Ha la consistenza fumosa della propaganda, questo accordo tra Giorgia Meloni ed Edi Rama sui migranti, che pubblichiamo incorporato nell’articolo. 

È così impalpabile che fino a martedì pomeriggio pure la Commissione Ue si schermisce: «Stiamo chiedendo informazioni dettagliate», dice il portavoce Eric Mamer. Come a dire che neppure Bruxelles può dire di sapere bene di che si tratti. Quella meloniana «è una mossa unilaterale, senza coordinamento con l’Ue, senza informarci di nulla», dice a Domani il presidente della Commissione Libe dell’Europarlamento. Juan Fernando López Aguilar, giurista ed ex ministro della Giustizia ai tempi di Zapatero, ritiene l’accordo «incompatibile con le norme europee».

«Ma mi baso sugli annunci alla stampa – precisa - perché la nostra Commissione, pur essendo quella che si occupa del patto migrazione e asilo, è stata tenuta all’oscuro di tutto. Il governo italiano non ci ha notificato nulla».

Se mai questo accordo dovesse – a dispetto del diritto – tradursi in qualcosa di concreto, allora si rivelerebbe poco di più che la carta di un gioco di prestigio: sviare in Albania migranti, che poi a fronte di rimpatri irrealizzabili tornano comunque in Italia.

Un flop che evoca quello del memorandum tunisino. E anche il modo in cui la premier si prepara a uscirne è molto simile: invocherà nemici immaginari, ostacoli, «sinistre nemiche della patria», come già iniziano a fare i suoi fedelissimi in Ue.

Una questione europea

Meloni vanta che l’accordo sia un modello per l’Europa; ma per l’Europa si sta rivelando più che altro un caso controverso.

Lo è ad esempio per il metodo: la premier si è coperta le spalle con Ursula von der Leyen in termini di sintonia politica; ma entrambe finiscono così per tralasciare la democraticità del processo decisionale.

Meloni e Rama lunedì hanno sostenuto che il patto fosse in discussione e in preparazione dai tempi delle vacanze estive di lei in Albania. Stando a questa versione, è quindi Meloni stessa a dirci che c’era tutto il tempo per verificare con Bruxelles la corrispondenza tra il patto e le norme europee, oltre che internazionali. E di certo sappiamo che von der Leyen non era ignara dell’annuncio: a domanda esplicita, la risposta del portavoce di von der Leyen, Eric Mamer, è che «non stiamo certo sostenendo che la presidente della Commissione non fosse al corrente dei piani». In sostanza Meloni si è coperta le spalle il minimo indispensabile prima di rendere pubblico il suo progetto.

Non vuol dire che ci sia stato un confronto sul testo del patto. Sia la Commissione che l’Europarlamento sono ignari a riguardo, a quel che dicono Bruxelles e López Aguilar. Significativa, come scelta, visto che la premier italiana va al contempo invocando l’aiuto dell’Europa sui migranti.

Qui poi le questioni di metodo si intrecciano con quelle di merito. È vero infatti che «va di moda ormai parlare di esternalizzazione delle frontiere», come spiega l’avvocata europea Paola Regina. Ma al contempo «non significa che questo tipo di operazioni oggi sia legale», e che sia in linea con le norme europee e coi capisaldi del diritto internazionale.

Le navi italiane – e non quelle delle ong – dopo il soccorso in mare effettuerebbero una selezione, escludendo donne e minori, e porterebbero poi una quota di migranti in due centri in Albania «simili a quello di Pozzallo» (lo dice il ministro dell’Interno Piantedosi) con una capienza massima di 3mila persone, dove si svolgerebbero le procedure per la richiesta di asilo.

Fratelli d’Italia pensa di schivare le obiezioni sostenendo che i due centri sarebbero sotto giurisdizione italiana, ma il regime di extraterritorialità non si improvvisa: è una ipotesi «eccezionale e tassativa», dice l’avvocata Regina. Vale per le sedi diplomatiche, per capirci.

Che succede poi?

Lo scenario «sembra in aperta violazione delle norme del diritto europeo», ha detto questo martedì la segretaria dem Elly Schlein, che da eurodeputata si era occupata proprio di asilo e migrazioni. Le opposizioni contestano l’accordo, e il Pd in Ue ha presentato un’interrogazione alla Commissione: «Temiamo che si prefiguri un’ipotesi di respingimento collettivo analoga ad altri casi per i quali l’Italia è già stata condannata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo», spiega Brando Benifei, capodelegazione Pd all’Europarlamento.

Finora sono stati anzitutto i giudici a fare da argine ai progetti di varia foggia delle destre europee e britannica di dirottare migranti e richiedenti asilo altrove.

Rishi Sunak aveva puntato sul Ruanda – a cui dar soldi e quindi rifugiati – quando i conservatori calavano nei consensi, perché la propaganda anti migranti a quanto pare per i tories funziona; ma i tribunali si sono messi di traverso.

Poi ci hanno provato i governi europei: l’Austria, per esempio, vuole andare al traino di Londra con i trasferimenti in Ruanda. Lunedì la Commissione Ue ha fatto intendere ai cronisti che stando alle norme Ue non è cosa.

Se mai Meloni dovesse rendere tangibile l’intangibile accordo, ci sarebbe poi quel gioco di carte: i migranti irregolari che non fosse possibile rimpatriare non se li terrebbe Rama, come ha chiarito, ma verrebbero in Italia. «Rispetto agli ordini di rimpatrio, dice Eurostat che meno di un decimo viene effettuato, per mancanza di accordi coi paesi di origine», dice Regina.

Quando sarà chiaro che il patto è un flop, i meloniani se la prenderanno coi nemici immaginari. E lo stanno già facendo: il capodelegazione di FdI in Ue, Carlo Fidanza, già accusa «la sinistra» di minare gli interessi della nazione…

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