)

«Affiggeremo questi poster in alcune città europee», ha avvisato il premier. Per lanciare agli altri paesi quale messaggio? «Per dire: smettete di tergiversare con l’aiuto all’Ucraina, basta concessioni a Putin. Il muro dell’indifferenza europea va sfondato». Oltre che nelle città, le immagini piombano anche sulle nostre bacheche Facebook sotto forma di post sponsorizzati. Il sito della campagna, “StopRussiaNow.eu”, è tradotto non a caso nelle lingue dei paesi ritenuti più reticenti, quindi in ungherese e tedesco. E c’è anche in italiano. Con un clic, la Polonia ci suggerisce pure il testo di una mail automatica pronta per essere spedita alla nostra classe dirigente: «Perché il nostro governo non attua ulteriori sanzioni contro la Russia? Perché non abbiamo ancora messo sotto embargo il petrolio russo? Perché continuiamo a pagare a Putin miliardi di euro?». I destinatari sono parlamentari selezionati da Varsavia con un database un po’ raffazzonato. La linea è in sintonia con gli Usa: più aiuti militari, embargo energetico.

Il nuovo schema

Prima della guerra, il bersaglio preferito del governo polacco era Bruxelles. Viste le tensioni sullo stato di diritto e sui fondi Ue, la retorica del Pis, il partito del premier, si scagliava contro le istituzioni europee. A inizio febbraio, la Polonia era intenta in un’altra campagna: manifesti che affiancavano i costi lievitati dell’energia alla bandiera dell’Unione. Come a dire, «colpa di Bruxelles». Lo scoppio della guerra non cambia lo stile del Pis, ma lo schema sì. I rapporti con gli Usa, già forti in termini di acquisti di armamenti e legami politici, si sono irrobustiti ancor di più.

Il 20 aprile il ministro della Difesa Mariusz Błaszczak era a Washington a incontrare il suo omologo Usa, il giorno dopo era al tavolo con l’industria militare Usa (Lockheed e altre big) per sollecitare nuove consegne. Le truppe Usa presidiano l’«alleato strategico», e la maggior parte delle armi occidentali dirette in Ucraina passa da qui. Complice l’ingombrante afflusso di rifugiati, la Commissione Ue ha concentrato le sue già tiepide iniziative per lo stato di diritto sull’Ungheria, alla quale questo mercoledì ha formalizzato l’avvio del meccanismo che condiziona i fondi Ue allo stato di diritto. Sia nei confronti dell’Ue, sia dell’opposizione interna, il governo polacco esce da questa guerra consolidato. «La sua popolarità aumenta e le altre maggiori forze politiche condividono la linea dura verso Mosca. L’opinione pubblica si stringe attorno alla bandiera», dice Michał Kokot di Gazeta Wyborcza. «Le nostre inchieste sullo stato di salute della democrazia finiscono in secondo piano ora».

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