La pressione della Russia sull’Ucraina, e di riflesso sull’Europa orientale, spinge la Polonia a rinsaldare i rapporti con gli Stati Uniti e a ricucire quelli con l’Unione europea. E visto che il governo ultraconservatore polacco non rinuncia alla sua retorica anti Ue, tanto da contrassegnare con il logo della bandiera europea l’aumento dei costi dell’energia sulle bollette, è Andrzej Duda a fare da pontiere.

Il presidente della Repubblica polacco, che per farsi rieleggere nel luglio 2020 ha puntato tutto sulla retorica anti Lgbt, ora indossa i panni dell’uomo del compromesso.

I retroscena riferiscono i silenzi di Jaroslaw Kaczysnki, il leader del partito di governo Pis, mentre serpeggiano verso Duda le accuse di «tradimento» e «abbraccio con l’occidente». In realtà il presidente fa ciò che Kaczynski non può fare dichiaratamente: cercare un compromesso per recuperare i fondi Ue ancora bloccati e la protezione occidentale.

Carri armati e televisioni

All’inizio di questo mese, 1.700 membri dell’esercito statunitense sono partiti dalla base militare di Fort Bragg, nella Carolina del Nord, verso la Polonia. Le tensioni nell’est Europa hanno intensificato i già corposi rapporti tra Washington e Varsavia che, assieme ai paesi baltici, è tra i membri Ue a temere di più le ingerenze russe. Stretta tra le divergenze con Bruxelles, e l’atteggiamento dialogante della Germania verso Mosca, la Polonia si è agganciata più che mai agli alleati americani.

In virtù di questo sodalizio, il governo polacco è arrivato a sacrificare i propri comparti industriali, preferendo l’acquisto dagli Usa. Un caso esemplare è quello della produzione di carri armati. Tra il 2018 e il 2019, la Polonia ha avviato un programma di modernizzazione dei carri armati ex sovietici T-72 appartenenti all’esercito polacco. L’azienda Bumar, incaricata di dare loro nuova vita, ha chiuso il 2019 con il bilancio in utile. L’anno dopo ha cominciato invece a registrare perdite, e ha chiuso il 2020 in grave difficoltà.

La ragione principale è che nel frattempo il governo polacco ha pianificato l’acquisto di 250 carri armati Abrams. Una spesa da oltre cinque miliardi di euro che Kaczynski in persona ha annunciato a luglio 2021. Compresa nel pacchetto c’è la cooperazione con Washington, anche in chiave di scudo anti Mosca. La Casa Bianca apprezza e sul finire del 2021, anche quando la tensione tra Varsavia e Bruxelles è alta, prosegue incontri e dialoghi con la Polonia che, diversamente dall’Ungheria di Viktor Orbán, è anche tra gli invitati da Joe Biden al summit delle democrazie svoltosi a dicembre.

Il garante di questi buoni rapporti è Duda, che nel frattempo salva il governo dalle situazioni dannose che esso stesso ha prodotto. Caso esemplare è quello della “Lex Tvn”, e cioè la legge sui media che avrebbe di fatto messo a rischio la tv indipendente Tvn, di proprietà statunitense. A dicembre, visto che il parlamento polacco aveva approvato quella legge fortemente criticata da Washington, è stato Duda a bloccarla utilizzando il suo potere di veto.

La exit strategy da Polexit

Il vantaggio di tenersi ancorata agli Usa, per la Polonia, è duplice: da una parte gli Stati Uniti e la Nato rimangono il punto di riferimento quando l’Ue – con Germania e Francia – appare troppo morbida verso la Russia. Dall’altra, proprio gli Usa possono svolgere un ruolo di mediazione con Bruxelles per evitare che la Polonia, a causa delle tensioni sullo stato di diritto, ne resti del tutto disancorata.

La Casa Bianca sta effettivamente agendo in questa direzione e Duda è il pontiere. A inizio febbraio, l’ambasciata Usa a Varsavia è stata esplicita sul tema: «Sono i valori democratici a fondare l’alleanza Usa-Polonia. Gli Usa esprimono apprezzamento verso il presidente Duda, per la sua guida attiva, il suo impegno per lo stato di diritto e i rapporti della Polonia con l’Ue». La dichiarazione stride con la situazione effettiva dello stato di diritto in Polonia, ma rivela il ruolo assegnato a Duda: trovare una via di uscita per scongiurare una “Polexit”. A ottobre, con Angela Merkel che concludeva il suo cancellierato all’insegna del pragmatismo ed Emmanuel Macron che stipulava con il governo polacco un’alleanza sul fronte energetico, Bruxelles e Varsavia hanno tracciato una strada per il compromesso: la Polonia dovrebbe rinunciare alla camera disciplinare che sanziona i giudici non allineati con l’esecutivo.

Qui entra ora in scena Duda, per togliere dall’imbarazzo il partito ultraconservatore di governo Pis, intrappolato nel suo stesso gioco retorico anti Bruxelles e spinto a destra dall’alleato euroscettico Zbigniew Ziobro. Con una iniziativa legislativa presidenziale, a febbraio Duda ha avanzato la sua proposta di riforma. Anche se non garantisce nella sostanza il pieno ripristino dell’indipendenza della magistratura, problema che del resto Duda stesso negli scorsi anni ha contribuito a creare, porta in dote però a Bruxelles l’abolizione della camera disciplinare. «Ho deciso di fare questo passo perché al momento ci troviamo in una situazione internazionale difficile», ha detto il presidente, che in questi giorni ha incontrato Ursula von der Leyen.

L’ipotesi, assai improbabile, che questo ruolo di mediatore sia svolto a dispetto delle intenzioni del Pis, che ha sostenuto l’elezione di Duda a presidente, è smentita anche dai fatti: proprio in questi giorni il governo polacco ha risolto la contesa con la Repubblica Ceca sulla miniera di Turow, il che è un altro passo per sciogliere le tensioni con l’Ue. La crisi ucraina è una finestra di opportunità per ricucire i rapporti con l’Unione, sia perché è necessario per la sicurezza, sia per il posizionamento geopolitico di Varsavia. La Polonia ha la presidenza di turno dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce), e alle concertazioni con Olaf Scholz ed Emmanuel Macron sulla crisi ucraina c’era guarda caso il presidente Duda.

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