L’attentato contro Robert Fico farà male alla Slovacchia ancor più che al suo premier. Rischia infatti di esasperare la torsione autoritaria che già è stata portata avanti con estrema rapidità: in poco più di mezzo anno, con il ritorno di Fico alla premiership e poi la collocazione del suo alleato Peter Pellegrini alla presidenza della Repubblica, questa leadership vicina a Viktor Orbán e a Vladimir Putin aveva già iniziato a smantellare le strutture anti corruzione, l’indipendenza della magistratura e la libertà dei media.

Uno degli ideologi dell’èra Fico, Ľuboš Blaha, ha sùbito preso ad accusare media e opposizione per l’attentato, mentre la guida del governo ad interim è ora di fatto in mano al vicepremier Róbert Kaliňák, noto agli slovacchi per i pugni sferrati agli oppositori e per i casi relativi alla criminalità organizzata.

Prima con un videomessaggio subito dopo l’attentato, poi il giorno seguente, esprimendo dichiarazioni congiunte assieme al suo successore, la liberale filoucraina Zuzana Čaputová – che resta alla presidenza della Repubblica fino a metà giugno, quando Pellegrini occuperà ufficialmente l’incarico – ha provato a instillare un clima di distensione e rappacificazione nazionale. Ma il paese resta traumatizzato dai fatti di mercoledì, e le tensioni si susseguono: basti pensare che questo giovedì pure un amministratore locale ha riferito di aver subìto minacce.

L’attentato e le incognite

Dopo l’attentato, Fico si trova all'ospedale universitario di Banská Bystrica, dove è stato trasportato alle 16 di mercoledì. Ha subìto un’operazione chirurgica che è durata cinque ore. Pare che nell’ospedale sia stato vietato l’utilizzo di cellulari, e quindi è attraverso gli alleati di Fico stessi che filtrano i bollettini ufficiali sulle condizioni di salute del premier. Kaliňák, che ne fa le veci, ha fatto sapere che Fico è in condizioni «gravi ma stabili» e ha affermato che il pericolo di vita non è ancora scongiurato.

Le indagini della procura sono sotto silenzio stampa, anche su questo è il governo a fornire le novità: il ministro degli Interni Matuš Šutaj Eštok ha fatto sapere questo giovedì che la pista considerata è una sola, e cioè l’atto motivato politicamente. Il presunto aggressore rischia ora da 25 anni all’ergastolo, e la polizia ha ufficializzato questo giovedì mattina l’accusa contro di lui: omicidio premeditato per vendetta. Si chiama Juraj Cintula ed è un pensionato di 71 anni.

A diffonderne il nome completo, con tanto di carta di identità, è stato Daniel Bombic, noto come Danny Kollar, neonazista che si trova nel Regno Unito per sfuggire alle autorità slovacche – è ricercato dalla polizia proprio per estremismo – e che tuttavia può vantare di aver avuto come ospite nei suoi show online il ministro degli Interni di Fico. A marzo proprio Šutaj Eštok compariva nel programma da lui condotto. Il neonazi Kollar era quindi in possesso dei documenti e dei dettagli sul presunto attentatore, e li ha diffusi.

Il ministro degli Interni questo giovedì ha ribadito che Cintula «ha partecipato a diverse manifestazioni antigovernative» e che «non è membro di nessun gruppo estremista»: avrebbe agito in solitaria. Dal giornalista investigativo Szabolcs Panyi si apprende invece – con tanto di prove fotografiche – che pare che Cintula fosse associato al gruppo paramilitare filorusso Slovenskí Branci.

Dopo il suo sodale Viktor Orbán, Fico è il premier Ue più amico di Putin, anche se deve avergli dato un dispiacere questa settimana, annunciando che Rosatom sarà esclusa dal nuovo progetto nucleare slovacco. A Domani, Panyi spiega che «sarebbe davvero troppo ipotizzare un coinvolgimento di Mosca; ma è vero che i russi costruiscono reti e relazioni nella nostra regione, anche con squilibrati, che possono poi risultare pericolosi al di là della Russia».

Le dinamiche politiche

Tra le caratteristiche del gruppo paramilitare filorusso in questione c’era anche l’odio per i migranti, e questo è un tratto che torna, nella biografia di Cintula, che viene descritto come poeta e scrittore dilettante, ma che tra le proprie opere contempla ad esempio Efata, un volume xenofobo anti rom.

Anche se tutti questi elementi caratterizzano il presunto attentatore come un estremista di destra, sin dalla prima notizia sugli spari, gli uomini di Fico hanno rivolto accuse a chiunque sia critico con Fico: «Siete voi, voi che avete diffuso l’odio!», ha detto mercoledì pomeriggio Ľuboš Blaha contro media indipendenti e opposizione. Se l’attentato non avesse congelato gli eventi, proprio questo mercoledì ci sarebbero state proteste da parte di tutta l’opposizione, e della società civile, visto che era iniziata la sessione parlamentare straordinaria sulla ristrutturazione della televisione e della radio slovacca; in sostanza, un piano di Fico per la presa dei media.

I colpi all’informazione libera vanno letti in concomitanza ad altri attacchi allo stato di diritto in corso nel paese. Già a inizio anno, ad esempio, il governo – noncurante delle proteste di piazza e delle critiche della procuratrice europea Laura Kövesi – ha calendarizzato per lo scorso marzo la chiusura della procura speciale anti corruzione, la stessa che nel 2022 aveva indagato contro Fico e contro colui che oggi ne fa le veci, ovvero Kaliňák.

Un mese fa, il premier aveva detto di temere che un membro del governo fosse assassinato «a causa del linciaggio di massa», attribuendo l’odio solo al campo critico verso di lui. Anche se dopo l’attentato tutte le parti politiche invocano «pace e riconciliazione», i ministri di Fico accusano i media e l’opposizione di scatenare l’odio. E diffondono informazioni false: Kaliňák ad esempio ha giustificato le foto di Cintula col gruppo paramilitare sostenendo che fosse lì solo «per convincerlo a deporre le armi», cosa non vera. L’attentato contro Fico, che oggi può vestire i panni di martire, rischia di esasperarne ancor di più le derive autoritarie.

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