«Ci lavoreremo». La risposta di Giorgia Meloni alla domanda di un cronista tedesco sul Piano d’azione, il trattato che secondo i piani di Mario Draghi e Olaf Scholz avrebbe dovuto avvicinare Italia e Germania, è piuttosto sbrigativa. Poco più loquace il cancelliere, che ha liquidato la domanda con la promessa di voler «chiudere in fretta» la questione e quindi procedere con i passi necessari a livello diplomatico.

Il bilancio del primo viaggio bilaterale europeo di Meloni (con eccezione dell’incontro con il premier svedese Ulf Kristersson, presidente di turno del Consiglio europeo) è tutto nella conferenza stampa finale, in cui i due capi di governo rivendicano le proprie vittorie. Meloni può vantare un nuovo sostenitore della sua linea sui migranti che porterà al Consiglio europeo straordinario di metà mese, mentre Scholz ha portato a casa un’apertura della premier italiana sul suo piano di rivedere le regole per gli aiuti di stato in Europa.

Sull’intesa diplomatica, che avrebbe potuto sfruttare la momentanea distanza di Parigi sia da Berlino che da Roma, invece alla fine è prevalsa la linea attendista del governo italiano, che già alla vigilia del viaggio non si è voluto esporre sul trattato, che invece sta parecchio a cuore agli ambienti berlinesi, come dimostra la risposta positiva, seppur stringata (ma non è una novità, nello stile comunicativo del cancelliere) sull’opportunità di continuare il lavoro.

Migrazione e aiuti di stato

Meloni ha posto l’accento sulla necessità di collaborare con i paesi di partenza e di transito dei migranti, sottolineando anche il rischio che dal suo punto di vista continua a rappresentare l’immigrazione non regolamentata: «Abbiamo anche un problema di sicurezza e siamo tutti quanti richiamati alla responsabilità». La linea della trattativa con i paesi di partenza è una soluzione accettabile anche per il governo tedesco, combinata con un accordo con i paesi nordafricani che mantenga i livelli necessari di immigrati regolari per le esigenze del mercato del lavoro.

Ma il fatto di aver identificato un punto di partenza comune rafforza Meloni in vista del Consiglio straordinario. Il sostegno di Berlino vale anche la raccomandazione del cancelliere di mantenere un equilibrio giusto tra responsabilità e solidarietà, basato sui valori comuni.

La contropartita di Berlino è stata l’ammorbidimento della posizione italiana sul futuro degli aiuti di stato. Scholz vorrebbe vedere un cambiamento drastico nelle regole comunitarie che permetta alle imprese tedesche di non subire la concorrenza dei rivali americani, agevolati dal pacchetto di sussidi green previsto dal Inflation reduction act di Joe Biden. Una prospettiva che Meloni e il suo ministro delle Imprese Adolfo Urso guardano con diffidenza, temendo grossi svantaggi per chi, come l’Italia, non ha la stessa disponibilità economica di Berlino e Parigi per finanziare i sostegni alle imprese.

La premier ha concesso che «è fondamentale che ci sia una risposta europea per rafforzare la competitività dell’Ue», ma annuncia «cautela» sulle modifiche del regime di aiuti per «mantenere un livello di competitività che sia uguale per tutti». L’apertura è arrivata però sulla «flessibilità dei fondi già esistenti». Una linea che Berlino può condividere: già in occasione dell’appuntamento della finanza internazionale a Davos, Scholz aveva proposto di attingere, per finanziare gli aiuti di stato dei paesi che non avessero avuto disponibilità proprie, ai fondi non utilizzati del Pnrr.

Una palla che Meloni può cogliere al balzo per agganciarvi anche la possibile ridiscussione di destinazioni e regole di strumenti come RePower Eu e dei fondi di coesione, in vista della trattativa sulla riforma del patto di stabilità europeo.

Il discorso sul rischio internazionale della sicurezza degli stati torna nella risposta che Meloni dà a chi le chiede degli ultimi sviluppi della vicenda dell’anarchico Alfredo Cospito. La strategia della presidente è quella di glissare sulle questioni interne, rinviate «a domattina». Meloni ha sottolineato invece il problema «che mi pare venga sottovalutato: uno stato oggetto di attacchi da parte di anarchici dentro e fuori dai confini nazionali».

Una dichiarazione che richiama i recenti attacchi alle rappresentanze diplomatiche italiane, anche a Berlino, ma che in Germania non può non rievocare la grande retata di un mese fa, quando le forze dell’ordine tedesche avevano sgominato una rete di Reichsbürger che stavano pianificando un golpe per ristabilire l’impero. Il bilancio finale della visita di Meloni conferma la parabola di normalizzazione intercettata anche dai commentatori tedeschi, che le avevano offerto timide, seppur sospettose, aperture di credito dopo aver monitorato i suoi primi cento giorni di governo.

La premier è in cerca di alleati in Europa, una missione che si sposa bene con toni felpati e autosmentite, come quella sul fatto di essere «allergica alla Germania», come aveva detto a Libero nel 2019. Un’allergia che, secondo Meloni, oggi si limita soltanto alla lingua: «È una lingua complessa sul piano grammaticale e lo confermo. Sul tedesco ho fallito». 

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