Certi amori non finiscono, fanno dei giri immensi e poi ritornano. A metà settembre Giorgia Meloni interverrà al Budapest Demographic Summit, e soprattutto – già adesso – va verso Viktor Orbán.

Non se n’è mai davvero allontanata. Le relazioni tra la galassia di Fratelli d’Italia e quella del premier ungherese non si sono interrotte, non importa quanto la premier esibisse il suo supporto a Kiev, e quanto invece Orbán strizzasse l’occhio al Cremlino. Pure la propaganda meloniana è in parte mutuata da Fidesz.

Ma per mesi – ancor prima di diventare premier – la leader di FdI ha schivato i selfie con il sodale di sempre. Presentare l’estrema destra come forza di governo digeribile era la sua priorità; la famiglia popolare l’orizzonte da lambire.

Perciò la mossa del summit budapestino è un segnale non da poco. Meloni dà un assist a Orbán che annaspa per uscire dall’isolamento; e conferma anche che le prese di distanza legate all’Ucraina sono più una pantomima che una vera rottura.

Quando le conviene, la destra si riaggrega: gli stessi ultraconservatori polacchi non esitano a fare squadra con l’Ungheria se si tratta di difendere i propri interessi in Ue.

L’operazione Budapest

Nel 2014 Orbán ha teorizzato «la democrazia illiberale», l’anno dopo era a battezzare il forum demografico: «Vogliamo un'Europa basata sulle famiglie e non sull'immigrazione».

L’edizione 2023 che inizia il 14 settembre serve, certo, a sfoderare tutto l’apparato propagandistico orbaniano, che sulla triade «Dio, patria, famiglia» combacia con quello meloniano; ma ha soprattutto la funzione di aggregare una famiglia politica per evitare l’isolamento del premier. Dal 2021 è fuori dal Ppe, si è ritrovato i fondi Ue congelati, e ha un rapporto teso con gli Usa, pure con l’ambasciatore David Pressman.

Il reclutamento di alleati è affidato all’orbaniana Katalin Novak, così fedele al premier da aver sfoggiato orecchini con le sue iniziali. Già da ministra predicava cristianità e famiglia tradizionale, e la si vedeva al fianco di Lorenzo Fontana tanto al World Congress of Families quanto in altri eventi.

Da quando è presidente della Repubblica, oltre a fare puntatine in Vaticano, gestisce tutti i dossier sui quali Orbán ritiene tattico che sia lei a metter la faccia, dall’incontro con Zelensky agli approcci con Meloni.

Il ruolo della premier

Annunciare la partecipazione al summit del presidente serbo Aleksandar Vučić era cosa facile, per Novak: lui è tra gli ospiti abituali, assieme ad altri leader amici e a qualche nome repubblicano di terza fila.

Col governo italiano, è stata una missione. Novak ha incontrato Meloni a Roma il 25 agosto, e poi il 29 ne ha annunciato la partecipazione budapestina. Nella primavera 2022, quando Orbán è venuto a Roma a guerra da poco deflagrata, solo Matteo Salvini si è prestato al selfie.

Nel frattempo i meeting con la galassia meloniana sono proseguiti; dopo il voto italiano, all’hotel Quirinale a Roma erano riuniti i fedelissimi di Orbán, il ministro Fitto, Francesco Giubilei e altri. Ma finora Meloni ha protetto le apparenze.

Ora con Novak parla di «valori comuni» e soprattutto si presta al summit. Al premier ungherese preme non restare isolato, anche in vista delle europee: i rapporti con la presidente dei conservatori sono per lui rilevanti. E Meloni? Adesso pensa alle dinamiche che si genereranno sul 2024, con i voti Ue e non solo.

Un indizio è nella recente intervista di Orbán con Tucker Carlson, rilanciata (con endorsement) da Elon Musk: il premier punta agli Usa del 2024, spera in una vittoria dei repubblicani e nel ritorno dell’«amico» Donald Trump. Una variabile che “libererebbe” Orbán dallo stigma e renderebbe lecito ciò che oggi appare quasi impossibile.

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