Notte di scontri e violenze in Serbia. Le manifestazioni convocate dal movimento degli studenti contro la corruzione e il regime serbo sono precipitate nel caos, registrando incidenti e colluttazioni tra dimostranti, polizia e fedelissimi del governo. Il bilancio è di una novantina di feriti tra i civili, 27 tra le forze dell’ordine, 7 tra i militari dell’esercito, alcuni in condizioni gravi. Si tratta della più grave escalation dall’inizio delle proteste che da nove mesi scuotono il Paese.

A innescare la miccia, il crollo nel novembre dello scorso anno di una pensilina della stazione ferroviaria di Novi Sad che ha provocato sedici morti. Un episodio assurto a simbolo della corruzione sistemica del regime di Aleksandar Vučić, al potere da tredici anni. La richiesta del movimento degli studenti, alla testa delle proteste, è di mettere fine alla “cattura” dello Stato operata dalla leadership serba e di indire elezioni anticipate.

Nella giornata di mercoledì il movimento aveva lanciato un appello via social, “Svegliati, Serbia”, in cui si chiamavano a raccolta i cittadini in diverse città nel Paese. Le manifestazioni hanno avuto luogo in una novantina di paesi, secondo quanto riferito dal ministero degli Interni serbo. Il clima era già infuocato: i giorni precedenti si erano registrati degli scontri tra attivisti e sostenitori del governo, principalmente a Vrbas e Bačka Palanka, ma anche in altre città della Serbia. Le proteste convocate dagli studenti mercoledì volevano essere anche una risposta a questa ondata di violenze che segnala un nervosismo crescente nella leadership serba, sempre più indebolita dalla sfida lanciata dal movimento.

Il fronte dei pro-governo

La situazione è precipitata. Diverse manifestazioni hanno avuto luogo davanti alle sedi del Partito progressista serbo (Sns), creatura di Vučić. Gli scontri più violenti si sono verificati a Novi Sad, città della Vojvodina, provincia autonoma della Serbia abitata dalla minoranza ungherese. Nell’epicentro delle proteste, i sostenitori dell’Sns, alcuni a volto coperto, hanno scagliato razzi, pietre, bottiglie, persino fuochi d’artificio contro i manifestanti che a loro volta hanno risposto in un crescendo di violenza che ha portato nella sola Novi Sad a 64 feriti, 16 tra le forze dell’ordine intervenute a disperdere la folla.

Un intervento quest’ultimo contestato dagli attivisti secondo cui la polizia avrebbe lasciato indisturbati i sostenitori del governo, alcuni dei quali armati, per caricare i dimostranti. Secondo quanto riportato dal network televisivo N1, partner della Cnn, durante gli scontri a Novi Sad sono rimasti feriti anche due giornalisti, Nikola Bilic del portale 192 e Zarko Bogosavljevic del portale Razglas, il primo picchiato, il secondo colpito con un manganello alla testa.

E scontri si sono registrati in diverse città della Serbia, a partire da Belgrado. Tra i punti di maggior frizione, il parco Pionirski, di fronte al Parlamento serbo, dove sono accampati gruppi di studenti contrari al movimento di protesta. Gli studenti 2.0, come vengono chiamati, erano sbucati fuori a pochi giorni dalla manifestazione di protesta in Serbia tenutasi il 15 marzo scorso, la più imponente nella storia del Paese. Un’indagine di N1 aveva poi rivelato che si trattava in larga parte di comparse. Un video della scorsa notte che circola sui social mostra il fratello del presidente serbo, Andrej Vučić, uno degli esponenti più influenti dell’Sns, guidare un gruppo di sostenitori del governo, mentre la polizia lo scorta verso l’accampamento.

Il ruolo della Russia

«Un attacco allo Stato», lo ha definito il ministro degli Interni serbo Ivica Dačić che ha promesso il pugno duro contro i manifestanti. «Lavoreremo per identificare tutti e nelle prossime 48 ore – ha avvertito – coloro che hanno infranto la legge e causato lesioni a cittadini e agenti di polizia saranno sanzionati». E contro gli attivisti, bollati come «terroristi», si è scagliato anche Vučić: «Voglio dire stanotte a tutti i cittadini serbi che lo Stato è sufficientemente forte e in grado di impedire ogni tentativo di scatenare una guerra civile, mettendo a repentaglio la pace e la sicurezza nel Paese». Un’accusa rispedita al mittente dal movimento degli studenti che a sua volta ha puntato il dito contro il presidente serbo, reo, a loro dire, di voler scatenare una guerra civile nel Paese. Silente per ora il Cremlino.

Nel giugno scorso il ministro degli Esteri russo Serghei Lavrov parlando delle proteste anti-governative, aveva intimato all'Occidente di non intervenire in Serbia con rivoluzioni colorate, quelle che, secondo Mosca, avrebbero buttato giù i governi in Ucraina e Georgia con la regia di Europa e Stati Uniti. Un vecchio adagio rispolverato negli ultimi mesi anche dalla propaganda di regime in Serbia.

Dal canto suo, l’Europa ha espresso «profonda preoccupazione» per le notizie che giungono da Belgrado. «Per progredire sul percorso europeo è necessario che i cittadini possano esprimere liberamente le proprie opinioni e che i giornalisti possano riferire senza intimidazioni o attacchi», è stato il commento della commissaria europea all’Allargamento Marta Kos. Parole, quelle della slovena, ripetute a più riprese in questi mesi senza però che ad esse seguissero delle misure concrete, come accaduto ad esempio in Georgia.

Negli ultimi anni la Serbia, Paese candidato all’adesione Ue dal 2012, non ha compiuto se non limitati progressi nel processo di integrazione europea. Tra i Ventisette, la linea prevalente è che l’allargamento ai Balcani Occidentali senza Belgrado, avamposto di Mosca (e di Pechino) nella regione, sarebbe privo di un reale peso politico.

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