In una domenica segnata da una partecipazione record, i dati indicano che gli elettori romeni si sono aggrappati stretti all’Ue e a un candidato che per slogan ha una parola su tutte: «Onestà». Con il 53,6 per cento dei voti, il sindaco di Bucarest, Nicușor Dan, sorpassa George Simion, che si ferma al 46,4 (questi i risultati finali).

Nonostante ciò, questa domenica sera il leader di estrema destra – che ha raccolto il testimone di Călin Georgescu – ha dichiarato di «essere io il presidente», disconoscendo i primi dati a lui sfavorevoli. Del resto le elezioni presidenziali in Romania sono turbolente dall’inizio alla fine, prima per il ciclo elettorale annullato e l’esclusione del filorusso Georgescu, poi per le accuse – pure questo 18 maggio in pieno voto – di ingerenze.

Dan il tecnocrate filo Ue

Sul suo nome ha scommesso chi crede in una Romania saldamente ancorata nell’Ue (e pure chi in Moldavia non tollererebbe il nazionalismo aggressivo di Simion). Nicușor Dan non ha uno stile strillato, ed è proprio questo che gli consente di uscire dagli schemi.

Opposto a Simion, sì, ma anche visibilmente distante dallo stile di governo precedente, disancorato dai partiti della coalizione (a cominciare dal Psd) che sono affondati al primo turno assieme all’uomo simbolo del sistema, Crin Antonescu, il sindaco di Bucarest è noto per essere una figura competente (il suo programma è stato steso con «numerosi esperti») e che lavora in modo certosino per ottenere risultati. Che mette il bilancio al primo posto. Se mai uno schema gli si dovesse affibbiare, sarebbe quello del tecnocrate europeista.

Classe 1969, Dan si distingue già da ragazzo per le vittorie alle olimpiadi della matematica, prosegue i suoi studi a Parigi. Quando torna in Romania, ormai da professore di matematica, prova anche a portare il modello francese della Scuola normale superiore, tradotto in salsa bucarestina (co-fonda e poi dirige la Școala Normală Superioară București).

Intraprende anche la via dell’attivismo: vent’anni fa, quando la crescita edilizia (illegale) mette a rischio il verde cittadino, si butta su Salvați Bucureștiul (l’associazione da lui fondata per “salvare Bucarest”) e incassa vittorie. Tenta la corsa da indipendente per diventare primo cittadino nel 2012, riesce nel 2020, nel frattempo aumenta la sua base elettorale e dieci anni fa crea un partito, che nel 2016 assume base nazionale.

Esiste tuttora, l’Uniunea Salvați România (Usr), e ha puntato su Dan presidente, anche se lui ne è uscito nel 2017, quando l’ala progressista del partito ha spinto per opporsi ai tentativi di limitare il matrimonio alle coppie etero in costituzione, mentre Dan ha propugnato l’idea che non bisognasse farsi trascinare in quello scontro: «Il peggio che possa accadere in Romania è che il dibattito venga dirottato su chi difende le tradizioni e chi no, invece che su chi ruba e chi no».

Il sindaco di Bucarest esibisce come unico dogma l’onestà: si distingue dal resto del panorama politico e da un sistema corrotto al collasso (vive ancora in in affitto). Così come a livello locale dichiara battaglia alla «mafia imobiliară» – la mafia immobiliare – in campagna presidenziale traslittera il concetto nello slogan di una «Romania onesta».

Nel programma da presidente mette al primo posto «una riforma coraggiosa del sistema politico e amministrativo, per avere istituzioni moderne capaci di sostenere lo sviluppo del paese a lungo termine». Dan vuole per il paese «uno stato che lavori in modo efficace per le persone», ed è lo stesso spirito certosino con il quale da sindaco ha cominciato da ciò che si vedeva di meno ma che a suo parere avrebbe fatto da base a tutto il resto: ridisegnare il bilancio. Poi si è dedicato al teleriscaldamento, in altre parole a cambiare le tubature vetuste della capitale romena, che facevano acqua da tutte le parti: un lavoro perlopiù sotto traccia ma che proprio per questo gli altri, presi da slogan e annunci, non avevano intrapreso.

Per Dan si sono esposte le grandi famiglie politiche europee di centrodestra, i Popolari (incluso Manfred Weber) la cui espressione romena è il Pnl, e i liberali macroniani di Renew.

Simion il trumputiniano

George Simion non è solo il leader dell’estrema destra di Aur, che siede all’Europarlamento con Meloni, fa campagna elettorale con gli ultraconservatori del Pis polacco (si veda il giro di Morawiecki a Bucarest al primo turno), resta in rapporti stretti con i Patrioti a cominciare da Salvini che è andato ad accoglierlo a Roma in campagna elettorale, incassa video di sostegno dal generale del «mondo al contrario» Vannacci. Il suo è anche l’esempio folgorante di come, dopo il ritorno di Trump alla Casa Bianca, uno dei partiti romeni con meno pudori verso Mosca – sostenitore dello stop agli aiuti a Kiev – possa allo stesso tempo farsi forte dei rapporti con questa Washington delle derive illiberali e degli attacchi all’Ue.

Non a caso Simion sceglie di sfruttare l’esclusione di Georgescu per attrarne i voti, ne raccoglie il testimone promettendogli l’incarico da premier in caso di vittoria e non si fa scrupolo per la ridondante dose di realtà imbarazzanti che riguardano Georgescu stesso (non solo l’ombra di Mosca ma dichiarazioni false e finanziamenti nascosti, il supporto dei servizi e il legame con personaggi controversi e brutali come il mercenario Horațiu Potra).

Prima del voto, il leader di Aur si è presentato in tv con Georgescu, il quale non si è limitato a dire che «per noi la politica estera è l’America» e che «l’Europa è finita, Trump ha dato scacco matto alla Francia, l'Europa è finita». Ha aggiunto che «con Cina e Russia bisogna parlare». Solo l’Ue insomma resta fuori da ogni considerazione; e gli attacchi di Simion a Macron nei giorni scorsi («si immischia, ha tendenze dittatoriali, nessuno lo ama») confermano, se mai servisse, che la linea è condivisa.

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