Il parlamento europeo ha aggiunto al Digital Services Act un emendamento che mira a rendere la vita difficile agli utenti che effettuano upload di contenuti problematici sulle piattaforme porno: revenge porn, cioè immagini originariamente destinate a un consumo privato e rese pubbliche senza il consenso di uno o più protagonisti, pedopornografia o contenuti “exposed” o “hidden cams”, cioè filmati di nascosto.

Diverse piattaforme, anche tra le più note, come Pornhub, hanno dovuto far fronte in passato all’accusa di divulgare contenuti che mostrano abusi. Dopo la pressione di società e partner commerciali come Mastercard, hanno modificato le loro linee guida: la stretta, lungi dal risolvere il problema, però, l’ha solo spostato verso altre piattaforme minori.

La nuova regolamentazione proposta in Europa ha il merito di approcciare il problema, ma oltre a lasciare in sospeso una serie di questioni di applicazione pratica, non tocca altre realtà invase da contenuti problematici, come ad esempio i servizi di messaggistica.

Il testo dell’emendamento, approvato nella Commissione per il Mercato interno e la Protezione del consumatore prevede che per caricare su qualsiasi piattaforma erotica un contenuto sarà necessario fornire un indirizzo email e un numero di telefono. L’emendamento è stato elaborato da Alexandra Geese, europarlamentare tedesca dei Verdi. Lo scopo è quello di rendere più tracciabile chi pubblica contenuti problematici. 

Lo scopo

Alexandra GEESE (GER), member of the European (European) Parliament, in her speech; Ordinary delegate conference of the federal government 90 / Die Gruenen NRW, on 14./15.06.2019 in Neuss / Germany ' | usage worldwide Photo by: Franz Waelischmiller/SVEN SIMON/picture-alliance/dpa/AP Images

«Vengono ancora caricati troppe immagini senza il consenso di chi vi appare ed è difficilissimo farle rimuovere dal web», dice Geese. «Bisogna aumentare la consapevolezza degli utenti del fatto che saranno responsabili di ciò che postano. Troppe persone non si rendono conto della gravità dell’atto».

La seconda parte dell’emendamento riguarda la segnalazione dei contenuti problematici e la moderazione del sito, affidata da alcune piattaforme agli utenti stessi. Geese chiede anche che i contenuti segnalati vengano rimossi in fretta, possibilmente senza che la vittima debba identificarsi.

C’è anche una questione culturale che rende la soluzione del problema ancora più complicata. Geese propone di ampliare i programmi di supporto per chi denuncia. Spesso le segnalazioni non vengono prese sul serio, in più l’anonimato rende i colpevoli difficili da rintracciare: ragioni che contribuiscono a mantenere bassi i numeri delle denunce. 

Secondo Arianna Curti, del direttivo di Onde Rosa, un’associazione che si batte per il raggiungimento dell’uguaglianza tra i sessi, l’iniziativa di Geese dimostra buone intenzioni, «ma ci sono ancora alcuni casi specifici da chiarire. Cosa succede in caso di furto d’identità di uno degli utenti registrati? Come si può risalire all’intera catena di condivisioni che ha portato alla condivisione del contenuto?».

Ma è importante che venga riconosciuta la gravità dell’abuso. «Le vittime hanno a che fare con le conseguenze degli abusi per anni», dice Josephine Ballon, capa dell’ufficio legale di HateAid, che in Germania offre assistenza e copertura delle spese processuali alle vittime di abusi digitali. 

La paura che le proprie immagini private finiscano su un sito erotico è molto diffusa. Secondo un sondaggio di Onde rosa, le donne hanno maggiore timore che le loro foto intime vengano diffuse. Il 30 per cento delle donne interpellate ha dubbi sul fatto di essere stata potenzialmente vittima di revenge porn, il 2 per cento ne è addirittura certo.  

Revenge Porn Helpline, un’organizzazione britannica che dal 2015 assiste le vittime di abusi della propria immagine, nel suo report sul 2020 segnala che le denunce di abusi sono raddoppiate rispetto all’anno precedente e continuano ad aumentare, mentre quelle di atti che combinano la pubblicazione con l’estorsione (“sextortion”) sono triplicati. 

La consapevolezza è diffusa soprattutto fra le donne più giovani. Si trovano sempre più tutorial per evitare di essere ritratti a propria insaputa in un’immagine che sarà poi caricata su un sito porno. Su TikTok, uno dei social network più frequentati dagli adolescenti, digitando “girl safety tips”, “consigli per la sicurezza delle ragazze”, si trovano decine di video in cui gli utenti suggeriscono strategie per evitare di essere ripresi di nascosto. In uno di essi, per esempio, l’utente @swypesure mostra come assicurarsi del fatto che lo specchio in una camera d’albergo non sia solo una pellicola che nasconde una telecamera.

La denuncia

La rilevanza del fenomeno, più ampia di quanto si pensasse, è emersa a fine 2020, quando nel suo articolo sul New York Times Nicholas Kristof aveva rivelato le dimensioni reali del fenomeno. Da allora, l’industria si è proposta un'autoregolamentazione. È il caso soprattutto delle piattaforme più grandi, come Pornhub e YouPorn.

Entrambi i siti appartengono a MindGeek, la società canadese che attualmente detiene il monopolio nell’industria: è tra i dieci principali consumatori di banda del mondo e i numeri di utenti che hanno gli aggregatori di contenuti che possiede sono altissimi. Soltanto Pornhub nel 2019 ha ricevuto 42 miliardi di visite, cioè 115 milioni al giorno. I video caricati dagli utenti sono stati 6,83 milioni. Difficile tenerli tutti d’occhio.

Dopo la pubblicazione dell’articolo, Mastercard ha sospeso la collaborazione con Pornhub. 

A inizio 2021, a poche settimane dalla denuncia di Kristof, MindGeek ha annunciato nuove politiche di sicurezza per le piattaforme che gestisce. Pornhub e gli altri siti del gruppo in quell’occasione avevano introdotto nuove misure di identificazione degli utenti e moderazione dei contenuti: da allora il sito chiede a chi vuole effettuare un upload di fornire una foto e un documento d’identità e ha potenziato il team di persone che si occupano di controllare i contenuti caricati e di identificare le ricerche problematiche. Un’ulteriore revisione arriva anche da una serie di ong che collaborano con la piattaforma per segnalare immagini problematiche.

Queste linee guida collimano anche con le nuove regole di Mastercard sulla collaborazione con siti erotici: l’intermediario chiede che il sito abbia certezza del consenso delle persone raffigurate e della loro età e identità. Una parte della pressione a cambiare le regole del porno  sui portali MindGeek è venuta dunque anche dalla necessità di tornare a collaborare con le aziende che permettono loro di guadagnare. 

Ma su Pornhub continuano a pesare i problemi del passato: a giugno 2021 cinquanta donne che si sono dichiarate vittime dello sfruttamento della loro immagine, diffusa negli anni precedenti da parte della piattaforma, hanno fatto causa all’azienda madre MindGeek. Si tratterebbe di casi di pedopornografia, stupro e traffico di esseri umani. A ottobre MindGeek ha patteggiato con le vittime. 

Il ruolo dei legislatori

«Non possiamo delegare a Mastercard e i suoi simili la regolamentazione di questioni così delicate», dice Geese. L’emendamento mira a non lasciare spazi non sorvegliati nell’industria del porno, neanche a quelle piattaforme meno soggette alla pressione collettiva e dei partner commerciali. 

Un ulteriore problema nella lotta ai contenuti inadatti è il fatto che i video vengono scaricati dagli utenti. Questo permette di ricaricarli se dovessero essere rimossi, rendendo le immagini indelebili e costringendo le vittime a segnalarle continuamente. Nel 2021 Pornhub e le altre piattaforme MindGeek hanno tolto la possibilità di effettuare download direttamente dal sito, ma non vale per tutta la concorrenza. Resta poi la possibilità di effettuare registrazioni dello schermo.

Una soluzione potrebbe essere l’introduzione dell’analisi dell’impronta digitale del video, che permette di attivare automaticamente un filtro nel caso qualcuno tenti di caricarlo di nuovo. Pornhub a questo scopo utilizza Vobile, un software che riconosce i video già rimossi. 

«Sarebbe utile anche un registro di immagini segnalate, come esiste già per la pedopornografia. Inoltre, se ci dovesse arrivare ai gestori del sito una seconda segnalazione dello stesso contenuto, sarebbe opportuno fare in modo che debbano rimuoverlo immediatamente», dice Ballon. 

L’approvazione definitiva del Digital Services Act è ancora lontana. Nel frattempo, il via libera all’emendamento ha provocato anche un dibattito sull’opportunità di limitare l’anonimato degli utenti. Anche Geese si è posta il problema. «Ma la protezione dell’identità di chi abusa dell’immagine altrui può valere quanto il danno provocato alla vittima?»

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