Il weekend lungo, il Natale da salvare, e poi quel grimaldello dei servizi essenziali da garantire. Nella guerra di Matteo Salvini ai lavoratori, non c’è nulla di originale: l’attacco al diritto di sciopero è una crociata delle destre, in Europa come nel Regno Unito.

Il campione della controrivoluzione dei diritti è Viktor Orbán, che ha trasformato l’Ungheria in un’autocrazia, nella quale chi sciopera può persino essere licenziato. È successo ad alcuni insegnanti in tempi recenti. E che dire del Regno Unito? Non sono poi così remote, le storiche durezze della lady di ferro Margaret Thatcher, visto che l’attuale premier conservatore Rishi Sunak proroga le leggi anti sciopero, perché a suo dire altrimenti ai cittadini britannici «si rovina il Natale».

Sia Orbán sia Sunak sono alleati del governo Meloni, e rappresentano gli esempi più estremi della tendenza generale della destra europea ad attaccare i diritti dei lavoratori. Il caso ungherese è estremo perché estrema è l’erosione degli equilibri democratici nel paese; il caso britannico lo è per la lunga tradizione neoliberista di scontro frontale coi lavoratori della quale il partito conservatore si fa tuttora depositario.

L’“amico” Orbán licenzia

I rapporti tra il premier ungherese e le destre nostrane non si sono mai interrotti. Ma mentre Giorgia Meloni si è astenuta dai selfie nei primi mesi della guerra in Ucraina – salvo tornare a Budapest quest’autunno – Matteo Salvini ha sempre ostentato la sua amicizia con Orbán, ed è stato l’unico a metterci la faccia ad aprile 2022, quando il premier ungherese appena rieletto ha fatto una capatina a Roma. L’Ugl, il sindacato di destra che ha avuto tra le figure di punta il sottosegretario leghista Claudio Durigon, è abituato alle trasferte a Budapest e a gonfiare le piazze per Orbán.

L’attacco al diritto di sciopero in Ungheria è diventato lampante nel 2022, quando il governo orbaniano approfittando dell’ormai eterno regime emergenziale ha svuotato quel diritto a colpi di decreto. Imponendo «servizi minimi» da garantire intendeva di fatto soffocare le proteste degli insegnanti per i salari da fame. «Quel decreto ha mutilato il diritto di protestare, ma il governo continuava a non ascoltarci, così abbiamo iniziato la disobbedienza civile», ha raccontato a Domani la professoressa Katalin Törley – leader del movimento Tanítanék – che ha pagato col licenziamento il suo dissenso.

Sunak contro gli scioperi

Il 2022 è stato l’anno degli inneschi anche per il Regno Unito. Già lo scorso anno infatti montava un’ondata inedita di scioperi, e montava in parallelo anche il tentativo del governo conservatore di ostacolarli, che si è esteso fino a oggi.

Lo scorso autunno, stretti tra inflazione alle stelle e salari inadeguati, i lavoratori dei servizi pubblici – dai postini ai professori, dagli infermieri alle ambulanze, dalla Royal Mail al National Health Service, i fiori all’occhiello del Regno – hanno dato vita a proteste di una portata inedita. Se già la meteoritica Liz Truss aveva pianificato di limitare gli scioperi, l’attuale premier Rishi Sunak ha dichiarato guerra al diritto allo sciopero con nuove «leggi dure». Il grimaldello è sempre «la garanzia di un livello minimo» nei «servizi chiave», ombrello sotto il quale finiscono istruzione, sanità e quant’altro.

Il 2023 è iniziato con scioperi e una legge che di fatto obbliga fasce di lavoratori a lavorare, che è come dire che vieta loro di scioperare, tantopiù che si rischia il licenziamento. «È antidemocratico!», hanno reagito i sindacati. Per tutta risposta, Sunak estende la legge anti sciopero «per difendere il Natale» dei britannici, dice. E proroga così lo smantellamento dei diritti.

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