Ora gli ultraconservatori polacchi vogliono il referendum sui migranti. In concomitanza con le elezioni politiche d’autunno, agli elettori in Polonia sarà chiesto di esprimersi su un tema sul quale non potranno in realtà decidere.

Ma del resto non è a decidere, che serve questo referendum. Serve a mobilitare consenso per il Pis. Anche se è un inedito dalle parti di Varsavia, in realtà il referendum anti migranti – e più in generale il referendum di stampo ideologico e propagandistico – è una tattica collaudata.

La destra polacca la importa dal primo grande sperimentatore europeo di referendum di questo tipo: il premier ungherese Viktor Orbán.

Il voto polacco

La versione polacca del referendum anti migranti nasce su impulso del partito al governo, l’ultraconservatore Pis, che condivide con Giorgia Meloni la famiglia europea conservatrice. Per essere chiari: non esiste ancora un quesito referendario, e neppure una convocazione.

Esiste però una legge di nuovo conio che consentirà di far coincidere voto referendario con elezioni politiche, e soprattutto esiste un impulso politico. Parte dal leader del Pis, vicepremier e vero regista del governo polacco, Jaroslaw Kaczynski, che già a giugno aveva ventilato un referendum riguardante la riforma europea del patto di asilo.

In realtà i governi europei hanno già dato il via libera alla riforma, in un Consiglio Ue che riuniva i ministri degli Interni dei vari stati membri. Morawiecki e Orbán stanno ostentando la loro contrarietà, e hanno anche fatto molto rumore all’ultimo summit dei leader europei, ma l’iter legislativo non ne sarà intaccato.

Perché allora il Pis organizza un voto per contestare la riforma? Nello specifico, prende di mira – in sincronia con Orbán – la redistribuzione di una cifra per la verità irrisoria di migranti (30mila in tutta l’Ue) che i governi devono accogliere, salvo corrispondere 20mila euro per ogni migrante che rifiutano di ricollocare.

La Polonia ha accolto già milioni di rifugiati ucraini. Ma la riforma del patto d’asilo è il nuovo cavallo di battaglia propagandistico. La ragione? Va rintracciata a Budapest.

Il modello ungherese

Il referendum anti migranti ha un obiettivo prioritario, che è quello di mobilitare il proprio elettorato su temi identitari, in pieno stile di “guerra culturale” utilizzato dalle destre a livello internazionale. E poi c’è un obiettivo secondario – che spiega anche perché la volontà politica è più importante della convocazione in sé – ovvero prendere a strattoni l’Ue, che trattiene fondi europei sia alla Polonia che all’Ungheria per lo stato di diritto compromesso.

Questa strategia nel suo complesso è stata già sperimentata negli ultimi anni da Orbán. Tutto si basa sulla individuazione di un capro espiatorio. Nel 2016 erano i migranti (e Bruxelles), con un referendum orbaniano che era proprio contro la ricollocazione dei rifugiati. Quasi la totalità dei votanti era di quest’idea, ma il quorum non è stato raggiunto.

Nel 2022 è stato Orbán a importare dalla Polonia – o meglio, dalla campagna elettorale omofoba di Duda di due anni prima – la crociata omofoba, e ha convocato nel giorno delle elezioni politiche di aprile anche il referendum anti lgbt; non è passato, né avrebbe abrogato alcuna legge, ma l’obiettivo era mobilitare elettori e spaccare l’opposizione. Stessa cosa sta tentando ora il Pis, in un travaso continuo di tattiche e strategie.

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