«L’èra post liberale che stiamo aspettando, che sostituirà l’attuale èra liberale progressista, non arriverà da sola, qualcuno deve farlo. E chi lo farà se non noi?». Viktor Orbán è più ringalluzzito che mai, con Giorgia Meloni al suo fianco. Pensa già al 2024, pregusta la sua rivalsa verso Bruxelles e Washington. Per l’entusiasmo inciampa sulla soglia, fa il baciamano alla premier, le twitta «avanti ragazza».

Cosa voglia Orbán da Meloni, siamo in grado di ricostruirlo: vuole trovare asilo nei Conservatori europei che lei presiede, perché è isolato all’Europarlamento. E cerca aiuto da un governo amico, perché Bruxelles gli ha congelato i fondi. La presenza di Meloni a Budapest, questo giovedì, fa chiaramente comodo al despota.

L’aspetto interessante è che lei si presta.

Il teatro della premier

Nella strategia ambivalente di Meloni – da una parte esser considerata digeribile dall’establishment, dall’altra non perdere l’elettorato – stavolta ha prevalso lo sforzo di mobilitare i suoi.

Le elezioni 2024 si avvicinano, i voti contano, e quindi anche il solito armamentario torna utilissimo. «Qualche anno fa sono diventata un po’ più popolare, perché ho detto che sono Giorgia, sono una madre, sono cristiana. Chi mi attaccava ha sottostimato il consenso che quelle parole hanno trovato».

Lo ha detto questo giovedì mattina dal palco del summit demografico di Budapest: prima del bilaterale col premier, è qui, in via György Dózsa, che è cominciata la sua giornata ungherese. L’alibi perfetto per riabbracciare Orbán? Il raduno biennale di pro life, omofobi, oltranzisti di ogni foggia, compresi sedicenti psicologi che dicono che chi non fa figli «è un disturbato mentale».

Questo è il teatrino col quale Orbán alimenta il suo potere; il summit di questi giorni, i bimbetti che cantano in costumi tradizionali frasi su Dio e l’obbedienza, vanno di pari passo con le leggi anti Lgbt, la retorica della famiglia tradizionale e altre tattiche. Meloni impara: gli attacchi a Peppa Pig “queer” nella campagna elettorale di FdI del 2022 riecheggiano la lotta orbaniana ai cartoni animati “gay”; e altrettanto vale per il discorso fatto dalla premier al summit, quando dice che «i modelli che vediamo sui media, in cultura, nelle pubblicità, sono preoccupanti».

L’agenda di Giorgia

«Stiamo lavorando per portare un significativo cambiamento culturale», ha detto la premier dal summit. Come i «cambi di narrazione» già visti in Rai. Ma da Budapest ha addirittura annunciato una agenda europea: «La famiglia e la sfida demografica sono temi chiave non solo per l’agenda italiana, ma per quella europea».

Un chiaro sintomo di campagna elettorale 2024, mentre Salvini si scalda per il palco di Pontida e per passare domenica il suo microfono a Le Pen. «Vogliamo un nuovo clima culturale!», e ancora: «Lo stato non può rimpiazzare la famiglia». E poi: «C’è un uso strumentale del tema migrazioni per quel che riguarda la natalità; assumiamoci noi le nostre responsabilità».

La premier rimpiange i tempi in cui in Italia si facevano più figli «che badavano agli anziani», e dichiara «interesse e ammirazione per i risultati che avete ottenuto, per il vostro esempio ungherese». Nell’Ungheria di Orbán scuola e sanità sono sotto il ministero degli Interni, gli insegnanti sottopagati sono licenziati se scioperano, l’assistenza sociale è sforbiciata sempre più; non esattamente un modello di welfare.

O forse sì per Meloni. «Vogliamo garantire questa libertà», spara la premier; fa finta di ignorare che i prestiti del governo ungherese «amico della famiglia» rimangono attivi solo se e finché i cittadini adempiono agli «obblighi domestici» ovvero riproduttivi. L’ambasciatore statunitense di stanza a Budapest si è fotografato mentre andava coi figli al summit; chi sa che David Pressman è gay coglie la stilettata a Orbán.

Tête-à-tête

I rapporti tra galassia meloniana e orbaniana – come pure quelli tra Pis e Fidesz – non si sono mai davvero rotti; il governo polacco e ungherese si spalleggiano tuttora a vicenda per sbloccare i fondi Ue, e anche così si spiegano le loro rimostranze sul dossier migranti. Ma con l’esordio della guerra in Ucraina né il Pis né Meloni erano andati a farsi selfie col filorusso Orbán.

Non è un caso che dopo il bilaterale del pomeriggio col premier ungherese, nella dichiarazione congiunta sia stata infilata una precisazione che dovrebbe essere ovvia: «I premier condannano l’aggressione russa». Excusatio non petita. Ma il 2024 si avvicina: Orbán spera di non restare più orfano in Ue, e che sia gli Usa con Trump, che l’Europa, girino a destra. «Ci vogliono più governi conservatori per cambiare Bruxelles», dice spingendo perché gli sblocchino i fondi europei. E per l’ingresso in Ecr: sicuramente con Meloni durante il bilaterale questo è stato un tema.

Il Pis sotto banco è aperturista con Orbán, ma non può mostrarlo prima delle elezioni polacche di ottobre. La presidente conservatrice a sua volta non aprirà porta prima delle europee di giugno. Intanto però i selfie sono tornati, e anche le gite ungheresi. «Avanti ragazza», dice qualcuno.

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