Quattordici cittadini pakistani sono indagati per associazione con finalità di terrorismo internazionale, dopo che la procura di Genova ha verificato l’esistenza di una rete islamista italiana legata a un attentatore che nel 2020 colpì a Parigi. L’operazione antiterrorismo condotta dalla Digos di Genova, diretta da Riccardo Perisi, è stata gestita a livello nazionale dal Servizio per il contrasto all’estremismo e terrorismo esterno del Viminale e coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia e antiterrorismo della procura di Genova, con il procuratore facente funzioni di Genova Francesco Pinto e il sostituto procuratore Monica Abbatecola.

L’indagine ha ricevuto il contributo del centro antiterrorismo spagnolo Citco e di quello francese, coordinati da Europol. Gli inquirenti sono partiti dal rientro in Italia di Yaseen Tahir, il ventiquattrenne pakistano arrestato in Francia il 22 febbraio scorso per porto di un coltello con lama di 40 centimetri. Proprio come quella usata in un attacco da un suo connazionale e conoscente il 25 settembre 2020 presso l’ex sede della redazione della rivista Charlie Hebdo.

Il primo attacco

Il giornale satirico francese noto per le sue vignette era già stato vittima di un letale attentato il 7 gennaio 2015, quando i fratelli Kouachi avevano ucciso dodici persone, tra cui due poliziotti, dopo aver ricevuto addestramento da Al Qaeda in Yemen. Nel 2020 l’attacco è stato meno grave, infatti il ventisettenne pakistano Hassan Zaher Mahmood, arrivato nel 2018 dal Punjab, ha solo ferito con coltello due persone prima di essere arrestato. Appena due mesi prima, lui e altri dodici pakistani si scattarono una foto davanti alla Torre Eiffel con la didascalia: «Abbiate un po’ di pazienza…ci vediamo sui campi di battaglia».

Proprio Yaseen Tahir, tornato in Italia ad aprile 2021, era residente a Chiavari dal 2015 come rifugiato, prima di trasferirsi a Fabbrico in provincia di Reggio Emilia, dove lavorava come carpentiere. Da qui la decisione della procura di Genova, competente per Chiavari, di iniziare a investigare sui profili social del sospettato, che postava con regolarità contenuti inneggianti alla violenza jihadista e foto di armi da taglio.

È emersa una rete di giovani pakistani chiamata “Gruppo Gabar”, ispirata dal trentatreenne Raan Nadem, detenuto in Francia, che ha autorizzato Tahir a reclutare nuovi membri in Italia e comprare armi, come risulta dalle captazioni ambientali. Il pakistano residente a Chiavari, secondo il gip, era attivo nella formazione di una cellula italiana del gruppo Gabar con l’individuazione di un covo operativo e offrendo ospitalità alle reclute. L’indagine ha portato all’arresto di sei persone in Italia, tra cui gli imbianchini Ahmad Waqas e Tasawar Iqbal a Genova, Tahir a Reggio Emilia, Shoeb Aktar a Bari, il metalmeccanico Noman Akram a Firenze e Nauman Ali a Treviso.

La diffusione dei video

I sodali si riunivano a Fabbrico ospitati da Tahir, ma avevano anche contatti con Raan Nadem, detto “il maestro”, in Francia. È indagato anche il diciannovenne pakistano Ali Hamza, residente a Lodi, arrestato a settembre 2021 su mandato europeo su richiesta di Parigi perché incaricato di diffondere il video di rivendicazione dell’attacco a Charlie Hebdo. Un altro sospetto è stato fermato in Spagna, che già nel febbraio 2022 aveva arrestato cinque persone, di cui almeno tre in contatto con gli odierni indagati del Gruppo Gabar.

La rete jihadista pakistana si stava perciò strutturando a livello europeo, come dimostrano le conversazioni intercettate dalla procura: «Ora bisogna andare in ogni città e trovare dieci persone che mi servono…più saremo e meglio è» diceva Tahir a Nadem, «Fammi lavorare due mesi, e poi troviamo una nostra tana e facciamo il gruppo Gabar qui in Italia. Sei d’accordo? … tra due mesi comincio a comprare armi».

Non è una novità, perché come osservato dall’accademico Petter Nesser sono numerose le minacce di terrorismo jihadista provenienti dal Pakistan, spesso sottovalutate. Risale al 2008 il piano dei talebani pakistani di compiere un attentato suicida nella metropolitana di Barcellona, ma sono molti anche i casi di radicalizzazione di cittadini pakistani in Europa negli ultimi anni. La stessa Liguria si è dimostrata un crocevia importante con la Francia, come scrissi per Ispi nell’analisi Jihad sotto la Lanterna: le indagini antiterrorismo in Liguria (2013-2018), tra cui le indagini “Taqiyya”, “Fitna” e “Over the Web” della procura di Genova, che a breve sarà guidata da Nicola Piacente, con esperienza antiterrorismo nel capoluogo ligure.

Resta da capire se il “Gruppo Gabar” abbia una affiliazione internazionale precisa, come Al Qaida o lo Stato Islamico, o si collochi invece nella galassia jihadista senza però aderire a una di queste organizzazioni. In una fase di relativa debolezza di tali gruppi è possibile che aspiranti terroristi preferiscano creare una propria entità, che si riconosce nell’ideologia comune ma non prende ordini da Al Zawahiri o dal nuovo sedicente califfo dell’Isis.

© Riproduzione riservata