A volte i ruoli si ribaltano. Tra alleati ci si dà il cambio, in base ai rapporti di forza. E succede così che dopo aver importato tutte le tattiche propagandistiche di Ungheria e Polonia, ora dalla posizione di governo Giorgia Meloni fa lei da capofila degli oltranzisti anti Lgbt, ostacolando attivamente i piani di Ursula von der Leyen per i diritti delle famiglie arcobaleno.

Chissà se la presidente del Consiglio darà retta alla strigliata arrivatale questo mercoledì dal commissario europeo alla Giustizia, Didier Reynders, che ricorda: «Gli stati membri devono rispettare i diritti fondamentali sanciti dalla Carta, compreso il diritto alla non discriminazione».

I piani di Bruxelles

Nel suo discorso sullo stato dell’Unione 2020, von der Leyen annuncia che farà «pressione per il mutuo riconoscimento dei legami familiari nell’Ue»; perché – dice la presidente della Commissione Ue – «se sei un genitore in un paese, allora sei genitore in tutti». Nasce così la proposta di regolamento ufficializzata a fine 2022.

C’è però un nodo fondamentale: si tratta di un regolamento del Consiglio che richiede un consenso unanime dei governi. Mentre il parlamento Ue può solo esprimere un parere non vincolante, basta che un solo stato non sia d’accordo per far saltare il piano.

L’assalto meloniano

E sembra che l’Italia con Meloni si stia ritagliando un ruolo di apripista europeo, nel boicottaggio del riconoscimento delle famiglie arcobaleno.

La destra di governo ha già lanciato la sua guerra ai diritti sia in parlamento sia con l’iniziativa del ministero dell’Interno a guida Matteo Piantedosi, che ordina tramite le prefetture di impedire il riconoscimento dell’omogenitorialità bloccando la trascrizione dell’atto di nascita con il genitore non biologico.

Un nodo europeo

Ovviamente l’Unione europea non interferisce sulle leggi nazionali che riguardano la famiglia, perché non è sua competenza; ma affronta il nodo del riconoscimento della genitorialità da un paese all’altro dell’Ue. E lo fa innanzitutto per salvaguardare i diritti dei minori che sono la priorità.

Bruxelles calcola che due milioni di bambini siano oggi nelle condizioni di poter avere difficoltà per il mancato riconoscimento dei loro genitori in un altro stato membro.

Le Sara d’Europa

Se la Commissione Ue si propone di intervenire, è proprio perché i casi di mancato riconoscimento dei genitori sono diffusi, e quando sono arrivati fino alla Corte di giustizia europea, quest’ultima ha ordinato agli stati riluttanti di adempiere. Il governo italiano dovrebbe rileggersi le vicende della piccola Sara.

Il caso si chiama “Stolichna obshtina, rayon Pancharevo” e comincia quando i genitori omosessuali di Sara, nata in Spagna, si vedono poi negato il certificato di nascita dalla Bulgaria. La famiglia resta nel limbo, e la piccola Sara apolide, finché arriva la Corte Ue a riportare ordine e diritti: stabilisce che privare la piccola del legame con il genitore quando esercita il suo diritto alla libera circolazione significa violare gli articoli 7 e 24 della carta europea dei diritti fondamentali.

E con la sua sentenza, dice che le autorità bulgare sono obbligate a fornire i documenti a Sara. Sono documenti che tutti gli stati Ue sono tenuti a riconoscere.

La retrovia dell’Ue

In queste settimane l’Italia di Meloni si sta comportando come la Bulgaria che rifiutava a Sara e ai genitori i pieni diritti. L’assalto governativo alle famiglie arcobaleno fa parte di un apparato di tattiche e strategie importate dai governi più retrogradi dell’Ue.

Con la piena partecipazione dell’allora candidato Andrzej Duda, il partito ultraconservatore al governo in Polonia, che Meloni definisce «frontiera morale d’Europa», ha trasformato la campagna presidenziale 2020 in un assalto alle persone Lgbt. Ne è seguita una repressione di stato contro la comunità gay.

E siccome si è convinto che a fini elettorali funziona, dirottare l’attenzione sulle battaglie ideologiche, Viktor Orbán ha replicato gli stessi schemi a Budapest, che in tempi non lontani ospitava uno dei più vivaci e apprezzati gay pride.

Dopo la rielezione di aprile scorso, il premier ha dichiarato che «il principale problema è il gender». Per non parlare della sua guerra omofoba che ha travolto persino i cartoni animati. È da queste tattiche che proviene la guerra di Fratelli d’Italia a Peppa Pig in campagna elettorale.

Ora che è al governo, Meloni sorpassa gli alleati storici: l’attacco alle regole europee per la parità dei diritti parte proprio dall’Italia. Che vanifica così gli sforzi di Bruxelles per tutelare i diritti di tutte le Sara d’Europa.

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