La presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, blinda il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, e non può fare altrimenti per non cedere agli attacchi dell’alleato leghista, Matteo Salvini. Nordio è sotto il fuoco di fila dei suoi ex colleghi magistrati ed è osteggiato anche da una parte della maggioranza: così la giustizia sta diventando il simbolo delle divisioni culturali interne ai partiti che siedono al governo.

La settimana scorsa sono circolate le voci sulle sue dimissioni, smentite con una nota del ministro e una difesa immediata di palazzo Chigi. Ieri, però, la premier è dovuta tornare sul tema perché la polemica è ancora aperta: «Ho piena fiducia in lui», ha dettato ai cronisti dalla sua visita ufficiale in Algeria, appoggiando l’intenzione di «mettere mano a un certo utilizzo delle intercettazioni», ma «senza scontri tra politica e magistratura» e anticipando che verrà fissato un «cronoprogramma» per le riforme. Nessuno, dentro la maggioranza, ammetterebbe che la poltrona di Nordio sia in dubbio, tuttavia c’è chi è disposto a parlare di parziale commissariamento, per frenarne l’indole autonoma e soprattutto le intemperanze verbali.

I due estremi

Tutto era ampiamente prevedibile al momento della nomina di Nordio e Meloni di questo era stata messa in guardia. Le battaglie contro le intercettazioni e l’egemonia dei pubblici ministeri e per la depenalizzazione fanno parte della storia personale del ministro, ma non certo del centrodestra di stampo leghista e anche dello stesso Fratelli d’Italia. Eleggerlo e portarlo a via Arenula è servito a Meloni per l’Opa sul mondo liberale, ma sta sta provocando più problemi che benefici.

Per questo Nordio, identificato come il punto debole dell’esecutivo, rischia di venire strumentalizzato dai due orientamenti opposti dentro la maggioranza, entrambi a danno di Meloni.

Dimenticate le battaglie garantiste del referendum sulla giustizia, il leader leghista Matteo Salvini si è reinventato difensore dei magistrati e ha frenato sia sulla riforma delle intercettazioni sia sull’abuso d’ufficio. È stato il primo a fare il controcanto a Nordio per metterne in discussione le posizioni, rilanciando i suoi vecchi slogan securitari e frenando su tutte le riforme anticipate dal ministro.

La difesa di Berlusconi

Del resto indebolire Nordio significa minare la credibilità non tanto di FdI ma direttamente di Meloni, visto che anche dentro il partito della premier esiste una nutrita fronda che è culturalmente avversa al ministro. A capitanarla c’è proprio il sottosegretario di FdI alla Giustizia, Andrea Delmastro Delle Vedove, che non ha perso occasione per ridimensionare pubblicamente il suo ministro, arrivando a dire alla Stampa che «una cosa è parlare da giurista, un’altra è fare il ministro».

Sul fronte opposto, invece, si è lanciato Silvio Berlusconi, che non a caso in via Arenula ha mandato il suo fedelissimo, Francesco Paolo Sisto, viceministro della Giustizia e decisamente più in sintonia con Nordio rispetto ai due sottosegretari Andrea Ostellari e Delmastro. Subodorando lo scontro, il leader azzurro ha scelto la sua metà del campo, in opposizione alla Lega e a difesa del ministro.

In un video ha definito Nordio «di cultura liberale e garantista, una cultura profondamente affine alla nostra» e gli ha confermato il sostegno assoluto di Forza Italia, attaccando «alcuni settori politicizzati della magistratura» che «sono passati direttamente dai loro uffici giudiziari alle aule del parlamento, nelle file dei Cinque Stelle» o che «sono rimasti nelle correnti di sinistra dell'ordine giudiziario». Così, ha dato alle posizioni del guardasigilli la legittimazione che non trovano dentro FdI.

Nel mezzo, insieme a Nordio ma senza poterne sposare del tutto le posizioni, è bloccata Meloni: stretta in una morsa su un tema come la giustizia, che ha fatto già inciampare molti esecutivi tra cui il Conte I e che per di più che non è mai stato un punto caratterizzate del suo agire politico. A fare da detonatore di una situazione così esplosiva, ci sono le elezioni regionali di febbraio. La Lega rischia l’ennesimo doppiaggio di FdI, questa volta proprio nella sua regione storica che è la Lombardia, con il rischio di riverberi anche su scala nazionale. Per questo ogni strumento è buono per mettere in difficoltà Meloni e tentare di scalfirne la leadership.

La scommessa della Lega è che nemmeno Meloni riuscirà a far cambiare pelle a Nordio. Il magistrato settantaquattrenne è arrivato al governo forte delle sue idee mai nascoste, rinnegarle non è nelle sua natura e non ha ulteriori interessi politici a giustificare passi indietro. Il massimo che Meloni potrà ottenere è un ridimensionamento dei toni, e così la Lega ha trovato il suo nemico per procura: attaccare Nordio per colpire la premier.

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