Il dibattito sul Quadro Finanziario Pluriennale 2028–2034 – la cornice settennale che orienta la spesa dell’Unione – viene spesso descritto come l’inizio di una nuova fase della politica europea. In realtà, segna la prosecuzione di un percorso già avviato, testato con la revisione di medio termine della politica di coesione 2021–2027, proposta lo scorso aprile dal commissario Raffaele Fitto.

Quella revisione, presentata come aggiustamento tecnico, ha funzionato da banco di prova politico. Ha introdotto margini di flessibilità inediti e riorientato parte della spesa verso priorità emergenti come competitività, transizione energetica, alloggi, risorse idriche e, per la prima volta, difesa. È lì che il bilancio europeo ha iniziato a spostarsi da una logica rigidamente programmata verso un impianto più adattivo, in grado di riallocare le risorse in base al mutare degli scenari.

Un’impostazione che affonda le sue radici nell’esperienza di NextGenerationEU e dei Piani di Ripresa e Resilienza, anticipando molte delle soluzioni oggi formalizzate nella proposta per il ciclo 2028–2034. Non si tratta quindi di una rottura, ma della messa a sistema di un modello già sperimentato: più flessibile, strategico e orientato ai risultati.

Non è stato un semplice aggiustamento. La politica di coesione – principale strumento dell’Ue per ridurre i divari territoriali – sta ampliando il proprio raggio d’azione. L’inclusione della difesa tra le priorità finanziabili e l’apertura al sostegno delle grandi imprese segnano un cambiamento sostanziale: alla missione redistributiva si affianca ora il supporto a obiettivi strategici comuni. Una trasformazione che apre interrogativi sull’equilibrio futuro della coesione e sulla tenuta del suo mandato originario.

Su questa traiettoria si innesta la proposta della Commissione per il 2028–2034, presentata nel luglio 2025: quasi 2.000 miliardi di euro articolati in cinque grandi aree, con coesione e agricoltura al centro dell’investimento territoriale, accanto a competitività, sicurezza, tecnologie strategiche e un ruolo globale rafforzato per l’UE. La coesione viene così ricondotta entro una cornice più integrata, da attuare attraverso Piani di Partenariato nazionali e regionali.

Questo cambio di scala apre sfide significative. Non cambia solo la struttura del bilancio, ma anche il contesto operativo: obiettivi più ampi, tempi più stretti, maggiore pressione sui risultati. In assenza di adeguate capacità, il rischio è che questa combinazione premi solo i territori più attrezzati, ampliando le disuguaglianze invece di ridurle.

In questo scenario, è essenziale che le decisioni si basino su evidenze solide, capaci di guidare l’allocazione in funzione dell’impatto atteso. Politiche complesse come la coesione operano in contesti molto differenziati, dove è difficile sapere ex ante cosa funzioni davvero. Il progetto Prin Stargate, promosso dalle Università di Roma Tre e Sapienza, lavora in questa direzione: integra valutazione ex ante ed ex post, combinando dati granulari, indicatori territoriali e modelli predittivi per migliorare la selezione e l’adattamento degli interventi.

Ancorare le scelte all’evidenza già in fase di programmazione permette di calibrare governance e responsabilità in base alle capacità effettive, distribuendo in modo più equo il carico amministrativo e aumentando l’efficacia per cittadini e territori.

Nel post-2027, la flessibilità sarà la regola, non l’eccezione. Ma il nuovo bilancio impone anche obiettivi più ambiziosi, tempi più stretti e una spinta crescente verso i risultati. Tenere insieme queste dimensioni richiede capacità rafforzate e decisioni fondate su evidenze. Per una politica come la coesione – nata per ridurre le disuguaglianze territoriali – è ancora più essenziale: allargarne il raggio d’azione non può significare perderne la direzione.

Ricercatrice presso Università Roma Tre, componente Direttivo dell’Associazione Riabitare l’Italia

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