L’Europa in questo momento è un continente soffocato dagli imballaggi: il 40 per cento di tutta la plastica e il 50 per cento di tutta la carta usate nell’Unione europea sono packaging, involucro per un altro prodotto. Il Regolamento imballaggi approvato oggi all’Europarlamento (ultima seduta plenaria prima delle elezioni) è uno dei tasselli finali per l’eredità del Green Deal, ma arriva al traguardo politico con un accordo che organizzazioni e osservatori considerano deludente, al ribasso, su alcuni punti decisivi.

La responsabilità? Dell’Italia. Il nostro paese, come in altri dossier (qualità dell’aria, trasporti), ha lavorato per ridurre la portata e gli effetti del provvedimento. Il risultato è un regolamento europeo sugli imballaggi cucito sulle nostre esigenze e indirizzato da un accordo politico trasversale tra destra italiana ed europarlamentari del Partito democratico, che hanno fatto blocco insieme a difesa del «sistema Italia», anche se difendere il sistema Italia significava rallentare la transizione di tutta l’Unione.

Non a caso, dopo l’accordo politico erano arrivati anche i complimenti di Giorgia Meloni, che aveva elogiato la relatrice del Pd Patrizia Toia. Su quasi ogni altro fronte c’è una voragine tra sinistra e destra italiane. Sugli imballaggi c’è quello che la presidente del Consiglio ha definito «lavoro di squadra che ha saputo travalicare gli schieramenti politici».

Quel testo è giunto blindato in plenaria, il prezzo finale dell’accordo lo pagheranno le prossime generazioni di europei, e forse la produttività stessa delle aziende italiane di settore. Come spiega Enzo Favoino di Zero Waste Europe, «questo è lo stesso errore strategico che si fa sul phase-out dell’auto termica, difendere la cosiddetta eccellenza italiana fa perdere capacità di innovazione. Quando non saremo in grado di andare incontro al futuro, le nostre aziende perderanno capacità di competere».

Sui rifiuti da packaging c’è stato quasi un piccolo scontro di civiltà tra paesi, che si è giocato tutto su tre parole che si trovano sulla borsetta di tela di ogni ambientalista: ricicla, riduci, riusa. Sono i tre cardini dello smaltimento rifiuti. «La visione italiana, trasversale ai partiti, è interamente fondata sul riciclo», spiega Axel Singhofen, advisor sulle politiche ambientali dei Greens. «Sostanzialmente, la visione che l’Italia ha imposto al resto dell’Unione è: “Se qualcosa si può riciclare, non c’è niente di cui preoccuparsi e niente da ridurre”».

È un’idea figlia di alcune aziende che sono effettivamente dei campioni nazionali del settore, ma anche sorpassata dalla scienza e dalle istituzioni internazionali. Il nuovo mantra dell’Onu, proprio mentre in Canada viene negoziato il nuovo accordo globale sulla plastica, è: “Non ne usciremo solo riciclando”. Per l’Italia, invece, a quanto pare sì.

La posizione iniziale della Commissione e di diversi paesi europei era puntare sulla prevenzione dei rifiuti, sui meccanismi di riuso (che in Italia sono ancora deboli, ma in Nord Europa sono piuttosto diffusi) e usare il riciclo come opzione residuale, per tutto quello che non si può ridurre o riutilizzare. Buona parte dell’Europa è già lì.

Oggi sono già sedici i paesi dell’Unione che hanno Drs, Deposit return system, sistemi di deposito cauzionale degli imballaggi. Entro due anni saranno venti, l’Italia invece è una trincea del non riuso, e la nostra posizione bipartisan in Europa lo ha mostrato bene. Su tanti piccoli punti, esenzioni e buchi del regolamento, l’Italia del fronte Pd-destre è riuscita a far passare la lettura diametralmente opposta a quella promossa dalla scienza. Il sistema Italia mette il riciclo in cima alla piramide, e il resto (riuso, riduzione) sullo sfondo.

Come obiettivi generali, il nuovo regolamento europeo fissa un target di riduzione del packaging del 5 per cento al 2030, del 10 per cento al 2035 e del 15 per cento al 2040. «Una serie di norme rigorose sono state cancellate per proteggere gli interessi italiani», spiega Singhofen, che ha seguito i lavori da vicino e ha osservato con mano l’azione di lobbying del «sistema Italia».

Il risultato, conclude, «sarà inondarci di monouso, rifiutando qualunque obiezione come narrativa ideologica». Effettivamente, come detto da Meloni, il regolamento è pieno di «vittorie italiane». La possibilità del riuso è stata indebolita, privata di target che la rendano credibile e riempita di esenzioni su misura per noi.

Vista dalla prospettiva futura, rischia di non essere una grande giornata per l’economia circolare europea.

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