In Germania, la notizia della decisione del governo di investire 100 miliardi di euro nel miglioramento dell’equipaggiamento della Bundeswehr è stata salutata come il ritorno del paese alla realtà.

Nelle ultime settimane, il cancelliere socialdemocratico Olaf Scholz era stato accusato di eccessiva timidezza nei confronti del presidente russo Vladimir Putin

Scholz, secondo i critici, era troppo vincolato nella sua capacità di manovra politica dal patto con Mosca sul gasdotto Nord Stream 2.

Anche il passo indietro sull’attivazione dell’infrastruttura era stato considerato un intervento troppo poco incisivo per bloccare i piani di Putin. Pesava sulla coalizione semaforo pure la decisione di non fornire armi agli ucraini, difesa più volte dalla ministra degli Esteri Annalena Baerbock, e considerata ingiustificabile in un contesto in cui la Germania è una dei maggiori esportatori di armi al mondo, anche verso paesi governati da presidenti non democratici. 

Inversione di marcia

Nel fine settimana, il governo ha compiuto una totale inversione sulla sua linea attendista, annunciando prima l’invio di armi al governo ucraino, poi la decisione di aumentare il budget di spesa per la Bundeswehr: sì all’investimento del 2 per cento dei Pil per la difesa, come da richiesta della Nato, sì allo sviluppo di nuovi progetti militari con i partner europei e sì all’utilizzo di droni militari. Tutte questioni che fino a pochi giorni prima sembravano fuori discussione. 

Una svolta epocale, che Scholz ha definito in maniera puntuale Zeitwende, mutamento dei tempi. Secondo Ferdinand Otto della Zeit, la decisione del cancelliere porta la Germania definitivamente fuori dall’ombra di Washington, dietro a cui Berlino soprattutto negli ultimi anni si è nascosta per non prendere posizioni troppo nette sul piano geopolitico. Spesso, la mancanza di iniziativa dei governi tedeschi aveva causato incomprensione e sfiducia da parte dei partner internazionali, ma sulle decisioni che coinvolgono la difesa nazionale in Germania continua a pesare la lezione del Novecento e il tema è sempre stato troppo delicato perché un governo si assumesse l’onere di mettervi mano.

Ma ora i tempi sono cambiati, il cancelliere fa esplicitamente riferimento ai costi elevati che la decisione comporterà, ma spiega che sono «gestibili per un paese della nostra dimensione e del nostro peso in Europa». Una presa d’atto del fatto che l’assunzione di responsabilità geopolitica per la Germania non è più rinviabile. 

Recuperare il tempo perduto

La mossa di Scholz appare anche come un tentativo di recuperare tutto il tempo che si è perso con i passi troppo timidi degli ultimi giorni.

Una strategia figlia della sottovalutazione delle intenzioni di Putin: ora i toni sono cambiati, e ad approvare le «parole chiare e coraggiose» del cancelliere, come per esempio scrive Bild sono soprattutto i commentatori di centrodestra. 

Persino il “falco gentile” Christian Lindner, ministro delle Finanze, ha acconsentito a mettere da parte il culto dei liberali per freno al nuovo indebitamento previsto dalla Costituzione per garantire il finanziamento delle spese per la difesa. A contraddirlo senza troppa convinzione è stato quasi solo il capo della Cdu Friedrich Merz, che ha chiesto di riflettere sull’effetto dei nuovi debiti sulle generazioni future. 

Le voci critiche sono poche. Dopo il discorso di Scholz al Bundestag, il gruppo della Linke ha condannato la decisione spiegando di «non voler sostenere questa gara al riarmo». Anche la formazione giovanile dei Verdi si è espressa contro l’iniziativa del governo.

Il quotidiano di sinistra Taz dà del «cancelliere di guerra» a Scholz, sottolineando quanto sia paradossale il fatto che la centenaria tradizione antimilitarista della Spd venga infranta proprio per combattere quella Russia che ha contribuito in maniera determinante alla liberazione della Germania dal nazionalsocialismo.

Contemporaneamente però il quotidiano valuta la situazione attuale come «eccezione alla regola» che può giustificare anche un sostegno militare, a patto che non sfoci in militarismo «che si radica progressivamente nella politica e nella società». 

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