Giorgia Meloni è atterrata questo martedì a Parigi in cerca dell’esposizione universale: non tanto l’Expo per Roma, ma una riconciliazione con Emmanuel Macron da esibire in patria e non solo.

Quel «ci siamo già incontrati diverse volte a margine dei vertici» col quale la premier ha esordito, nelle dichiarazioni congiunte, è una excusatio non petita ed è anche il perimetro del suo sconforto. All’Eliseo nei momenti di massima frizione tra i due governi era dovuto andare in spedizione Sergio Mattarella; ora la premier sventola la mostra da lui inaugurata al Louvre come «l’apice del lavoro comune». Certo non può citare il fondo sovrano, che aveva ventilato come premio di consolazione quando Parigi e Berlino hanno messo Roma nel sacco sugli aiuti di stato; la revisione del quadro finanziario in corso a Bruxelles restituisce solo rimescolamenti di fondi già assegnati. Un bluff.

E Macron a bluffare è il più bravo. A ottobre si era precipitato a Roma il giorno stesso in cui Meloni ha preso la campanella di governo, visto che le tensioni con Berlino gli rendevano necessaria una sponda; ma l’incontro si era tenuto al buio, con stile improvvisato e nell’ombra di una terrazza. Questo martedì i riflettori erano accesi, ma la venuta della premier è stata incastonata assieme ai vari bilaterali legati a Expo. Sì, Macron ha incontrato Meloni; ma nella stessa cornice la scorsa settimana ha pasteggiato con bin Salman. Per dirla tutta, gli ha anche garantito il supporto per Expo a Riad: a Chigi il danno e la beffa.

Il cono d’ombra

Altro che grandeur, per Meloni: il ridimensionamento si vede da forma e sostanza dell’incontro, oggetto di snervanti trattative già prima di aver luogo. Alla fine, dopo aver presentato la candidatura di Roma per Expo 2030 all’assemblea del Bureau International des Expositions nel pomeriggio, la premier è arrivata all’Eliseo per il bilaterale e Macron l’ha liquidata senza cena. Come se non bastasse, i due hanno rilasciato una breve dichiarazione prima dell’incontro, ma senza possibilità per i giornalisti di fare domande.

La attachée de presse dell’Eliseo, interrogata sul punto, copre l’operazione con l’alibi dei formati diplomatici. Ma la prima regola della politica – e cioè che è la volontà politica a fare il resto – mostra che quando un presidente vuole parlare, parla; e viceversa. A ottobre l’apice delle tensioni con Berlino è stato marcato dal silenzio durante la visita di Scholz all’Eliseo. Con la ripresa dei rapporti, Macron le conferenze stampa per parlare degli incontri col cancelliere se le è organizzate pure in solitaria.

Meloni è l’interlocutrice che lui nasconde alla vista, e con successo visto che ieri pomeriggio non c’era traccia della sua presenza nelle homepage delle principali testate francesi. Macron la nasconde alle opposizioni, che altrimenti gli si scaglierebbero contro, e la camuffa pure per la propria area, visto che c’è chi fa a gara a scagliarsi contro la premier, come Darmanin.

Campo di interesse

Macron si è tenuto aggrappato al cordino istituzionale: al trattato del Quirinale, eredità di Draghi («l’amicizia tra i due paesi viene prima dei disaccordi»), alla preparazione dei vertici Ue e Nato, e al comune sostegno a Kiev. Meloni ha sempre fatto leva sull’Ucraina come passepartout internazionale, e il presidente fa altrettanto: «Ringrazio la premier per la sua grande chiarezza».

Sul dossier migrazioni che tante frizioni ha generato tra i due governi, Macron sostiene l’accordo sul patto di asilo e anzi lo rivendica, assieme al «controllo delle frontiere esterne». Le sue parole sulla Tunisia, assieme alla visita di Darmanin a Tunisi negli scorsi giorni, confermano il via libera anche al piano di replicare lo schema turco col Nord Africa.

Tutto ciò basta a mettere a frutto politicamente «i molti e convergenti interessi comuni» di cui ha parlato Meloni ieri? La premier sa bene che con lo scadere del secondo mandato di Macron il campo politico in Francia sarà tutto da ridisegnare, e in vista delle europee 2024 questa è una enorme opportunità per le destre. Le ultime proiezioni vedono irrobustiti i conservatori e consolidano lo scenario dell’abbraccio coi popolari, che però per stare in piedi ha pur sempre bisogno di una stampella al centro.

Aprire un varco tra i liberali – specie se disgregati – è l’operazione che Ppe e meloniani stanno già tentando. Ma un passaggio frettoloso all’Eliseo e qualche ammiccamento ai temi che interessano entrambi i governi – investimenti nell’industria della difesa, riforma del patto di stabilità – non basta a garantirsi i riflettori.

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