Nella storia dell’orgia fra diplomatici e politici a Bruxelles, il sesso è politica, sin dal principio. Lo stesso fatto che la vicenda sia venuta allo scoperto è eccezionale. Il senso di impunità nell’ambiente è tale che quando il 27 novembre sera la polizia belga ha fatto irruzione in rue des Pierres, nel centro di Bruxelles, e ha sorpreso, in pieno lockdown da Covid-19, i 25 partecipanti dell’orgia per soli uomini, la porta non era nemmeno chiusa a chiave e i 25 all’inizio hanno pensato si trattasse di altri partecipanti in costume.

Non è una novità, che nella capitale della politica europea politici e diplomatici si diano ai bagordi. József Szájer, ufficiale di collegamento di Viktor Orbán a Bruxelles, che con questo festino si è giocato la carriera, pare l’abbia fatta franca altre volte. L’episodio più clamoroso sarebbe legato alla sua partecipazione a un festino gay con ragazzi minorenni a Vienna, ma finora il silenzio sul caso, risalente ad almeno dieci anni fa, è stato totale. Le preferenze sessuali di Szájer erano note ai ben informati e certamente all’intelligence europea, ma solo ora i giornalisti ungheresi stanno cercando prove e verifiche, sul caso di Vienna in particolare. Intanto le voci sulla partecipazione ai festini non solo di esponenti del partito ungherese Fidesz, ma anche dei polacchi del Pis, si rincorrono.

L’orgia e il veto

E così lo scandalo sessuale diventa scandalo politico e arriva direttamente sul tavolo delle trattative dell’Ue su Recovery Fund e bilancio europeo. Trattative che al momento sono in stallo dopo che Ungheria e Polonia hanno messo il loro veto. Il festino di Bruxelles, però, sembra mettere un po’ in crisi il patto siglato a Budapest lo scorso 26 novembre (alla vigilia dell’orgia) dal premier polacco Mateusz Morawiecki e dal suo omologo ungherese Orbán. In quell’occasione i due avevano ribadito che «la Polonia non accetterà proposte irricevibili per l’Ungheria, e viceversa». Ora che però iniziano a circolare le voci sulla partecipazione di membri del Pis ai festini, la posizione della Polonia sembra un po’ meno granitica. Giovedì il vicepremier Jaroslaw Gowin ha detto che se al Consiglio europeo del 10 e 11 dicembre i leader Ue acconsentiranno ad accompagnare il legame tra fondi e stato di diritto con una dichiarazione, Varsavia eliminerà il veto. Parole che non sono piaciute a Orbán, promotore della linea dura.

I gay nei partiti omofobi

Ma perché il festino mette così tanto in crisi i due governi? Anzitutto perché tocca i fedelissimi dei leader. Szájer è vicino al premier Orbán da quando erano giovani. I due condividevano afflati liberali e studi a Oxford. Quarta tessera del partito Fidesz, moglie presidente del Consiglio superiore della magistratura, a Bruxelles era il brillante persuasore che per conto di Orbán intesseva mediazioni con Berlino e gli altri attori della politica europea. Domenica, prima che si sapesse dell’orgia, si è dimesso da europarlamentare perché «non reggo alla pressione psicologica del conflitto in corso». Fa scalpore anche il fatto che Szájer, che ha scritto la Costituzione del 2011 la quale non riconosce le coppie gay, e che è membro d’elezione di un partito che ai gay nega le adozioni, sia stato fermato a un festino omosessuale.

Ma ancor più male ne esce Varsavia, dove il retaggio cattolico è più forte e dove il Pis, partito ultracattolico e sempre più a destra, cavalca da tempo la propaganda anti lgbt. La stampa polacca ha intervistato David Manzheley, giovane polacco pluriricercato per truffa: sostiene di essere l’organizzatore del festino e dichiara di avere tra i partecipanti alle sue orge quattro politici del Pis, sposati, con famiglia. Intervistato da Onet, Manzheley sostiene di organizzare i partouze da più di due anni, partecipati da un centinaio di persone tra cui politici ucraini, francesi, tedeschi, olandesi, lussemburghesi, svizzeri e spagnoli. Ma, dice Manzheley, i più fedeli clienti sono proprio 4 esponenti del Pis e 9 di Fidesz: «Se nei loro paesi si sapesse, la loro carriera sarebbe finita, anche per questo preferiscono fare i party gay all’estero».

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